Ci sono cose che vorresti fossero vere, tipo il teletrasporto, perché il traffico t'ammazza sempre un po', come il treno. Ci sono animali che vorresti fossero veri, tipo l'ippogrifo, solo per dire un giorno «Occazzo, ho visto l'ippogrifo» e magari immortalarlo sull'aifòn e aprirti un frenfìd, che feisbuc è troppo sputtanato. Poi, casi e concause ti portano a chiedere al mito, quello che si nega e non sai mai se esiste davvero, quello che se volessi rinascere blog sarei questo. E allora gli scrivi: «Noi siamo a Firenze quei 90 minuti, tu ti fai trovare? La risposta no non vale». Ed eccolo, l'impunito, l'impenitente, quello con quegli occhi sorridenti che ad averci tempo gli racconteresti qualsiasi cosa, sbucare da dietro un totem pubblicitario. Perché Filippo l'abbiamo riconosciuto tra mille, e non c'è stato bisogno di codici, simboli o telefonate: lui c'era. Ed era esattamente come me l'aspettavo. E spiace solo per il poco tempo. Che la voglia di stare, di condividere, di cazzeggiare, era pari solo alla voglia che questo weekend finisse il più tardi possibile. Noi ti aspettiamo a settembre, si sappia.
(da sinistra, Filippo, la ms, persino Dantès)
Continuo a sentire un'enorme tristezza. Mi pare che mi manchi un pezzo. Volevo essere lì, accidenti.
RispondiEliminaa settembre aspettiamo entrambi, s'intende!
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