venerdì 29 aprile 2011

ci vorrebbe un amico


Il nuovo Ken Loach non somiglia a nessuno dei suoi film precedenti. Route Irish (chiamato in italiano L’altra verità, farlocco specchio per allodole maschie assetate di spari) ha tutto del moderno film d’azione in zona di guerra (Iraq, in questo caso). Ma naturalmente, se a dirigere c’è Loach, non può mancare il messaggio politico. Nonostante ciò, e nonostante le buone intenzioni, il film si avvita un po’ su se stesso, soprattutto man mano che si avvicina la parte rivelatrice, lasciando un retrogusto di dejà-vu. Mark Womack, oltre a essere fico, è perfetto nel suo ruolo non facile e ricco di sfumature. E massimo rispetto per Zingaretti attore, ma come doppiatore (almeno in questo caso) proprio no.

giovedì 28 aprile 2011

ucronia distopica (qualsiasi cosa voglia dire)


Nonostante sia una coproduzione con gli Usa, nonostante il romanzo di Kazuo Ishiguro sia stato trasformato a uso e consumo del mezzo cinematografico, Non lasciarmi è indubitabilmente un film giapponese dentro. Così giapu da sembrare quasi un anime in carne e ossa. E non è una critica, solo una constatazione. In più, nello stile di Mark Romanek c’è quell’eleganza, quella classicità inglese che neanche un completo di tweed. E poi c’è il magone. Non tristezza, non commozione, proprio una roba che ti si piazza là per tutti i 120 minuti. Peccato per la parte finale un po’ mielosetta, un po’ telefonata. Il terzetto di protagonisti è notevole, ma Keira Knightley, perfettamente credibile anche nel ruolo di adolescente, batte di qualche spanna Carey Mulligan.

mercoledì 27 aprile 2011

sembra che non ci sia


- Mi sono sempre piaciuti molto i fiori e dico spesso cose strane.
(Poetry, Lee Chang-dong)

Un film sudcoreano non diretto da Kim Ki-duk e che parla di poesia? Lo ammetto, ero prevenutissimo e non a caso l’avevo schivato al Torino Film Festival. Poi la scimmia curiosa che è in me ha avuto il sopravvento e, ancora una volta, devo ringraziarla. Perché il film di Lee Chang-dong non è per niente una pippa di nulla fritto come ci si può aspettare dalle premesse, anzi ci si affeziona quasi subito a questa adorabile signora con Alzheimer in divenire, considerata troppo invadente ed elegante dal mondo egoista e sciatto che la circonda. Una donna che si butta sulla poesia forse per memorizzare in un quaderno quello che dimenticherà o forse solo per dimenticare lo squallore in cui è immersa suo malgrado (l’odioso nipote che ha partecipato a uno stupro di gruppo, il cinismo dei genitori degli altri ragazzi). Dici «È triste?». Un po’. Ma molto più tristi erano le due vecchie rincoglionite che dietro di me ridevano della scena di sesso tra i due anziani, struggente e bellissima almeno quanto la scena del… sì, insomma del prefinale che non vi dirò. Da vedere.

lunedì 25 aprile 2011

articolo 29


Siamo nel nulla di un paesello sghembo, noto unicamente per la casa editrice, immagino. Un tossico si affianca, mi dà dell'alcolista e mi manda affanculo sostenendo che stavo per tagliargli la strada. Magari ha ragione, ma giurerei di no, e soprattutto giurerei che è fatto di coca. Lui sgomma, io parcheggio. Il posto è in fondo a una stradina: da un lato villette sonnolente, dall'altro un self service per impiegati, un centro benessere, finalmente il ristorante. Io e mia zia siamo la seconda coppia del locale. Il resto è pieno di famiglie che si odiano, appiccicate dal caso e dalla pasqua. Sulla destra, per qualche istante, un paio di pantaloni a vita bassa annientano il tedio di due noiosi bambini fatti con lo stampo a distanza di qualche anno da una mamma incapace. Per fortuna zia è particolarmente ciarliera, mi racconta tanto e di tutto, compresi i nostri nipoti diggiù, le loro vite di cui sono sempre orgoglioso, la loro appiccicosissima mamma: già proprio lei, quella a cui continuo a volere bene ma che preferivo molto di più in versione giovane, un po' zoccola e tanto inquieta. Mi dico che la famiglia è una roba strana, che ci sono persone che faccio fatica a considerare parenti e altre che lo sono per elezione, da anni, senza contratti, senza obblighi, ma unicamente per quella cosa che, declinata come e con chi si vuole, sempre amore si chiama. E oggi, a pensarci bene, c'è solo un'altra persona che vorrei a questo tavolo.

mercoledì 20 aprile 2011

nessuno qui ci rimane male


Mica facile parlare di Habemus papam, ché gli spunti e le sensazioni sono mille. E allora cominciamo con le minchiate: le polemiche di solito mi pungono in testa come le emorroidi il buco del culo (e hanno la stessa utilità), ma visto che di queste ultime ho una certa esperienza dirò che uomini di chiesa e giornalisti non hanno proprio nulla di cui offendersi, tanto più che l’unico a fare la figura da peracottaro lavora per il tg2, quindi è automaticamente escluso dalla seconda categoria. Detto ciò, il film è proprio bello, di quella bellezza a rilascio lento che te lo fa rimuginare per qualche giorno. Sarebbe stato un film eccellente se Moretti si fosse defilato un po’ di più, anche se il primo incontro con il papa e la disquisizione religiosa mentre arbitra le partite di pallavolo sono pezzi da antologia. Michel Piccoli, 86 anni e non sentirli, è perfetto sempre, anche e soprattutto negli sguardi smarriti e inquieti che sa regalare. I tanti caratteristi che popolano il conclave svicolano quasi sempre la caricatura, Roma è un cameo silenzioso che racconta l’Italia distratta e bisognosa di quelle attenzioni che è incapace di attirare.

lunedì 18 aprile 2011

me so' magnato er fegato (e quello che c'è 'ntorno)


Entrare in un posto alle cinque del pomeriggio, uscirne alle due passate. Farsi del bene, prima con un lungo bagno turco, poi con una gran cena e grandi birre, pareti rosse e parole sussurrate, parole scandite e chiacchiere a sfinimento sull'universo mondo del cibo con un cuoco fino a pochi minuti prima perfetto sconosciuto. E ancora divorarsi dopo aver mangiato, in camporella, che da tempo è assodato, ci piace, è chiaro, anche se l'adolescenza è lontana, anche se passa qualcuno a piedi, anche se siamo sotto casa e ci aspetta ad appena tre piani d'ascensore il nostro appartamento. E sì, nel bagno turco incomprensioni (questioni di lingua? ok, battutaccia), ma anche questo è comunicare, conoscersi, parlarsi. Memorizzare: l'insalata iniziale (sì, proprio io che non mangio mai il verde per il verde) e l'odore di soprasottobosco che ci ha sorpresi nella notte.

giovedì 14 aprile 2011

breakfast club


E insomma è andata. E mi è piaciuto. No, niente rimpianti scolastici, non sarei stato un buon professore, neanche un buon bidello se è per questo. Ma accompagnare quattro personaggini quasi tutti con la metà dei miei anni in giro per quasi 600 chilometri e quasi quattro giorni è un'esperienza che rifarei. Orgoglioso di come ho gestito la cosa, orgoglioso di loro che sono così lontani da come questo paese per vecchi li vorrebbe. Una fa domande da qui a infinito, forse per stordire o distrarre l'interlocutore dall'imbarazzo delle tette, l'altra nasconde la timidezza dietro macchina fotografica professionale e occhialoni da vista in perenne scivolo. Uno mi ha adottato anche su fb a colpi di alcool, musica e fumetti, l'altro diffidente ha capito la mia diffidenza e ci siamo trovati a metà strada di una lingua che ha poi bisogno di poche parole.

lunedì 11 aprile 2011

another brick in the wall


Era una domenica di fine estate, tornavo da un pranzo con la DRFM, la riaccompagnavo a casa, il lettore cd suonava i Dire Straits, la tangenziale era quasi deserta. È stato un attimo. La fiancata sinistra che tocca lo spartitraffico, mille pezzetti di vetro sulla faccia come un mosaico miracolosamente innocuo, troppo poco tempo per farsi passare la vita davanti, un periodo infinito per pensarci fino a casa di lei e poi da me. Incolumi, con una macchina tutto sommato sana, uniti e sconvolti come mai dal pensiero di quello che sarebbe potuto succedere. Quella sera scrissi a F. Il mio compleanno era vicino, la invitai a cena, lei sapeva già cosa le avrei detto. Venne e rispose di no. Ma quella botta, quella paura, quei cocci, le lacrime liberatorie, mi avevano fatto capire che quella risposta, che in fondo conoscevo, dovevo averla. Ma serviva una domanda. Così da allora sono rari i ceci in bocca che trattengo. Che siano «ti amo», «sto male perché», «sto bene perché», «vaffanculo», «scopiamo», vengono fuori quasi sempre.

venerdì 8 aprile 2011

abbassa che dormo


Cosa c'è di peggio di un videogioco con cui non puoi interagire? La legnosità (d'accordo, è voluta) di Emily Browning? Le sentenze sputate da uno che si chiama Il Saggio ed è interpretato da Scott Glenn stile Kwai Chang Caine? Io volevo bene a Zack Snyder, ho apprezzato (e poi amato) Watchmen e m'è piaciuto anche 300. Ma stavolta non ce la posso fare. Sucker punch parte da un'idea interessante e, dopo un bell'inizio, funziona anche quasi bene finché gioca sui due piani paralleli ospedale psichiatrico-bordello; quando diventa un jukebox di playstation, l'abbiocco, inesorabile, colpisce più delle armi di Baby Doll.

mercoledì 6 aprile 2011

chi ha paura di mindy macready?


Ma quanto diverte Kick-ass, fin dalla prima scena? Eccessiva, colorata miscela di commedia adolescenziale intelligente (non ne vedevo una dai tempi di Heathers, credo) ed action movie alla Tarantino, il film di Matthew Vaughn (gesù voglio vedere il suo X-Men ora!) è tratto dal fumetto di Mark Millar e John Romita jr. (le cui tavole Marvel, insieme a quelle del padre e di John Buscema, hanno segnato i miei primi vent'anni). Ebbene, questo piccolo gioiello si è tirato addosso l’ira funesta delle cagnette perlopiù americane, quelle che l’osso lo vorrebbero tanto e non osano dirlo, salvo masturbarsi nottetempo furiosamente, proprio come il giovane protagonista. Il quale, da bravo adolescente, ha l’ormone che impazzisce indistintamente davanti alle tette mosce del National Geographic, a quelle immense della prof milf, a quelle sode da diciottenne cellossoloìo della compagna di scuola che vorrebbe farsi. Ma le polemiche, i divieti, i rimandi cui è stata soggetta l’uscita del film non credo siano una questione spermatica: la vera minaccia per lo stupido mondominchia a stelle e strisce (nonché la sua dimenticata colonia tricolore) è Hit-girl, la terribile superbambina che taglia a fette i cattivi e parla di segnali luminosi a forma di cazzo gigante. Davvero troppo destabilizzante, per una società anestetizzata a morte.

martedì 5 aprile 2011

sorelle mai (ricetta senza fagioli)


«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti»
(Cesare Pavese, La luna e i falò)

Prendete una seduta di psicanalisi, togliete la seduta, mondate la psicanalisi. A parte, per una decina d’anni guardate crescere due figli proprio belli, osservate invecchiare lentamente due zie con qualche rimpianto, aggiungete una manciata di amici e parenti più o meno prossimi. Incorporate la smania di andare e la voglia di restare, quindi fatele appassire piano. Dividete il tutto in sei porzioni, legate con un paio di fil rouge, saltate qualche passaggio, sfumate il senso della morte, fate pace con le vostre origini, servite a un pubblico spiazzato. A qualcuno risulterà indigesto, altri lo apprezzeranno ripassato, dopo un paio di giorni.

lunedì 4 aprile 2011

dopo il cinema la radio e poi la morte


Boris è una delle poche, belle invenzioni della tv dell'ultimo decennio, e fin qui non ci sono cazzi. Sulla trasposizione cinematografica ci penso da venerdì, perché a fronte di alcune battute formidabili, dei “soliti” personaggi azzeccati che si fanno amare anche da chi non conosce la serie tv, di alcune trovate geniali (Tirabassi che spiega la filosofia del cinepanettone è un pezzo da antologia), mi chiedo quanto passi, nelle teste del pubblico “comune”, della critica, pessimistica oltre ogni dire, nei confronti dei meccanismi che regolano il cinema italiano e quelli del pubblico stesso. Sicuramente più riuscito de La passione, Boris condivide col film di Mazzacurati una mira un po' approssimativa. Più vicino al centro, ma non troppo.

P.S.: ma quanto sesso fa Caterina Guzzanti?

venerdì 1 aprile 2011

fa fa fa fa fa fa fa fa fa far


Se Burke and Hare mi ha riportato all’infanzia, Il reparto - che segna vivaddio il ritorno di John Carpenter al lungometraggio dopo ben dieci anni - mi ha ricondotto dritto dritto verso l’adolescenza. E non perché Carpenter ai tempi dirigesse film simili: qui siamo dalle parti del thriller psicologico, niente azione, né fantascienza, né horror tout court. Tuttavia c’è qualcosa di impalpabilmente anni Ottanta nello stile, nel taglio, e curiosamente non è una cosa negativa. Priva di tette e moralismo, la storia, ambientata in un ospedale psichiatrico, è irraccontabile a meno di non banalizzarla o cascare in uno spoiler: diciamo che non è quello che sembra. Il quintetto di giovani protagoniste funziona bene, il copione è sufficientemente claustrofobico e de paura anche senza effettacci.

P.S.: The ward esce oggi, io l’ho visto al Torino Film Festival quattro mesi fa. Gne-gnegnegne gne-gnegnegne...