mercoledì 30 aprile 2014

e non m’annoio


A me questa cosa delle feste, specie se civili e sensate, sembra bellissima. Persino la parola ponte, dissociata da Messina, ha un fascino tutto particolare, un apostrofo rosa tra “venerdì” e “non lavoro”. Così io e la ms venerdì scorso siamo andati a Genova a vedere la mostra di Munch. Non proprio insieme, ché quando ci mettiamo di buzzo buono siamo proprio stupidi, comunque poi siamo rimasti lì. Edvard Munch è uno che, parole sue, deve ai suoi drammi e ai suoi problemi la sua arte. Io, al posto suo, avrei preferito qualche disgrazia in meno e la capacità di disegnare cornicette di prima elementare, ma tant’è: la mostra è bella e neanche tanto angosciante. Manca L’urlo, in compenso fuori dal museo c’è una troiata che si chiama Urla con l’urlo: una cabina più o meno insonorizzata dove puoi… urlare, esatto, e farti una foto o un video con la riproduzione del quadro. Passata ’a nuttata a Genova, dove ci siamo anche discretamente strafogati, siamo tornati a Torino. Sì, perché a Torino in questo periodo ci sono circa 1482 cose da fare. Tutte insieme, ovviamente. Tipo i concerti, gratis o a prezzi stracciati, del Jazz Festival. E sabato la doppietta prevedeva Uri Caine al pomeriggio e Diane Schuur la sera. La Schuur è impressionante: da dove tiri fuori quella voce stando seduta (è cieca e non sembra neanche propriamente in salute) è un bel mistero. È la terza volta che ascolto dal vivo Uri Caine, lo adoro perché non fa un concerto (né un disco) uguale all'altro: peccato che “genio e regolatezza” si vesta sempre come un prete d’estate. Domenica pomeriggio, con un po’ di tristezza perché in sala eravamo davvero in pochi, ci siamo dati a Luca Ronconi per tre ore: Pornografia, dal romanzo di Witold Gombrowicz, ovviamente non è una roba porno, ma si ride e ci si angoscia il giusto. Valentina Picello è uno spettacolo nello spettacolo, straordinaria nella parte della vecchia “santa” su cui ruota tutto il secondo atto. E da domani sto qua.

martedì 29 aprile 2014

che botta se incontri l'orso


“Diffidate” dovrebbe essere il nuovo titolo del mio blog. Quando al Torino Film Festival ho deciso di vedere Enough said l'ho fatto solo per James Gandolfini. Ed è questo che vi diranno in tanti: è l'ultimo film del protagonista de I Soprano! Peccato che Non dico altro (cazzo, un titolo italiano che funziona!) sia anche un buon film. Una bella commedia degli equivoci, romantica come quelle di una volta: lui, brutto ma piacione, s'innamora, corrisposto, di Julia Louis-Dreyfus, madre sola di ragazzina piacevole come una ragade, massaggiatrice di gente perlopiù orribile, che diventa amica inconsapevole dell'ex criticissima moglie di lui. Detto così sembra un po' una minchiata ma, come da incipit, diffidate: il film di Nicole Holofcener è proprio divertente, emozionante, intelligente, leggero senza essere banale, compreso l'happy end. Esce il primo maggio: andate? Sì.

lunedì 28 aprile 2014

comprami, io sono in vendita


Sorpresa: dolce parola in tempi magri, anche quando si è al cinema. Gigolò per caso, nonostante il doppiaggio più che discutibile e il titolo italiano acchiappamadaminkie che fa perdere il bel doppio senso dell’originale Fading gigolo (Turturro prepara composizioni floreali…), è un film da vedere. Per nulla greve o vaginale come potrebbe far presagire l’orrendo trailer, è una piacevole commedia romantica, ben scritta, di cui Woody Allen non è tanto un simpatico comprimario, quanto una vera e propria musa ispiratrice. C’è tanto del regista ebreo, in certi momenti sembra quasi un omaggio, dalla scena del “processo” alla scelta di alcune tecniche di ripresa. Tuttavia questo non vuol dire che Turturro non ci metta del suo, a cominciare dalla “sua” Brooklyn e dalla sua faccia. Più della regia, infatti, vale l’interpretazione, quel quid deliziosamente impalpabile che fa di John Turturro il fioraio-elettricista-idraulico-gigolò Fioravante. Convincono anche Liev Schreiber e Sharon Stone, ma è Vanessa Paradis, nonostante i panni da peppia della vedova, a illuminare lo schermo: una delle scene più intense, quella del massaggio, deve tanto alla sua presenza. Solo un neo: la sua interpretazione di Tu sì ’na cosa grande non si può sentire.

venerdì 25 aprile 2014

east but almost least: tui na


Ero già un po' perplesso e la mia scelta, se devo essere sincero, è stata più che altro un ripiego nel momento in cui non ho trovato un biglietto per Boyhood (che peraltro non ha ancora una distribuzione italiana, gesussanto!). Insomma ero a Berlino, in un pomeriggio un po' uggioso un po' no, e ho deciso scientemente di vedere Tui na. Per chi non lo sapesse, il tui na (la dico spiccia, non abbiatevene a male) è la versione cinese dello shiatsu. Io lo sapevo già perché, anni fa, conoscevo un tipo che mi aveva aggiustato il collo in questo modo. Chiusa parentesi riporto sei (oh guarda, qualcuno l'ha capita! ma quanta gente vecchia c'è che mi legge?), parliamo del film e del perché stia in questa simpatica rubrica sul cinema orientale da evitare. La storia è quella di un centro massaggi: e su, dai, non pensate porcate, qui si fa sul serio! Tanto sul serio che i massaggiatori lì sono tutti professionisti e (oh, so' orientali!) ciechi o ipovedenti... Il film, un po' mockumentary un po' no, racconta le loro storie, i loro desideri, le loro paure, senza indugiare (per fortuna) sul patetico: insomma sembra la versione seriosa di Scrubs. Detto così non sembra neanche male, e quando si concentra sull'amore impossibile (o forse no) tra uno di loro e una prostituta che lavora in un bordello poco distante, il film di Lou Ye gioca le sue carte migliori. Ma è lo stile che è insopportabile: non abbiamo bisogno di immagini sfocate, buie, mosse o accennate per immedesimarci nei protagonisti, è un espediente, un di più che puzza di fuffa lontano un miglio. Eppure dev'essere fuffa ben riuscita, se la giuria s'è talmente fatta prendere per il culo da affibbiargli l’Orso d’argento al miglior contributo tecnico. Diffidate.

giovedì 24 aprile 2014

quattro passi fra le nuvole


Il virus del cannibale è sempre più deleterio e corrosivo: questa è la mia ennesima classifica della vita, e ne sono in preparazione altre due. Quindi? Quindi cazzi vostri, questa volta tocca ai fumetti con cui sono cresciuto. Poiché in tanti hanno fatto un’unica lista generica “letture”, prevengo le possibili critiche spaccapilifere: dei romanzi mi occuperò a parte, non perché li reputi qualcosa di più “alto”, ma semplicemente per dare uguale spazio e dignità a due mie grandi passioni. E ringraziate che leggo sì e no due saggi l’anno, altrimenti vi sareste beccati un terzo elenco. L'ordine è più o meno cronologico. Pronti? Via. Ah, si capisce che sono cresciuto a pane e Marvel?

La notte che morì Gwen Stacy
Quando lessi quest'albo de L'Uomo Ragno avevo sei anni: capite che infanzia difficile? Scherzi a parte, per la prima volta nella storia Marvel un personaggio principale moriva. Bon, fine. Niente resurrezioni, ma mille sensi di colpa (se l'avesse presa meglio con la ragnatela forse non le si sarebbe spezzata la schiena?) e una serie di albi profondi e devastanti. Opera dell'immenso Gerry Conway e del buon Gil Kane.





Alan Ford
Per ragioni anagrafiche, la mia conoscenza del Gruppo T.N.T. coincide con le storie di Paolo Piffarerio, il disegnatore dei nasi, come l'ho sempre definito. I primissimi albi, quelli di Magnus, li scoprii un po' dopo. E, ovviamente, arrivai ad Alan Ford in quanto pubblicato dall'Editoriale Corno (che allora stampava tutta la Marvel) e in quanto scritto dal fondatore della medesima, Luciano Secchi.





Shakespeare a fumetti
Ci credereste? Negli anni Settanta Il giornalino era una rivista a fumetti con i controcazzi, con autori importanti, grandi storie d'avventura e di attualità, nonché una serie di eccellenti trasposizioni di opere letterarie. Tra queste, Amleto, Romeo e Giulietta e La tempesta, frutto di quel genio di Gianni De Luca, che diede all'operazione un innovativo e spettacolare taglio cinematografico.





Asterix
Ho sempre adorato le storie dei mitici Goscinny e Uderzo: i cartoni “storici” li avrò visti mille volte, Asterix e Cleopatra lo conosco a memoria. I fumetti li leggevo a puntate ne Il giornalino dei tempi d'oro, quando il buonismo e la voglia di strizzare l'occhio ai più piccoli e alla tv erano più o meno impensabili. Il mio preferito? Il druido Panoramix.






Lucky Luke
Ancora Il giornalino. L'eroe di Morris e Goscinny era un altro mio mito, forse in risposta al western “serioso” che piaceva tanto a mio padre. Più del protagonista adoravo lo stupidissimo cane Ran-tan-plan e il cavallo saggio Jolly Jumper. Non so perché, e sarebbe interessante scoprirlo, mi ricordo molto bene la storia Western circus, proprio io che detesto il circo.





L’eternauta
Molti anni dopo, di fronte alla mostra dedicata a Héctor Oesterheld e inspiegabilmente ospitata in quel barcone in disuso che era fino a qualche tempo fa il Museo dell'Automobile di Torino, mi sono quasi commosso. Cosa poteva capirne un bambino, leggendo il Lanciostory delle sorelle maggiori, di una fantascienza “da camera” metafora della dittatura argentina? Nulla. Ma quanto mi piaceva!


Yor
Qui c'entrano le tette. Ancora Lanciostory, ancora Argentina, ma stavolta quel genere fantasy che a me, tranne rare eccezioni, non è mai piaciuto. Eppure trovavo parecchio erotico questo fumetto (ero un bambino, bastava qualche trasparenza qua e là) ambientato in una fantapreistoria abbastanza nebulosa ma a suo modo affascinante.




Mister Macchina
Pubblicato su Gli Eterni (ancora Marvel, ancora Corno), che raccoglieva un mix di fumetti fantasy e di fantascienza. Nonostante Jack Kirby mi stesse sul cazzo con i suoi inchiostri pesanti, la storia di questo strano androide, e della sua buffa, eroica, tragica fine, mi aveva conquistato anche da ragazzino. Ritrovato, riscoperto, riamato dopo anni, altro acquisto fortuito, credo al Cartoomics.






La saga di Fenice Nera
Pubblicato negli Usa nel 1980, da noi, a causa delle tristi vicende dell'Editoriale Corno, uscì nel 1988. Meno male: nell'80 mi feci convincere che ero troppo grande per leggere i fumetti e smisi. Mi sarei perso questa perla. Fu il mio amico F. a riattirarmi nella tela. Avevo sempre amato gli X-Men, e questa è una delle loro storie più belle in assoluto. Testi e disegni del mitico duo Claremont-Byrne.




Marvels
Nel 1994, non so più dove e come scoprii questa miniserie la cui quarta di copertina mi conquistò e che acquistai immediatamente. Kurt Busiek e Alex Ross raccontano, attraverso la storia di un fotografo dagli anni Quaranta ai Settanta, come si sarebbero intrecciate le vite dei supereroi a quelle della gente comune, mescolando come mai prima la Storia alle storie dei personaggi Marvel. Imprescindibile.

mercoledì 23 aprile 2014

et stop


Ieri, per la prima volta nella mia vita, ho mandato un telegramma. La mia collega simpatiapiù, che si chiama come poison ma che con la nostra blogger non ha ahimè altro punto di contatto, ha deciso di sbolognarmi quest’incombenza senza neanche un «per favore», perché lei era troppo impegnata e non c’era nessun altro nei paraggi. «Io invece mi sto grattando l’uccello» è stata la risposta immediatamente partorita dalla mia dolce e paziente personcina: poi, quando simpatiapiù ha abbassato la cresta, i toni e ogni altra cosa al mondo, ho preso e lento pede sono andato in posta, con l'entusiasmo di un bradipo morto ma il sorriso di Franti l'infame. In posta, vi chiederete? Già, perché via telefono da noi non si può, neanche volessimo chiamare Luana la porcona con sede a Tahiti. E farlo via internet? No, perché il sito richiede una registrazione che dovrebbe fare l’azienda: non posso mica mandare un telegramma di condoglianze a un perfetto sconosciuto a nome mio… Che poi, per carità, magari i parenti apprezzano lo stesso. Oppure si spaccano la testa a chiedersi «ma questo chi minchia è? vorrà mica una fetta di eredità?». Comunque, il problema non è tanto andare a fare il telegramma: è passare qualche minuto della propria vita in un ufficio postale, luogo che per me ha per me lo stesso appeal di una grossa cacca fresca appena pestata dalla suola di gomma istoriata di una immacolata scarpa da tennis stile nonfacciosportdallottantatremafafico. Detesto i colori windows (per non parlare del giallo Posta, che è quasi peggio del celestino Panda) e - che vi aspettavate da uno come me? - detesto le code. Voglio dire: se internet ha un senso, è quello di poter evitare le file, almeno quasi sempre. Ma facciamo finta per un attimo che l’ufficio postale sia un luogo meraviglioso e parliamo dell’oggetto in sé. Non il telegrafo, che ebbe un senso glorioso, importante, dal 1844 a... diciamo il 1980? No, io voglio parlare del telegramma. Cioè quell’affare di carta giallina ripiegata che appartiene a un passato di cui non essere nostalgici e che oggi sopravvive solo in frangenti funerei. Un ridicolo e stringato comunicato da 4,47 euro (se va bene e stai sotto le venti parole) contro la gratuità di WhatsApp. Una roba finta, ché non c’è più nessun Giovanni telegrafista che stia lì a picchiettare l’alfabeto morse. Insomma ciarpame buono per musei morti, come il fax o il gusto puffo. E invece niente, (r)esistono ancora tutti e tre.

martedì 22 aprile 2014

adieu


Ci sono persone che non sai mai se sono ancora vive, inghiottite improvvisamente dall’ingiusto anonimato di una tv cannibale e sempre più volgare. Io me lo ricordo bene questo buffo uomo con la pipa e il papillon, il cui sogno segreto era quasi sicuramente di somigliare a Simenon. In un improbabile salotto o in chroma key, con quello sguardo sornione, quell’affabulazione di chi a volte sembrava parlare de per lu e l’autoironia che da un critico cinematografico chissà perché non si aspetta nessuno, Claudio G. Fava per decenni ha raccontato al pubblico televisivo il cinema francese, non quello piacione degli ultimi tempi, non quello cervellotico degli anni Ottanta, ma la grande tradizione del poliziesco e, ovviamente, la nouvelle vague. Dirigente Rai quando la Rai era servizio pubblico, ha commissionato il doppiaggio e ridoppiaggio dei grandi classici del cinema americano. E poi si è anche divertito, come uno Sgalambro del cinema, a parodiare se stesso nei programmi di Gloria De Antoni e Oreste De Fornari in tempi che sembrano lontanissimi e invece no. Se n’è andato il giorno di Pasqua a 84 anni. Malinconia.

venerdì 18 aprile 2014

east but almost least: moebius


Toh guarda, Dantès ha una rubrica. Insomma, son parole grosse. Diciamo che, vista la quantità di film orientali che mi sento di sconsigliarvi, è nato questo giochino del cui titolo sono molto orgoglioso. Beh, si comincia con Kim Ki-duk. Chi l'avrebbe mai detto? A me il regista sudcoreano piaceva, e pure parecchio. Persino Pietà, nonostante tutti i suoi difetti, alla fine non mi era dispiaciuto. Ma che gli è successo? Di che si fa? Moebius (lo dico? lo dico) è una delle cose più brutte che io abbia mai visto. Muto a parte i rumori e gli ansimi è già una scelta del cazzo (ops), una roba da festival che ho perdonato solo una volta nella vita (non vi ho mai parlato di Tabù? malissimo). La trama, gesussanto, la trama è esattamente quella lapidaria fornita da wikipedia: una madre pazza che, non riuscendo a evirare il marito fedifrago, evira il figlio e scappa. Il padre prima insegna al figlio che torturarsi con una pietra ti fa godere quasi uguale, poi si fa evirare per fargli trapiantare l'uccello ma, guarda caso, quello gli tirerà solo in presenza della madre. Sì, perché lei a un certo punto torna, quasi come se niente fosse. Moebius si riferisce al nastro: tutto cambia ma in fondo si ripete, si invertono solo le parti. Inutilmente trucido, vacuamente violento. Finale che neanche la peggiore tragedia greca, attori insopportabili.

giovedì 17 aprile 2014

dreams are my reality


E insomma, avevi ragione tu, mia cara ms. Certe volte vediamo troppi film, ce li facciamo anche, seguendo inutili raffronti e confronti e spaccamenti piliferi in quattro. E rischiamo di perderci. O almeno rischiamo di perdere qualcosa che vale la pena di essere visto. Io sono cresciuto con Sogni proibiti, adoravo Danny Kaye, non c'era volta che non guardassi 'sto film con gli occhi del bambino davanti alle vetrine dei giocattoli (ah, peraltro ero effettivamente un bambino...). Quando ho scoperto che ne avrebbero fatto un remake ho subito pensato «sarà una cazzata», anche (forse soprattutto) quando si faceva il nome di qualche regista importante. Poi, quando la patata bollente è passata nelle mani di Ben Stiller, sebbene io lo adori e ne apprezzi le capacità, fui pressoché sicuro che ne avrebbe ricavato una malaminchiata. Beh, mi sbagliavo. Non che I sogni segreti di Walter Mitty sia esente da difetti (qualche accelerazione o rallentamento di troppo qua e là, il fatto che si capisca subito dov'è la foto, per non parlare poi di come Mitty possa permettersi tutti 'sti viaggi...), ma la pellicola, che dell'originale conserva per sommi capi solo l'idea, funziona e spazia con successo verso lidi decisamente più ambiziosi. Sarebbe veramente triste ridurre tutto alla malinconia dell'analogico contro il digitale, la carta contro il computer e altre seghe mentali: c'è tanta roba lì dentro, stipata bene e solo un po' nascosta, come il negativo nel portafogli del protagonista. E, alla fine (oh, che vi devo dire?), sulla copertina di Life mi sono commosso. Produce quel geniaccio di Gore Verbinski, affiancano Ben Stiller Sean Penn, Kristen Wiig (recuperate lo spassosissimo Girl most likely) e l'immortale Shirley MacLaine.

martedì 15 aprile 2014

bello senz’anima


Da queste parti Wes Anderson è autore amatissimo, e dopo quel capolavoro assoluto di Moonrise kingdom mi aspettavo grandi cose dal suo nuovo film. Ma The Grand Budapest Hotel è “soltanto” un delizioso esercizio di stile fine a se stesso, una coloratissima scatola cinese di racconti, un continuo «guarda chi c’è!» e «guarda com’è conciato!», una divertente commedia tra slapstick e cartone animato che sembra un apocrifo ben riuscito, l’omaggio di un fan ricco e scatenato. Confezione impeccabile, cura maniacale, inquadrature che sembrano opere d'arte, rimandi al cinema che fu, un continuo invito al gioco e allo stupore, ma manca l’emozione. Nello strafottio di attori spiccano Tilda Swinton (forse la migliore), Willem Dafoe in versione villain da espressionismo tedesco, Ralph Fiennes, Harvey Keitel, Saoirse Ronan e la rivelazione Tony Revolori. Ma quanto è bella Léa Seydoux?

venerdì 11 aprile 2014

passano gli anni (ma otto son lunghi)


Uh se è invecchiato male Yannick! 

giovedì 10 aprile 2014

indovina chi


(davanti alla macchinetta del caffè)

- Quand’è che si vota? 25 e 26?
- 24 e 25 credo.
- Ma di solito non si vota domenica e lunedì? Sai quelle cose tipo salviamo il mare…
- Il mare si salva se la gente non ci va.
- Non fare lo snob!
- Io sono snob…

mercoledì 9 aprile 2014

ninfomaniaco


Beh, è o non è la settimana di quella meravigliosa creatura cinematografica che è Nymphomaniac vol. 1? E allora parliamo di sesso. Da un'idea nata qui ma sviluppata qua, ecco la mia classifica (in ordine alfabetico) dei dieci film (erotici e non) più arrapanti per il sottoscritto. I più recenti sono dell'86, traete voi le conclusioni...

Avere vent'anni (1978)
Visto con colpevole ritardo, ma amato tanto. Non è che poi sia così esplicito, e la brutalissima scena finale lo fa smosciare per un bel po'. Ma Gloria Guida e Lilli Carati, giovanissime e arrapantissime, sono in stato di grazia. Fernando Di Leo fotografa il periodo meglio di tanto cinema impegnato.






Diavolo in corpo (1986)
Bellocchio rifà Autant-Lara ambientando il film ai giorni nostri. Famosa la censuratissima scena del pompino, ma il film, cerebrale e malato, si fonda su una strepitosa Marutschka Detmers, la cui risata per me è sensuale almeno quanto il corpo pazzesco che aveva all’epoca (chissà adesso).







Emmanuelle 2 l’antivergine (1975)
Il capitolo migliore della trilogia (come dite? ne hanno fatti altri? impossibile), un vero manifesto femminista in chiave erotica. Sylvia Kristel non è mai stata così sexy. Da vedere nella versione integrale, e pazienza se Umberto Orsini un po' ha la sua voce, un po' no.






Eva man (1980)
Il trash elevato a minicapolavoro. Debutto di Eva Robin's, bellissimo/a, che gioca ancora a fare l'ermafrodito insieme alla compianta Ajita Wilson. Giochino divertente che, proverbialmente, dura poco e non si prende mai sul serio.








Flashdance (1983)
Come che c’entra? Intanto Jennifer Beals. La classe operaia che va in paradiso, almeno per un po', e balla. Quel sudore ormonale e palestrato anni Ottanta. I calzerotti anni Ottanta. E, da allora, vedere qualcuna togliersi il reggiseno da sotto al maglione non è più stata la stessa cosa.







L'alcova (1985)
All'epoca non sapevo che inferno stesse passando Lilli Carati, che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente qualche anno dopo. E infatti è da allora che non rivedo questo Joe D'Amato decadente e dannunziano... Grande cast completato da Laura Emmanuellemenoemme Gemser e Annie Belle.







L'insegnante (1975)
Poteva mancare un film del nume tutelare di questo blog? Certo che no. La sora Edwige inaugura il filone studentesco con doccia mostrando una classe (ops!) che Nando Cicero non avrà mai più. Contorno di comprimari classici e non, compreso un irresistibile Vittorio Caprioli.







La cicala (1980)
Una delle migliori prove di Alberto Lattuada, scopritore di tante “fanciulle in fiore”. Qui le giovani gnocche sono Barbara De Rossi (parliamo di 24 anni fa!) e Cleo Goldsmith (che fine ha fatto?) che, con Tony Franciosa e Virna Lisi, danno vita a un noir all’italiana torbido e sensualissimo.








Nove settimane e mezzo (1986)
Ancora Adrian Lyne prima che lo inghiottisse l’oblio. Se lo spogliarello, come tutti gli spogliarelli, mi annoia a morte, e la scena del frigo è vagamente ributtante, ho sempre trovato eccitantissime la masturbazione davanti alle diapositive e la scopata nei sotterranei.






Oh, Serafina! (1976)
Ancora Lattuada, per una commedia sottovalutata e invece bellissima, che parla di corruzione, anime pie, malattie mentali vere e presunte, protagonista un Renato Pozzetto in stato di grazia. Che c'entra con l'erotismo? Dalila Di Lazzaro, stratosfericamente gnocca e molto brava. Uno dei rari casi in cui un po' ti arrapi, un po' ti commuovi.

martedì 8 aprile 2014

repetita iuvant


Sono contento. Sono contento perché quel disgraziato di evaso sta bene. E ha risposto al mio Liebster Award con un post che spezza quasi un anno di silenzio, rilanciandomi altre dieci domande da bravo Letterman de noantri (sì, però, non è che adesso mi va in pensione pure lui?!?). Potevo non rispondere? Certo che no, ecco quindi un’altra vagonata di cazzi miei. Ho solo cambiato un po’ l’ordine delle domande, spero che a evaso non dispiaccia.

Che numero di scarpe porti?
41-43, dipende dal tipo di scarpa.
Hai mai fatto il quadro svedese, quando eri alle medie?
Mi terrorizzava, inventavo sempre una scusa per non farlo.
Se domani dovesse morire un cantante, chi vorresti che fosse?
Uno di quelli che inneggia alla camorra o al fascismo.
Il fatto che Renzi al liceo venisse chiamato "il Bomba", cosa ti fa pensare?
Che gli mancano tre buchi nel sedere per essere cicciobombo cannoniere e andare ad abitare in Francia?
Di quale colore non metteresti mai le mutande e perché?
Quelle con i disegni, le fantasie… Le mutande sono già un oggetto ridicolo di per sé, perché aggiungere elementi ulteriormente patetici?
Credi più agli ufo, al mostro di Loch Ness o che Amanda Knox sia innocente?
Io ci credo, agli ufo. Ma gli ufo, a me, ci credono?
Hai mai completato il cubo di Rubik senza barare?
Certo che ho barato, ne andava della mia salute mentale.
Chi-cosa ti manca di più?
I miei genitori.
Ti stai vergognando di rispondere a queste domande?
Assolutamente no.
Cosa pensi che dirai, un attimo prima di morire?
Ma che, proprio mò?

lunedì 7 aprile 2014

anche i dantès hanno cominciato da piccoli


È sempre colpa del Cannibale. Dice «faccio la lista dei film con cui sono cresciuto» e a me e ad altri cento viene voglia di emularlo. Perché magari di cinema ne capisce poco (scherzo!!!), ma spesso ha delle buone idee. E quindi eccoli qui, dieci, rigorosamente in ordine alfabetico, e tutti visti prima del mio diciottesimo anno d’età (sono esclusi i film erotici – o quelli che comunque mi fanno arrapare – perché a loro credo che dedicherò un più generico post a parte).

Casablanca (1939)
No, non ero ancora nato, piantatela con queste ironie fuori luogo. Però è stato il primo classicone di cui mi sono innamorato. Ancora più dei musical di cui parlavo l’altro giorno: Top hat mi ha fatto innamorare del cinema, Casablanca mi ha fatto innamorare di Casablanca.








Frankenstein junior (1974)
Devo anche spiegare perché? Dialoghi irresistibili che conosco a memoria, un manipolo di attori fantastici, divertimento allo stato puro.









Il cacciatore (1978)
E lo so, qui mi ripeto, ma è vero: c’è stato un periodo nella mia adolescenza che lo vedevo ogni santa volta che passava in tv. Perché è un capolavoro, durissimo e bellissimo. E piango sempre senza ritegno alle scene della roulette russa, della caccia e a quella finale.








Il secondo tragico Fantozzi (1976)
Perché è il migliore della serie, il più divertente e il più disperato. Non si contano le volte che l’ho visto, e alcune sequenze le conosco a memoria. E pure voi, lo so.

Innamorarsi (1984)
Credo sia stato il primo film “serio”, di sicuro la prima storia d’amore tout court che abbia visto al cinema. Piccolo film ingiustamente dimenticato. La coppia DeNiro-Streep fa faville, la scena dei regali scambiati è una delle più tristi che io ricordi.








Jesus Christ Superstar (1973)
Faccio outing: ho già raccontato di aver fatto scappare i miei dal cinema in cui lo proiettavano perché quegli hippy drugaà che strillavano sullo schermo mi facevano paura (avevo quattro anni…). Quello che non ho mai detto è che, in seguito, per parecchio tempo, come per una forma di contrappasso o di prova di maturità, tutte le volte che lo beccavo in tv ne guardavo almeno un pezzetto.






Mary Poppins (1964)
Delizia pura, uno dei pochi film “natalizi” che adoro. Ancora oggi, almeno un pezzetto, se capito davanti a una tv accesa sotto le feste, lo guardo sempre volentieri. E le canzoni mi ritrovo a canticchiarle così, d’improvviso, senza un motivo, film o non film.








Non si sevizia un paperino (1972)
No, il famoso nudo della Bouchet davanti al ragazzino non c’entra, anche perché la Bouchet non è mai stata in cima ai miei pensieri erotici. È però uno di quei thriller malati all’italiana che mi sono sempre piaciuti, con un ottimo cast, una notevole e urticante ambientazione paesana e un colpevole insolito per l’epoca.

Profondo rosso (1975)
Tutte le sante volte, finita la visione, un po’ di caghetta a passare davanti a uno specchio ce l’ho ancora. Il miglior Dario Argento di sempre. Clara Calamai (altro che Ossessione!) fa paurissima.









Vergine, e di nome Maria (1975)
Sequestrato per vilipendio della religione, dissequestrato mutando il titolo in Malìa, oggi è invisibile. Eppure, curiosamente, nei primi anni Ottanta girava abbastanza nelle tv locali. Mi affascinava la storia di questa ragazzina epilettica che rimane incinta e tutti pensano sia stato lo spirito santo e non un povero ritardato (Alvaro Vitali in una dei suoi rari ruoli seri).

venerdì 4 aprile 2014

'nto culo a mr. wolf/2


E dopo il Boomstick Award, il simpatico autore di questo blog è stato insignito ancora una volta del Liebster Award. Grazie, grazie, grazie ad Alessandra che spero mi scuserà per il ritardo con cui rispondo. E grazie anche a tutti voi per il sostegno, la stima e la cena che mi offrirete. No? Nessuna cena? Occazzo. Ma non importa, sai, ci avevo judo… Bene, le regole del Liebster sono sempre più o meno quelle:

1 - rispondere alle domande di chi ci ha nominato
2 - nominare altri tre blogger con meno di 200 follower
3 - proporre ai candidati 10 nuove domande
4 - andare nei singoli blog e comunicare la nomina

I miei premiati sono:
il cartolibrateo, perché le sue interviste a Dio mi fanno schiantare
minnelisapolis, per il secondo anno consecutivo, non per mancanza di fantasia ma perché se lo merita
repetita iuvant, nella speranza che torni a scrivere. va bene anche una volta al mese, dai

A loro l’onere di rispondere a queste dieci domande: 
1) Come stai?
2) Come vorresti stare?
3) Quanto tempo navighi su internet, più o meno?
4) Qual è l’ultimo film visto al cinema? Ti è piaciuto?
5) Dove l’ultima vacanza?
6) La tua prima pulsione sessuale di cui hai memoria?
7) Che lavoro sognavi di fare da bambino/a?
8) Una canzone che ti descrive?
9) E se domani?
10) A quale di queste domande non avresti voluto rispondere?

Ed ecco infine le risposte ai quesiti di Director’s cult:

Qual è il film che ti ha fatto innamorare del cinema?
Domanda difficile, probabilmente uno dei vecchi musical che davano una volta in tv. Cappello a cilindro, direi.
La rivista cinematografica/web che leggi di solito?
Non ne leggo più, preferisco i blog, spesso gli ultimi veri baluardi critici. Sui giornali la critica è morta da tempo, non solo quella cinematografica.
Se potessi riscrivere il finale di un libro, quale sceglieresti?
L’ombra del vento di Carlos Zafón. Nell’ultima pagina farei confessare all’autore che si è divertito a scrivere una roba così brutta ma che in realtà lui è un romanziere di quelli veri.
Se fossi un personaggio cinematografico, quale vorresti essere?
Il protagonista di Cantando sotto la pioggia. Perché? Vedi la prima domanda…
Pensi che la nuova era digitale abbia danneggiato la fruizione di un film in sala?
No, assolutamente. Il problema è che le case di distribuzione, almeno in Italia, sono rimaste ferme a logiche di trent’anni fa. La loro miopia, la loro acquiescenza nei riguardi delle madaminchie e dei cinepanettonari, la loro totale mancanza di rispetto nei confronti delle nuove generazioni appassionate, cresciute a pane e emule costrette a scaricare film che altrimenti non vedrebbero mai o vedrebbero con anni di ritardo: questo sì danneggia il cinema.
Quando un film viene tratto da un libro, le tue aspettative vengono soddisfatte?
Mai. Per questo, mentre guardo il film, cerco di dimenticare il libro.
Pensi che il gusto del pubblico sia cambiato nel corso degli anni?
Sicuramente, ma non credo che sia migliorato o peggiorato, è solo che tutto cambia, si trasforma.
Se potessi cambiare un evento storico, cosa faresti?
Salverei la gente morta ammazzata nelle stragi terroristiche e mafiose.
Quali sono per te i film del 21esimo secolo da conservare per le nuove generazioni?
Uh, troppi. E siamo solo nel 2014… Di qualcuno ho parlato qui, qui e qui.
Se avessi la lampada di Aladino, quali sono i tuoi tre desideri che vorresti esaudire?
Me ne bastano due. Primo, che non muoiano più le persone a cui tengo. Secondo, avere un’inesauribile fonte di denaro. Che i soldi magari da soli non danno la felicità, ma ti permettono di non lavorare e dedicarti alle cose, e alle persone, che ti piacciono veramente.

giovedì 3 aprile 2014

neil armstrong o vita spericolata


Io li vorrei conoscere quelli che hanno pensato 'sta cosa della lista, ché tanto bene non devono stare. Allora, è successo questo (mettetevi comodi che pare sarà un post lungo): Capitan America, nel secondo film della saga (titolo italiano Captain America: the winter soldier), a un certo punto annota in un taccuino le cose che laggente gli ha consigliato di recuperare rispetto a quei sessant'anni che ha passato nel freezer. I buontemponi Marvel hanno deciso di adattare questa lista, almeno nei Paesi dove il mercato è più forte: così è sparito Steve Jobs (macheccazzo!) ed è arrivato Benigni (immagino non quello di Televacca o de L'inno del corpo sciolto), è scomparso l'allunaggio ed è arrivato Vasco Rossi (sarà per la Steve Rogers Band? in ogni caso, che sia il Vasco antecedente a Stupido hotel, sennò m'incazzo di più). Ma parliamo del film. Che, signori miei, nonostante i registi (ma che vi ha fatto Capitan America, perché lo date al primo che passa?) è una figata pazzesca. Oh, finalmente! Era da un pezzo che volevo dirlo riguardo a un film Marvel, ma mancava sempre qualcosa. Stavolta ci siamo, è proprio fico. Punto. Forse perché non è poi così tanto un film su Capitan America? Chissà. Perché qui in realtà in ballo c'è soprattutto lo S.H.I.E.L.D. (gesù, io a Nick Fury nero non mi ci potrò mai abituare!), è una sorta di spy story con contorno quasi accidentale di supereroi (ma quanto è deliziosamente vintage Falcon? almeno quanto le scene allo Smithsonian), con una gnoccheggiante Scarlet vedovanera Johansson e un Robert Redford perfetto nel ruolo del pezzo di pane che si rivela (spoiler) la peggiommerda. A trovargli un difetto (no, non Chris Evans, dai, su!), a trovargli un difetto, dicevo, ci sono dei fantastici dialoghi Marvel style, delle fantastiche scene d'azione Marvel style, però separatamente: e questo non è molto Marvel style... Ah, restate fino alla fine, mi raccomando, ci sono ben due scene aggiuntive. E alla prima, lo ammetto, mi sono emozionato. Andiamo al forte di Bard a veder girare il sequel de I Vendicatori?!?

martedì 1 aprile 2014

shakespeare in war


Per festeggiare la menzogna, lo scherzo, lo sberleffo, la truffa, insieme ai “soliti” blogger, stavolta non ho avuto dubbi. Faccio outing subito: avevo dimenticato l'originale. Avevo bene in mente il remake-omaggio di Mel Brooks, persino ne canticchiavo il motivo, ma di Vogliamo vivere! (To be or not to be) ricordavo quasi nulla. Eppure è un film perfetto, un capolavoro di complessa leggerezza (o leggera complessità) come solo Ernst Lubitsch riusciva a concepire. Pochade divertente fino alle lacrime ma anche drammone di guerra, amarissima presa di coscienza e satira tagliente sul nazismo (e siamo nel 1941, ché adesso sono bravi tutti), metacinema e metateatro lievi come un soffio e profondi come la Storia. Un fiotto (o fottìo?) di attori straordinari che recitano la parte di attori molto più ordinari, equivoci e travestimenti, spy story e tragedia reale che avanza ineluttabile, una Carole Lombard purtroppo al suo ultimo film, morta poco tempo dopo in un incidente aereo ad appena 33 anni. Che aspettate a vederlo?

 

Insieme a me festeggiano il primo aprile anche loro: