martedì 30 luglio 2013

west for dummies


Per chi ha la mia età, e soprattutto per chi ha qualche anno di più, l'ouverture del Guglielmo Tell (melomani di tutto il mondo smettete di rompere i coglioni, Rossini da uomo di spirito se ne sarebbe fatto una ragione) è stato sempre collegato ai cartoni di Lone Ranger. Perché a un certo punto c’era la resa dei conti, e lui e Tonto – lo sapevamo – si sarebbero fiondati sui cattivi al suono di quella musica. Sull’onda di questa madeleine al sapore di pane e nutella, sono corso a vedere il film di Gore Verbinski aspettandomi tanto. Perché Verbinski è quel genio che aveva diretto Rango, ovvero il western spiegato ai ragazzini, uno dei migliori cartoni animati degli ultimi anni. Sui titoli di coda il mio commento è stato: mh. Con un’acca sola. Che non vuol dire che non mi sia piaciuto: è che mi sono trovato d’accordo con chi ha scritto che ci mette troppo ad arrivare al punto. Lone Ranger e Rango in fondo sono parenti stretti: qui non è il genere western a essere sezionato, qui è il west, inteso come epopea ma anche come grande bugia, a essere eviscerato, rielaborato e raccontato ai ragazzini con un gusto antico per l’avventura e senza edulcorazioni (la storia di come Tonto sia diventato Tonto è esemplare per intensità e concisione, peccato che il film non sia tutto così). Di Johnny Depp s’è detto tutto e il suo contrario, qualcuno ha fatto paragoni con i Pirati: non so che film abbiano visto, io l’ho trovato perfetto, persino misurato. Helena Bonham-Carter con la gamba di legno che spara fa s-ciupé, Armie Hammer ahimè ha l’appeal di un calzino bianco.

venerdì 26 luglio 2013

l'uomo che parlava troppo


Ah, me lo ricordo quando ho visto I soliti sospetti. L'Immacolata, o giù di lì. Uno dei cinema più sfigati di Palermo. La lungimiranza dei distributori l'aveva dato per morto la settimana dopo: come andò lo sappiamo tutti. Come Le iene, d'altra parte: nessun paragone, solo stessa storia di miopia. Eppure, un filmone. Regia dell'allora sconosciuto, grande, Bryan Singer (vabbè, si è anche impantanato con Superman returns e Il cacciatore di giganti, ma non sottilizziamo). Un film in cui Gabriel Byrne riesce a farsi piacere. Cazzo, già solo per quello! Un film in cui Benicio Del Toro è perfetto. E Chazz Palminteri, nato per le due facce della legge, qui è un poliziotto superpiù preso beatamente per il culo. Dulcis in fundo, è il film che lancia nell'empireo cinematografico (e non ci sono cazzi) Kevin Spacey. Non ancora sosia di Ettore Andenna, ma spettacolare nella performance zoppa-storpia di Verbal che lo renderà uno dei personaggi più memorabili dei noir degli anni Novanta. Dialoghi spettacolari. Ritmo che non lascia respiro. Stile che ha fatto scuola. E sorpresona finale. Stranota ormai, ma da me non la saprete. Guardatelo.

 

Questo è il mio omaggio in occasione del compleanno di Kevin Spacey. Realizzato insieme a tutta questa gente qui:

50/50 Thriller
Cinquecentofilminsieme
Combinazione casuale
Cooking Movies
Director's Cult
Ho voglia di cinema
Il Bollalmanacco di Cinema
In Central Perk
Pensieri Cannibali
Scrivenny
Triccotraccofobia
Viaggiando (meno)
White Russian Cinema

sabato 13 luglio 2013

non è un paese per separati


Prima o poi in Italia si accorgeranno di Ivano Di Matteo? Perché è abbastanza scandaloso che nessuno se lo fili. Forse perché non è né un Autore, né quelli che una volta si chiamavano artigiani, né tantomeno un incapace: è “soltanto” un buon regista, autore di storie solide, asciutte, che raccontano l'attualità come pochi, picchiano duro e non fanno sconti politici. Il suo primo film, visto al Tff di qualche anno fa, distribuito in ritardo e solo in dvd, era La bella gente, che all'epoca (e sottoscrivo) definii «un remake di Indovina chi viene a cena? diretto da Fernando Di Leo, ma senza scene di sesso e con una stragnocca ucraina al posto di Sidney Poitier». L'anno scorso è stato sacrificato all'altare di Venezia, ma almeno è uscito al cinema con Gli equilibristi, che io ho recuperato solo qualche giorno fa. Se non l'avete visto, fatelo. Un film la cui trama si può riassumere con una frase chiave pronunciata da uno dei mille piccoli personaggi di contorno (a proposito, grande lavoro di casting): «Il divorzio è una cosa da ricchi». Mastandrea, che si conferma come uno dei nostri migliori attori, offre la sua maschera più dolente a Giulio, che per aver tradito la moglie (Barbora Bobulova) si ritrova fuori di casa, scoprendo l'impossibilità di gestire sentimenti, ma soprattutto soldi, nella nuova condizione che lo porterà a ingrossare le fila degli ospiti della Caritas. Il punto di partenza è poco più di un pretesto, non è un film sulle passioni, ma sulla disperazione, l'orgoglio, lo smarrimento, il disfacimento, l'orrore per quello che siamo diventati, l'amore in tutti i sensi. Proprio a trovargli un difetto, il finale è un po' irrisolto.

giovedì 11 luglio 2013

esco dal mio corpo e ho molta paura


Vedi che a fidarsi dei bloggamici qualche volta si fa bene? L’altra notte, prima di perdere i sensi sul divano fino alle sei e mezza, ho visto John dies at the end. Gioiellino totalmente fuori di testa, un po’ splatter un po’ no, a tratti Cronenberg cazzaro, a tratti Ghostbusters sotto acido, è un film divertente e godibilissimo di cui non racconto quasi nulla per non togliervi il piacere della sorpresa. Diciamo che c’entrano gli alieni, una droga chiamata salsa di soia, due studentelli sfigati (sì, uno è John, che muore, ma forse no), Paul Giamatti che è nero e non lo sa. Dirige Don Coscarelli, sottovalutato regista dell’indimenticato Phantasm e dei suoi tre sequel, ma anche di quel tremendo Conan di seconda mano che era Kaan – visto solo perché c’era quella gnoccazza di Tanya Roberts – e di quel Bubba Ho-tep di cui mi dicono meraviglie. Nessuna previsione di uscita in Italia, ovviamente.

mercoledì 10 luglio 2013

welcome to the machine


Premessa: non ho nessun male né grave né incurabile, ma il mio medico mi ha richiesto una risonanza magnetica. Detto ciò, ci sono cose che sembrano uscite da un tempo lontano, come il fax. Altre che sembrano arrivare dal futuro degli anni Sessanta, da quei film di fantascienza fatti con due soldi, con i computer grandi come stanze, le luci che lampeggiano e quei beeep beeep d’allarme, le capsule che ti ingoiano come camere iperbariche, la testa che deve stare immobile, quella specie di gabbia davanti alla faccia che neanche Hannibal Lecter e capisci perché il medico ti ha detto «Se preferisce, tenga gli occhi chiusi». Prigioniero come in un episodio di Ai confini della realtà, con la soglia d’attenzione di un neonato e la pazienza di un adolescente, al secondo beeeep avrei voluto almeno poter giocare a Ruzzle. E invece ho cazzeggiato. Ed è venuto fuori questo post qui. C'è una morale? Non direi.

martedì 9 luglio 2013

sull'eco del concerto che insieme ci trovò


Lei, Diana Krall, vestito nero e tacchi rossi, Celindiòn con il facciotto, moglie devota (le ha anche scritto una moscia canzone) di Elvis rivincitadeinerd Costello, parole, saluti, ringraziamenti ma mai fuori posto, come i suoi capelli. Calcolata, immobile al pianoforte, la voce col cappello e senza, come forse ci si aspetta da lei, come nel video in quel ristorante, ti ricordi? E noi a chiederci come oggi: quanta tecnica? quanto talento? Mai una zampata. E allora viva il suo imperfetto, matto chitarrista col capello pisciato primi Beatles. Memento: recuperare un'altra qualche versione di On the sunny side of the street tipo questa. Lui, Jan Garbarek, l'ho conosciuto con la ms, prima mai coverto. Non è mai troppo tardi, perché forse sarà lontano dalla musica che ascolto (?), ma a me è piaciuto oltre ogni aspettativa. Lui con quelle sopracciglia un po' sataniche, un po' Elio stravolto. Lui con i suoi pompini al sax fatti con tenerezza, un po' nascosti. Con quel pianista apparentemente impassibile ai giochi di rimando di un Trilok Gurtu in stato di grazia, genio numero uno della serata. Lui neanche una parola, lui con quella faccia un po' così di chi mancava 18 anni da Perugia. Ussignur, Perugia non me la ricordavo così bella. Musica ovunque, di ogni genere, per ogni orecchio. Belle scoperte da uno, due, cinque, dieci euro compresoilcd lanciati nella custodia, musicisti di strada che ti riempiono il cuore più di quelli che avresti pagato il triplo. Una mostra fotografica bellissima, trovata per caso, di quelle che dici «ancora!». Al posto dell'ex pugile scontroso, un ristorante che è piaciuto quasi solo a me, un po' come il chitarrista della Krall. Giardini ombrosi dove il rockabilly si fa cazzaro a dovere. Voglia di restare ancora una settimana. Voglia che ti va bene anche prendere tre treni. Si rifà. Oh sì, se si rifà.


lunedì 8 luglio 2013

filippo c'è


Ci sono cose che vorresti fossero vere, tipo il teletrasporto, perché il traffico t'ammazza sempre un po', come il treno. Ci sono animali che vorresti fossero veri, tipo l'ippogrifo, solo per dire un giorno «Occazzo, ho visto l'ippogrifo» e magari immortalarlo sull'aifòn e aprirti un frenfìd, che feisbuc è troppo sputtanato. Poi, casi e concause ti portano a chiedere al mito, quello che si nega e non sai mai se esiste davvero, quello che se volessi rinascere blog sarei questo. E allora gli scrivi: «Noi siamo a Firenze quei 90 minuti, tu ti fai trovare? La risposta no non vale». Ed eccolo, l'impunito, l'impenitente, quello con quegli occhi sorridenti che ad averci tempo gli racconteresti qualsiasi cosa, sbucare da dietro un totem pubblicitario. Perché Filippo l'abbiamo riconosciuto tra mille, e non c'è stato bisogno di codici, simboli o telefonate: lui c'era. Ed era esattamente come me l'aspettavo. E spiace solo per il poco tempo. Che la voglia di stare, di condividere, di cazzeggiare, era pari solo alla voglia che questo weekend finisse il più tardi possibile. Noi ti aspettiamo a settembre, si sappia.

 (da sinistra, Filippo, la ms, persino Dantès)

giovedì 4 luglio 2013

io so’ io e voi non siete un cazzo


Caro Denis Lavant, io te lo devo dire. Poi fai come ti pare, eh, ma, a costo di fare un film ogni vent’anni, lavora solo con Leos Carax. Perché io poi guardo cose come questa o come Mister Lonely e ci rimango secco. Dici, ma dove l’hai scovato 'sto titolo scognito? Colpa di quelle smutandate di Spring breakers che smanio di stroncare quanto prima e che continuo a non trovare. E colpa del fatto che Harmony Korine a me un tempo piaceva, più come sceneggiatore di Larry Clark che come regista, ma mi piaceva. Insomma, ravanando per torrenti mi sono imbattuto in questa pellicola del 2007 che, leggendo la sinossi, effettivamente mi aveva incuriosito: la sosia di Marilyn (Samantha Morton) incontra il sosia di Michael Jackson (Diego Luna) e lo invita in una comune dove tutti sono sosia di qualcuno, come il marito Charlie Chaplin (Lavant), la figlia Shirley Temple, e poi Sammy Davis jr, Madonna, Abramo Lincoln (ma era davvero così volgare?), i Tre Marmittoni (ma quale sfigato sceglie di fare il sosia di un Marmittone?!?), il papa che va a letto con la regina d’Inghilterra e così via. Ora, io a parte qualche rara canna, non mi drogo: capite che se fai un film del genere e poi non vai da nessuna parte, se non verso lo scontato prefinale melodrammatico e l’happy end pseudomorale, io m’incazzo. E poi le metafore sono come i nervi, non devono essere scoperte. Tuttavia non è mica tutto da buttare: la storia parallela di Werner Herzog missionario con le suorine miracolate è un tocco di genio che però, in questo contesto, finisce sprecato.