domenica 28 febbraio 2010

cartier cardin gucci


Cara Sandali, che dire? Mi sono impegnato ma, evidentemente, io e le modelle abbiamo frequentazioni diverse. Però Milano in questo weekend sembrava Istanbul, peccato mancasse il mare: freddo, estate, grigio, così così (giusto a smentire che non ci sono più le mezze stagioni). E poi c'erano un sacco di fotografi, dal più scafato alla mezzasega. Ah, e stranieri come se piovesse. La cosa più vicina a una stragnocca è stato un gran bel paio di gambe avvolto da un gonnellino stile collegiale, ma già il resto - a guardar bene - era noia. Tuttavia almeno un contributo al dibattito sulla moda voglio darlo: qualcuno può spiegarmi gli stivali senza tacchi? quelli che sono talmente rasoterra che sembrano anche senza suola?

mercoledì 24 febbraio 2010

sempre meglio che lavorare (appunti)


Il Veneto è un posto che quando ci sei, anche se ci arrivi bendato, anche se la gente intorno non parla, dici «Sono in Veneto». E non è una cosa necessariamente negativa. È un fatto. Un fatto véro, come direbbe il mio ammmore.
Ritrovarsi a cena con qualcuno che sai di conoscere ma non hai idea del come e perché e che, grazie a dio, si ricorda di te e non ti fa annaspare nel nulla dei tuoi neuroni, è fantastico. Specie se il tizio è di Monza, il paese che di solito se la tira di più al mondo dopo Alba.
Le mani grandi, grosse, saranno uno stereotipo, ma questi ci lavorano e io non smetto di guardarle. Fascino, rispetto, un pelo di paura, ché se ci litighi ti rincagnano il naso come niente.
C'è qualcuno che ha mai seguito dall'inizio alla fine una presentazione in Powerpoint? E perché?
Preparo un discorso che mi sembra cortissimo. Poi non lo leggo, improvviso, ed è subito sera. Bisognerà che ci rifletta. Ma domani si torna otto ore davanti a un computer.

lunedì 22 febbraio 2010

vedi alla voce: a mò?


Incollato nella stretta poltrona di un raianér in ritardo, cerco di affogare l’incazzatura divertendomi con Queneau. Mentre l’altoparlante passa da un incomprensibile inglese stile Montesano che sfotte i film di guerra americani a un italiano stile Milano da bere dei Vanzina, sbircio il mio vicino e il suo cellulare, meditando sul fatto che se stiamo per decollare forse il tizio dovrebbe spegnerlo o, al limite, ficcarselo su per il culo. Ma ecco che la curiosità prevale e l’occhio cade sul display. Il tipo, mio coetaneo, sta scorrendo la rubrica: al terzo-quarto nome, Amore. Ammetto che, per due nanosecondi, l’adolescente che si nasconde (molto bene) dentro di me e che di solito viene fuori al massimo davanti a un porno, si è quasi commosso. Poi però la cosa mi è sembrata di una tristezza infinita. Voglio dire, la persona amata avrà un nome. Al massimo un nomignolo, che mi sembra decisamente più carino da segnare in rubrica. Ma mettere Amore in rubrica è un po’ come scrivere Idraulico solo perché non ci si ricorda mai come si chiama.

giovedì 18 febbraio 2010

fabulous eighties


Mia zia
- Non hai idea di quanto mi dispiace non avere internet!

La mia vicina
- Col digitale vedo solo i comunicati mentre cucino, ma nell’altro televisore ho la parabola e vedo sempre quella. A me piacciono i documentari dei posti lontani, i monumenti, le persone degli altri paesi. Con queste gambe non ci posso andare, almeno li vedo così.

mercoledì 17 febbraio 2010

magic shop


Lourdes mi intrigava soprattutto per il fatto di aver vinto due premi a Venezia, uno dell'associazione cattolica Signis, l'altro (il Brian, chiamato così dal film dei Monty Python) dell'Uaar, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. Ebbene, è proprio vero: comunque la pensiate, Lourdes va visto. Per nulla lento, nonostante una rigorosità quasi da Dogma (quello di von Trier - meglio specificare, visto l'argomento), ha lo scopo ben riuscito di disseminare dubbi. Per tutti. Un balsamo, in una società che predica certezze. E lo sguardo di Sylvie Testud, miracolata o forse no, vale da solo il prezzo del biglietto.

martedì 16 febbraio 2010

il bastone-carota e la carota-bastone


Ok, chi mi segue sa come la penso su soldi e lavoro e conosce bene la mia posizione sull'agonia del capitalismo e sull'inadeguatezza della risposta del socialismo. Ah no? Mai raccontata? Va bene, se scriverò un libro ve lo consiglierò. Ma c'è un articolo che dovreste leggere, qualcosa di ben più agghiacciante di Paranormal activity, ed è su Repubblica. Il titolo? «Lavorare meno, lavorare sempre», ovvero come grazie alle nuove tecnologie ce la prenderemo nel culo al grido di «Bisogna produrre di più!». Cosa e per chi, resta un mistero. Io mi sento già un'esagerazione a quest'ora del pomeriggio, visto che stamattina ho terminato il lavoro in scadenza mentre chattavo con la mia fidanzata, commentavo un po' di post,  scrivevo questo, sceglievo la musica da ascoltare sull'ipod e salutavo una vecchia conoscenza che è tornata in queste Langhe desolate. Ah, ho anche fatto la cacca, del resto non faccio mica il cassiere al Carrefour! Certo, a un dato punto dell'anno ci saranno periodi in cui uscire alle sei e mezza sarà un'utopia, ma saranno giorni, settimane (diononvoglia!). Per il resto potrei lavorare quattro ore piene al giorno e per il resto fanculo. Arrivando magari alle otto del mattino, giusto per non pranzare poi troppo tardi. Oppure lavorare a casa di tanto in tanto, tra una puntata di Lost e due coccole al gatto. Ma il bdcdP è regno dell'ipocrisia e quindi si fa tutti lo stesso orario, zitti e muti, e se si resta dopo una certa, anche se ci si fanno le seghe davanti a internet, quello che conta è il pensiero. Date retta, spira 'na bisa per niente buona: se ne siete capaci, non fatevi fottere.

lunedì 15 febbraio 2010

animali d'affezione


Tranquilli, non parlo di bondi. Parlo di quelle simpatiche bestiole che noi uomini per qualche strana ragione abbiamo deciso di eleggere primas inter pares. Ora, io ho un gatto. E ho avuto altri gatti. E li amo, trovo che siano animali nettamente superiori a molti altri, compreso l’uomo, bestia imperfetta che, giusto per dirne qualcuna, invece di godersi la vita si racconta di anima e super io, s’infligge religioni filosofie psicanalisi, si martirizza il cazzo - o le ovaie - prima di decidersi ad agire, foss’anche per trombare. Ma ci addentriamo su un discorso troppo lungo e io scrivo post corti: torniamo ai gatti. In uno dei tanti spadellatoi televisivi, Beppe Bigazzi, che per essere uno che parla di cibo in tv non è neanche una persona stupida, ha ricordato con dovizia di particolari come si cucinavano (e come si potrebbero cucinare ancora oggi) i gatti. Le prefiche dell’animalismo a spruzzo (metodo do’ cojo cojo) si sono scatenate così tanto che il povero Bigazzi è stato fatto fuori dal programma. Programma che già faceva cacare, adesso sarà solo peggio. Ma il punto è: quante casalinghe disperate, dopo aver ascoltato il prode Bigazzi, avranno davvero pensato a Micio come a un simpatico arrosto per cena? Nessuna. Perché i gatti, in Italia, salvo poche zone e (salvo frodi) in tempi più o meno remoti, servono a farci compagnia quando siamo soli, a farci dire «Bella vita, la sua!» quando li vediamo dormire, a far finta di avere un figlio quando ci cachiamo in mano a pensarne uno nostro. Insomma soddisfano il nostro egoismo di bestie imperfette: un po’ come bondi con lo psiconano, a pensarci bene.

domenica 14 febbraio 2010

che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare


Giorgio Diritti è il nuovo Ermanno Olmi? No, per fortuna. Il tocco è un altro. Più lieve, forse più ingenuo, eppure più incisivo. L'uomo che verrà è un gran bel film. Nulla per cui stracciarsi le vesti, ma avercene di storie potenti come questa. E quanto sono ben rappresentate le onnipresenti ritualità, paure, censure della civiltà cattolica contadina, così convinta e fiera della propria subalternità e così inevitabilmente destinata a soccombere (strepitosa una delle scene finali, in cui il battesimo del neonato si alterna al seppellimento delle statue sacre da parte di uno dei sopravvissuti). Greta Zuccheri Montanari è straordinaria nel ruolo della piccola protagonista, gli altri attori (professionisti e non) di fronte a lei scompaiono davvero. Peccato per il finale che, per quanto emozionante, arriva piuttosto telefonato. Colonna sonora mai banale, tutta da ascoltare.
P.S.: ma quanto è ingrassato Vito?

giovedì 11 febbraio 2010

trappola per polpi


In un ferragosto di quasi dieci anni fa, improbabilmente arrampicato su una scogliera di Saint-Malo («i bambini sì e io no?»), ho perso le paure. Credo siano scivolate nell’acqua gelida, o forse si sono sciolte nei rivoli di sudore e fatica. O magari le ho espulse per via rettale insieme all’enorme granchio che ho mangiato al ritorno. Qualcuna però a quanto pare si è nascosta bene. Qualcun’altra forse ha ritrovato la strada di casa. Fatto sta che anni dopo (e anni fa), un giorno ho aperto la porta ma non riuscivo a scendere le scale. Ho anche conosciuto l’ebbrezza del tako-tsubo che, come ho appena scoperto, non è una posizione sessuale giapponese. Giapponesi che, com’è noto, girano dei porno che fanno cacare. Ma per il resto, compresi i nomi con cui battezzano le cose, sono inquietantemente geniali.

Oggi? Oggi 11 febbraio parlo così

lunedì 8 febbraio 2010

rivoli vari


Sneea «abbondante e leggera giù dal molino del cielo». Lo zen e l’arte della manutenzione dell’amicizia. Un libro iniziato, amato, borbottato, piaciuto, meditato e finito tutto in un aeroporto. Un quartetto di ex sessantottini che cita un motto attribuito a Churchill per giustificare il proprio voto allo psiconano. Baci di bagna caoda, pareti storte su pavimenti obliqui, liberatorie da firmare come prima di un ponte sospeso, parole nuove, antiche vertigini. Certo, spostato dal suo angolo, Charlie non fa surf ma neanche più tanta paura. E il cielo, almeno inteso come massa d'aria che circonda la terra, ci guarda benevolo. Weekend.

sabato 6 febbraio 2010

come se poi nella vita ci fossero i violini


Ci sono cose che non capisco e che probabilmente non capirò mai, cose della cui utilità nel mondo mi sfugge il senso. Come la neve mentre guido. Come le curve in autostrada. Come mcdonald's. Come lo psiconano e la sua corte. Eppure ci sono rari momenti in cui la poesia di un attimo, o una di quelle minchiate che il nostro cervello chissà perché realizza con struggente sottofondo musicale, sembra mi possa fare avvicinare al senso di queste cose altrimenti inafferrabili. Perché la neve che frulla via dai vetri dal basso verso l'alto in mille rivoli, o che sciogliendosi sul tergilunotto disegna strane geometrie, è onestamente qualcosa che starei a guardare per ore, a patto di non andare a sfasciarmi contro la macchina davanti. Perché provare la tenuta di strada della mia macchina tra le curve di un'autostrada deserta, in una bella giornata di sole, mi fa sentire fico anche se accanto non c'è nessuno che mi dice «Certo che 'ste macchine giapponesi, eh!». Perché sapere che da qualche parte qualcuno sta facendo causa, sta facendo una dieta, si sta disintossicando, sta vomitando all'angolo per colpa di mcdonald's mi fa pensare che, magari, quel qualcuno la prossima volta ci penserà due volte prima di tornare in quel posto di merda. E perché pensare... no, ecco, con lo psiconano no. Per quanto mi sforzi, la poesia muore, come in un sonetto di bondi.

martedì 2 febbraio 2010

crucifige e così sia


- 'A ggioventù italiana ha trascorso fin troppo tempo sotto er bbombbardamento de messaggi sbajati e ppericolosi lanciati de vorta 'n vorta da ddivi der cinema, d'a musica, d'a a tivvù. Gente che non si rendono conto dell'impatto drammatico che le parole sue possono avere e che in questa totale assenza de responzabbilità dimostrano il suo scarso valore umano... Ma che mò te ce metti pure te?
- Non sei più comunista, ora siamo gente di potere, siamo cattolici. Non puoi condannare a morte giovani ingenui e sprovveduti! La pena capitale non ce l'abbiamo ancora... Aspetta, tempo al tempo e la rimettiamo.
- In Italia efiftono norme ben precife che, pecquanto riguarda le fostanze ftupefacenti, vietano la loro propaganda attraverfo fpettacoli ed efbizioni! Nzomma, te devi da fa' cura'!
- Dai, Gianfranco, convinciti: per quest'anno Sanremo veditelo a casa e non ne parliamo più!

lunedì 1 febbraio 2010

the winner takes it all



Cioè niente, perché nessuno ha indovinato. La risposta? In Avatar manca la bandiera americana! Vuoi espiare in quanto regista Usa? Mettiti in fila. Poi, quando sarà il tuo turno (no, non adesso! mister Stone prego, mister Soderbergh da questa parte, oh c'è anche lei mister Spielberg, è sempre un piacere vederla!), beh allora toccherà a te. Ora hai capito, mister Cameron? Ci vuole la bandiera, sopra quei cazzo di bombardieri! Perché sarà una favola, sarà una metafora, ma sempre di Usa si parla.
Pirla!