Siamo nel nulla di un paesello sghembo, noto unicamente per la casa editrice, immagino. Un tossico si affianca, mi dà dell'alcolista e mi manda affanculo sostenendo che stavo per tagliargli la strada. Magari ha ragione, ma giurerei di no, e soprattutto giurerei che è fatto di coca. Lui sgomma, io parcheggio. Il posto è in fondo a una stradina: da un lato villette sonnolente, dall'altro un self service per impiegati, un centro benessere, finalmente il ristorante. Io e mia zia siamo la seconda coppia del locale. Il resto è pieno di famiglie che si odiano, appiccicate dal caso e dalla pasqua. Sulla destra, per qualche istante, un paio di pantaloni a vita bassa annientano il tedio di due noiosi bambini fatti con lo stampo a distanza di qualche anno da una mamma incapace. Per fortuna zia è particolarmente ciarliera, mi racconta tanto e di tutto, compresi i nostri nipoti diggiù, le loro vite di cui sono sempre orgoglioso, la loro appiccicosissima mamma: già proprio lei, quella a cui continuo a volere bene ma che preferivo molto di più in versione giovane, un po' zoccola e tanto inquieta. Mi dico che la famiglia è una roba strana, che ci sono persone che faccio fatica a considerare parenti e altre che lo sono per elezione, da anni, senza contratti, senza obblighi, ma unicamente per quella cosa che, declinata come e con chi si vuole, sempre amore si chiama. E oggi, a pensarci bene, c'è solo un'altra persona che vorrei a questo tavolo.
lunedì 25 aprile 2011
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ma che fessa. io ho celebrato la pasquetta di liberazione e invece era la giornata italiana della zia. porca puttana aggiorno il calendario.
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