mercoledì 25 maggio 2011

basso impero


Uno sembra un ex pugile ma è un medico, da quello che riesco ad ascoltare. Racconta di come quindici anni fa abbia usato i suoi 350 milioni per comprare case che adesso vuole vendere a cadenza annuale, per godersi i soldi nei suoi sessant’anni. E un po’ mi sta simpatico. L’altro, un po’ anonimo, sembra più vecchio ma è più giovane di poco. Abbassa la voce e inizia a parlare di politica, mentre il primo annuisce. Parlano del dopo, di lunedì e di cosa accadrà se vince quello o quell’altro. Del suo aver creduto a qualcuno, qualcosa, prima di rendersi conto della pochezza dell’insieme. Il tutto senza polemiche e bassezze, ragionando lucidi davanti a una bistecca, parlando di persone e non di fango. Per capire tutto ci vorrebbe Marlee Matlin, ma mi diverte l’aria da cospiratori. Quando pensavo alla “maggioranza silenziosa”, l’immagine era un’altra. Questa, però, è più divertente.

domenica 22 maggio 2011

che le balle ancora gli girano


Avevo lasciato Rachid Bouchareb col suo compitino, senza sapere che avesse prodotto i film di Bruno Dumont, uno di quegli indigesti che servono polemiche a Cannes su un piatto d'argento. E proprio da Cannes, quello dell'anno passato, arriva Uomini senza legge (Hors-la-loi, traduzione quasi passabile). Film che aveva fatto incazzare i francesi. Come dar loro torto, visto che ricorda una pagina scandalosa del loro periodo coloniale? Bouchareb racconta la storia attraverso una sorta di gangster movie filtrato attraverso gli occhi di tre fratelli (il cazzaro, l'uomo di famiglia, il malato di rivoluzione) che funziona, a dispetto delle critiche di allora, tiepide come l'acqua per il bidet. Certo 138 minuti sono tanti e qualche momento didascalico poteva essere sacrificato, ma complessivamente si tratta di buon cinema.

P.S.: boicotta anche tu il Pathé. Un cinema che costa 8 euro, non ha birre ma solo tanti zuccheri e coloranti, e quando comincia il film non c'è il sonoro. Schifomerda!

venerdì 20 maggio 2011

dio c'è (e gioca a the sims)


Qualcuno sa perché certi film escono il mercoledì? Non so, sarò abitudinario ma la trovo una cosa odiosa come il campionato spalmato per mezza settimana. Vabbè, in ogni caso sono reduce da The tree of life di Terrence Malick. Che non potevano chiamare L'albero della vita visto che c'era già quello di Aronofsky (titolo originale The fountain), per non parlare dell'omonimo del '57 (titolo originale Raintree County) durante la lavorazione del quale il povero Montgomery Clift si sminchiò così tanto da doversi cambiare i connotati. Ma veniamo a Malick, che ha un difetto che raramente si perdona a un regista: fa un film ogni morte di papa, dunque si pretende che faccia sempre un capolavoro. E L'albero della vita, che pure ha molte grandi belle idee di regia e un cast eccellente (da Brad scucchia Pitt a Sean Penn ai bambini che sono davvero perfetti), un capolavoro secondo me non è. Perché va bene la cosmogonia (e la butto via...), va bene la sequenza con i dinosauri che vale da sola tutto il giurassico di Spielberg, va bene anche la voce fuori campo dei vari personaggi smentita puntualmente da ciò che accade (e alla fine, mr. Malick, lei è ateo, incazzato con dio o fervente cattolico? quizas, quizas quizas)... ma il tutto miscelato a una colonna sonora insopportabilmente sinfonica (avete mai pensato che magari Bach e Mahler scrivevano le loro sonate dopo aver scopato e non dopo essersi martellate le palle?) e a un finale volemose bene che non si regge, lascia un po' di amaro in bocca. E ahimè, non sono le bolle di ritorno dell'aperitivo delle sette.

giovedì 19 maggio 2011

le tentazioni del dottor dantès


La donna dice qualcosa al figlio, mi chiede un’informazione, ringrazia con quella fossetta che conosco, va via. La mia collega segue il mio sguardo che segue lei, sorride. Mi tocca spiegarle. Non la conosci? È un’attrice. E, amica di mia sorella, bazzicava casa mia trent’anni fa. Me la ricordo valletta nelle tv locali, poi le scuole vere di recitazione con due mostri sacri, quello spettacolo in cui parlava dei suoi, un bel po’ di teatro, un paio di film, diverse apparizioni nelle serie tv. E ogni volta, inevitabilmente, il ricordo di quanto scatenasse il mio ormone fin da bambino.

martedì 17 maggio 2011

piccola pesca


Se raccontassi la trama di Angèle e Tony smettereste di leggere. Eppure, credetemi, il film di Alix Delaporte è bellissimo. E il suo segreto è nell'evitare le pippe, le lungaggini, gli spiegoni, il moralismo, la morbosità, la psicologia d'accatto domenicale. Non sappiamo cos'ha fatto (e cosa hanno fatto ad) Angèle (una meravigliosa Clotilde Hesme), non sappiamo cosa sia successo a Tony (perfetto Grégory Gadebois). Onestamente? Chissenefrega: si sa solo che sono due persone incapaci di amare. Nel mezzo – chissà quanto serpeggerà tra gli ignari pianerottolari di casa nostra - lo sbando di una comunità di pescatori in Normandia. Angèle e Tony si incontrano, si annusano, si conoscono. E quella che doveva essere una pezza nella vita di Angèle diventa amore. Ho tanto pianto. La frase più bella non è nel film, l'ha detta una vecchietta alle mie spalle, mentre lui le fa ripetere le battute dello spettacolo, subito prima che, finalmente, si bacino: semplicemente «E dai, su!».

lunedì 16 maggio 2011

fieri del salone


L’immagine più bella: due ragazzi, meno di trent’anni, bocca semiaperta e mano nella mano, dormono seduti davanti alla Rizzoli. Semimbucato in sala stampa, chiacchiero sui sedili di un aereo che non partirà mai con un’altra bloggamica che finalmente ha un volto. Scopro che fare lo scemo con Battiston mi viene incredibilmente naturale. borgheziocotagiordanozecchisgarbi scorrono via dai miei occhi come verso qualche canale di scolo. I geni della Marvel pubblicano raccolte che sembrano ristampe anastatiche: stessa carta, stesso inchiostro, profumo di editoriale Corno, ricordi di trent’anni fa; la mia madeleine si chiama Thor.

giovedì 12 maggio 2011

noi non giuriamo niente perché non c'è bisogno


E poi scopro che ci sono persone a cui tengo che ancora non lo sanno. E mi dispiace, e subito scrivo «Sì, è vero, finalmente». Poi vado a casa a spaccarmi la testa sugli ultimi titoli del quiz di Moretti – non so ancora che mi apparirà in sogno l'arcangelo Jennifer Beals ad accendermi una lampadina che con lei poi non c'entra quasi nulla – e mi telefona il mio amico A. E la moglie di A., stretta nel pianerottolo della sua mediocrità, non si trattiene e mi dice «Scommetto che tempo un anno vi sposate». Non la sfiora il sospetto che potrei portarle via ogni bene materiale, se ne avesse. Non la sfiora l'idea che se non mi sposo non è per paura, perché così posso fare il cazzo che voglio, perché non voglio avere responsabilità. Non mi sposo perché mi fa ribrezzo l'idea del contratto. E perché trovo il tutto ridondante come una pioggia di aggettivi in una frase di due righe. Come se condividere giorno dopo giorno la propria vita con la persona che si ama sia uno scherzo se non c'è di mezzo il circo dell'abito bianco. Come se una donna che cambia vita e città per stare con te dovesse ancora dimostrarti che ti ama con un anello e due confetti. A. moglie di A., sai che ti dico? Ma vaffanculo.

P.S.: questo post era sparito nel blackout di blogspot, i commenti sono stati fagocitati. Se avete voglia, riscriveteli.

mercoledì 11 maggio 2011

dell’uso degli avverbi nelle canzoni napoletane


È il terzo atto quello che commuove di più, ma è anche quello più convenzionale, quello che quando comincia sai dove andrà a parare. Di sicuro ti rimangono dentro tutti i sei personaggi della Trilogia degli occhiali di Emma Dante. Indimenticabili come la famiglia di Mpalermu, la madre di Vita mia, il travestito di Mishelle di Sant’Oliva. Ma quanto è brava 'sta donna? E che meraviglia di attori sceglie per i suoi spettacoli? A proposito di Mpalermu, m’è tornata in mente Dona e la nostra visione notturna in dvd e come sarebbe bello se tornasse a scrivere su un blog. Il titolo? Mi è venuto in mente ascoltando Indifferentemente, bella e nobile come il «distrattamente pienze a mme» di Reginella.

domenica 8 maggio 2011

negli anni settanta per me mighty significava mitico


A volte mi stupisco ancora, leggendo le recensioni. Tutti a meravigliarsi di Kenneth Branagh regista di Thor, quasi nessuno a stupirsi di Sam Raimi alle prese con l'Uomo Ragno o Bryan Singer con gli X-Men. Segno che nessuno di lorsignori ha mai preso in mano un fumetto dei supereroi; o peggio magari l'ha dimenticato, o ha fatto finta di. Branagh ha rielaborato in modo eccellente tanto Shakespeare, il quale quasi sei secoli fa, con il genio di cui era capace, ha giocato con la storia, con i miti, con le famiglie, con il sangue: chi meglio di lui avrebbe potuto affrontare la reincarnazione Marvel di un mito scandinavo? Purtroppo la ciambella è riuscita a metà: il film funziona molto bene su Asgard, moto meno quando si svolge sulla Terra. Non basta la bravura della maggior parte degli attori (Tom Hiddleston su tutti, persino su Anthony Hopkins), non bastano le suggestive scene di battaglia: la Portman è più insopportabile del solito, le inquadrature sghembe sono inutili, il 3d serve solo a spillare soldi. Dopo i titoli finali c'è anche stavolta una coda: sappiatelo, anticipa poco o nulla. E Nick Fury nero, io, non riesco ancora a capirlo.

giovedì 5 maggio 2011

è difficile spiegare quel che anch'io non so capire


Emidio Greco è un regista strano. Parco, quasi rancino nell'elargire film. Ogni tot anni, dopo che ti dici «Ma che fine ha fatto?», rieccolo. Anzi, tutto sommato negli ultimi anni ha alzato la media. E dai suoi film (ok, prima avevo visto solo L'invenzione di Morel, Una storia semplice e Milonga) esci con il dubbio che beh sì va beh. Del tipo, quello di Sciascia è un libriccino bellissimo, Una storia semplice dura 80 minuti che sono già troppi. Notizie degli scavi (che come dice saggiamente il mio ammmore «è triste come una domenica pomeriggio») non smentisce il giudizio. Film corto ma lungo come un documentario sulla Villa di Adriano a Tivoli, in cui tutti parlano, parlano, parlano troppo. E parlano con i punti di sospensione, senza dire, buttano lì, ché tanto nessuno degli altri personaggi sta davvero ad ascoltare. Iaia Forte se li mangia tutti, la leggiadra malinconia di Ambra Angiolini come le manie autistiche di Battiston. Viene voglia di leggere il racconto di Fruttero, poi boh.

martedì 3 maggio 2011

il secondo secondo me


Di Moon mi innamorai all'istante e ne scrissi qui. Il secondo film di Duncan Jones lo aspettavo e lo temevo, avendo visto un trailer (signor giudice non lo feci apposta, lo diedero prima di un film...) al termine del quale mezzo cinema mi sentì sussurrare «Che cacata!». E invece, complice Unfattovéro che mi ci ha portato, ho scoperto una pellicola che, pur non avendo nulla del genio di quell'opera prima, funziona bene, appassiona, intriga. Poi, vabbè, sono della generazione che «ammè m'ha rovinato Zemeckis» e quindi, sorridendo del (e con il) prologo di Ritorno al futuro III, tendo da vent'anni a smontare e analizzare i cazzi e i mazzi dei film in cui, in qualche modo, si viaggia nel tempo. Peraltro inutilmente, ché le mie quasi nulle conoscenze in materia mi fanno solo venire il mal di testa. E comunque Source code non è un rompicapo, in fondo è una storia d'amore. Più che altro amore per la vita, la propria e quella degli altri. Ah, a me il naso di Michelle Monaghan fa proprio un gran sesso.

lunedì 2 maggio 2011

noi no


Mi dicono che alla fine quei due abbiano detto sì, senza neanche un po' di suspence né un colpo di scena alla Agatha Christie. Mi dicono poi che a Sposini sia preso un coccolone. E che quell'altro invece stia sempre là. Uh, è morto Bin Laden, una morte a minchia, non di quelle che racconti insomma, ma d'altra parte se sei morto a chi la racconti? Quello invece, con i suoi cortigiani, sta sempre là. Mi dicono anche che Roma sia sopravvissuta al beato-Giampaolo-che-strinse-la-mano-a-Pinochet. E mi dicono del concertone, ma quello l'ho visto per due orette a spizzichi e bocconi, audio quasi nullo, in un pub. Perché in tutto questo noi si stava in vacanza. Vacanza da tutto, ché solo dal lavoro è troppo facile. Cinema, amici, sesso, cibo, intimità e una città dove, com'è noto, non si perde neanche un bambino. Pirupirupirulì.