Tutto questo parlare de La grande bellezza (a volte sacrosanto, spesso pretestuoso o noioso come una morte lenta) mi ha ricordato che non ho mai parlato di un film che della pellicola di Sorrentino rappresenta la faccia “plebea”: Sacro Gra. Vincitrice a sorpresa del Leone d’Oro all’ultimo Festival di Venezia ma sfigata al botteghino, la strana creatura partorita da Gianfranco Rosi merita il recupero di chi l’ha ingiustamente ignorata. Documentario-non documentario (non hanno ancora inventato una parola adatta, credo) è costituito da una serie di episodi a incastro che raccontano la vita di un’umanità molto varia che vive o gravita intorno al Grande Raccordo Anulare di Roma: un barelliere solitario che passa il tempo libero in chat, un botanico che tenta di debellare un parassita delle palme, un principe decaduto che affitta la sua villa come location per film e ricevimenti, un intellettuale che vive con la figlia laureanda in un buco di monolocale, un pescatore di anguille, un paio di prostitute, un gruppo di pellegrini… Poteva essere un mattone di rara bruttezza e pretenziosità, e invece Rosi evita le pesantezze e i cliché di un’operazione del genere, e il risultato sorprende per accuratezza e intelligenza. Avercene.
mercoledì 5 marzo 2014
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sai che non so?
RispondiElimina(bello sto commento. mi abbatterei le mani da sola, quasi)
se vuoi te le abbatto io ;)
EliminaPensa che ho visto da pochissimo Sacro Gra, e invece a me è parsa proprio la tipica alternativata da Festival.
RispondiEliminapossiamo mica essere sempre d'accordo? ;)
EliminaVisto.
RispondiEliminaPer riallacciarmi al tuo finale, ma avercene anche meno, eh?
uh, come sei snob
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