giovedì 23 dicembre 2010

blood is over


Buon Natale! Già che siamo in argomento parliamo di un film de paura? Perché ho un po' di arretrati del tff e vorrai mica che me li dimentichi? Non so se ve l'ho già raccontato, ma mi innamorai del cinema di Ji-woon Kim assolutamente per caso, una di quelle volte (cioè quasi sempre) che dal mio divuddaro preferito non sapevo cosa noleggiare. C'era lì Two sisters che mi faceva l'occhiolino, me l'ero perso al cinema e, aspettandomi un grand guignol che farebbe la felicità di Filippo, decisi che sarebbe stato mio. A dispetto del trailer e del manifesto, quel film non era per nulla horror, in compenso era un eccellente thriller psicologico. Così successivamente ho visto A bittersweet life, ho scaricato felicemente The good, the bad, the weird e mi sono fiondato a vedere I saw the devil in quel di Torino. Avevo letto di robe molto, troppo sanguinolente. Non so, ma amo Dexter e sono cresciuto a Bava, Argento e Fulci mandati a rotazione dalle tv libere (ma libere veramente, per citare il Poeta), quindi per me la cosa più schifosa che si vede in questo film è il serial killer che ravana nelle proprie feci per recuperare la microspia che il buono (?) gli ha fatto ingoiare. Se devo trovare un difetto a questo gioiellino è la durata: due ore e venti sono troppe. Però porcazzozza se ne vale la pena! Uscirà in Italia? Almeno ad agosto? Almeno in dvd? Quizas, quizas, quizas.

Titolo originale: Akmareul boatda
Titolo italiano auspicabile: Ho visto il diavolo
Titoli italiani probabili: I saw the devil, Saw: The devil

mercoledì 22 dicembre 2010

e io che mi(s)credevo


Buon Natale, cara la mia psycho. L'hai presa bene, devo dire. Niente scene madri e mi hai anche lasciato decidere i termini ultimi. Così da gennaio niente più collage con gli animali alle pareti, niente più quei libri che non saprò che sono, né la valigetta accanto alla scrivania sempre nella medesima angolazione Monk style. E niente più scarpe, ché in questo sei femminissima. Hai mai pensato all'effetto dirompente su un feticista? Mi chiedi cosa penso e te lo direi pure, ma siamo ai saldi, anche se è Natale. Penso che il passaggio sia lo stesso dalla religione all'agnosticismo. Lo sai, lo vuoi quel dio, chiunque esso sia. Nel frattempo trovi la religione. Ma bari quasi subito, a cominciare dalle pugnette saltate in confessionale. Che tanto lo sai che dio lo sa già, e probabilmente sorride. È lo stesso che ti piacerebbe piangesse e ridesse con te, tra sconfitte e vittorie di una vita che cerchi di sceglierti. Magari un pomeriggio d'estate durante un giro in bici pensi che se potessi scopare liberamente ti faresti anche prete (tra qualche anno penserai che tra Lingue e Giornalismo potresti fare Psicologia). E poi d'improvviso restano il meglio del Vangelo e il desiderio segreto di Mission to Mars. A questo punto del racconto aggrotteresti le ciglia, miss psycho. E sorrideresti anche. Perché il senso dell'umorismo, grazie a dio, credo non ti manchi.

martedì 21 dicembre 2010

ogni cosa è offuscata


Avevo amato molto Il giardino di limoni, certo per la conturbante presenza di Hiam Abbass, ma anche perché, da premesse fragiline, era nato oggettivamente un bel film. Di Riklis avevo anche visto La sposa siriana e, insomma, mi aspettavo davvero belle cose da Il responsabile delle risorse umane, peraltro tratto da un romanzo di Yeoshua. E invece questo film vuole essere tante cose e spesso si perde. Da dramma politico a commedia on the road (viene in mente Safran Foer tradotto da Liev Schreiber, ma è meglio non pensarci), passando per il romanzo di formazione (il figlio della vittima) e la critica dei media (il giornalista mammone, stupido, fintoidealista e morboso). Un'occasione smarrita più che persa, perché di momenti buoni ce ne sono non pochi.

domenica 19 dicembre 2010

stroke it


Comincio subito col dire che il titolo del post è quello che avrei risposto al genio che ha proposto il titolo italiano di Made in Dagenham. Dice «Ma era uno dei titoli di lavorazione!»: posto che i titoli di lavorazione solitamente sono dati col culo giusto per riempire uno spazio vuoto quando non si hanno idee precise, ce n'era un altro di titolo di lavorazione, e in italiano suonava come Le ragazze di Dagenham. Carino, no, testadicazzo? Ti fa cacare? Ok, Le ragazze della Ford si capisce meglio? No? E allora ti meriti il titolo italiano segaiolo e vaffanculo. Parliamo di cose serie? Parliamone. Ammetto che sono andato a vedere We want sex soprattutto perché il mio ammmore me ne aveva parlato bene (ché lei dice che non ne capisce ma in realtà non è vero). Ebbene, tornando alla qualità de L'erba di Grace, e mantenendo sempre quel taglio nazionalpopolare anche un po' vecchiotto ma che ti incolla allo schermo né più né meno di una puntata di George e Mildred alla tv, Nigel Cole è riuscito a raccontare senza sbavature (beh, a parte il finale un po' troppo yeppayé) una storia incredibilmente vera e, apparentemente, lontana nel tempo. L'adorabile cofana spampanata di Sally Hawkin potrebbe fruttarle qualche premio, ma il resto della compagnia (Bob Hoskins e Miranda Richardson, giusto per parlare di quelli più noti) non è da meno. Il pubblico intorno, prevalentemente femminile, sembrava stare alla protagonista come i ragazzetti a de sica: sognatrici di una vita da donne con le controvagine loro, sognatori i brufolosi di palpare il culo a belen. Entrambi, inutilmente.

mercoledì 15 dicembre 2010

hello, spank


Quello che mi piace di Michael Winterbottom (non si ride dei cognomi altrui, su!) è che è uno dei pochi che difficilmente dirige un film uguale a un altro. L'assassino che è in me (perché un titolo italiano ci sarebbe, quello del libro da cui è tratto, che suona anche tanto bene, ton sur ton con l'ottima ambientazione da noir un po' maledetto anni Cinquanta) è di quelli in cui ci sono giusto quelle quattro scene di violenza quasi prive di effettacci ma che pure ti si piantano sullo stomaco e ci rimangono per un po'. Casey Affleck, fratello minore non scemo di Ben, è perfetto nei panni dello psicopatico, Jessica Alba è inaspettatamente convincente e fica a tutto tondo, Kate Hudson imbrocca finalmente un film dai tempi di Quasi famosi.

martedì 14 dicembre 2010

sangue del tuo sangue


La mattina è fredda e limpida che viene solo voglia di guardarla e basta, ma siamo già in ritardo e il laboratorio di analisi è già pieno di vecchi insonni e gente che non ha voglia di cercare parcheggio proprio come te e me. Ti osservo compiaciuto mentre vai autonoma verso il banco di attesa mentre persone molto più giovani cercano appoggio, forse conforto, di sicuro qualcuno a cui delegare qualcosa. Anche alle sette e mezza del mattino, comunque, la cafoneria è già sveglia: c'è una coppia che si somiglia in tutto, anche nell'ostinarsi a non chiudere la porta. Il computer va in tilt, nessuno si lagna, qualcuno va via abbandonando il bigliettino del turno in bilico sugli altri. L'unico che si incazza (a parte me, ovvio) è un cinquantenne che sembra un vecchio sketch di aldogiovanniegiacomo. Magari vota lega, ma è empatia immediata. Il computer riparte, siamo fuori alle otto e dieci. Colazione. La mattina è un po' meno fredda, un po' più limpida.

lunedì 13 dicembre 2010

milano vs. milano


«Non ti preoccupare: stando a mia madre, più che la passione conta l'abitudine»
(Porco rosso, Hayao Miyazaki)

Il prossimo che parla di crisi, giuro gli spacco la faccia. L'opulenza non è solo di facciata, non sono solo l'orrendo capannone in cui si vendono brutti vestiti con su scritto Milano o Tiffany che vende di fronte al Duomo i gioielli che costano meno (meno di quanto?). È la folla che li riempie che impressiona. E riempie tutti i negozi, anche quelli strafichi. Anche Abercrombie, ma lì gioca l'ormone e di fronte all'ormone posso solo comprendere e sorridere. Per non parlare della morte del brusio, del trionfale squallore di canzoni napoletane malcantate, zampogne e techno contro cui non regge nessuna protezione ipod, un soffocante casino che dà al tutto una confezione da immensa sagra paesana di lusso. E allora meglio infilarsi all'Apollo per vedere la Milano più o meno reinventata, quella in cui sui Navigli si navigava e non grazie al wi-fi. Porco rosso (sia benedetta la Lucky Red per l'opera benemerita, seppure tardiva, di diffusione dei film di Hayao Miyazaki) non è un film per bambini. O perlomeno, non per i bambini di oggi. Portateci i bambini che eravate: semplice eppure imprevedibile, divertente, appassionante, con quel tocco sentimentale mai sputtanato o dolciastro, di sicuro vi piacerà.

venerdì 10 dicembre 2010

ma tu chi sei?


Il Pelaverga è quasi finito, ho mangiato quasi tutto e pure tu, tu che parli poco, intanto butti lì domande e mi ascolti. Io, di mio, butto risposte, ci guardo e mi ascolto. Ma quante cose ti ho detto? Domani finirò su wikileaks? Però è carino che mi concedi le tue storielle di ventenne con la sorella del tipo di cui sbaglio sempre il cognome scambiandolo per quello del noto attore porno. Sei il mio primo pranzo di lavoro a due. Detto tra noi, fosse per me t'avrei portato da Beppe.

giovedì 9 dicembre 2010

basta che non funzioni


Porca pupazza, Woody Allen: anche con un film riuscito poco riesce a farti pensare. Si sarà detto «Li ho fatti sognare con Basta che funzioni, mò so' cazzi». Infatti, se il gran bel film precedente rappresentava la vita come dovrebbe essere, scevra da moralismi, psicanalisi, religione e altre gabbie del cazzo, Incontrerai uno straniero alto e bruno è pessimisticamente la vita come gira nella sua media mediocrità: una illusione schiacciata dalle dipendenze (alcool e fattucchiere in primis ma c'è di tutto, mancano all'appello giusto cocaina e cellulari), costretta dalle istituzioni fittizie (il matrimonio, i figli), soffocata dalla paura della morte e della inutilità. Un film in cui non è un paradosso se l'unica a rimanere a galla, alla fine, è la vecchia (una grande Gemma Jones), rincoglionita a colpi di whisky e occultismo. In cui è vero che alle donne sono affidate le battute più orribili (da Naomi Watts che ha “bisogno” di avere un bambino all'attacco isterico della sorella dello sposo abbandonato alla Jones felice della reincarnazione perché così vivremo una vita diversa), ma in cui sono gli uomini che si comportano – quando va bene - da inadeguati deficienti. Altro che il diabete promesso dal titolo italiano (a proposito: titolisti, sucate forte!). Si esce disorientati e con una strana roba sulla bocca dello stomaco, ma almeno si ha la conferma di dove è meglio stare: dalle parti di Boris Yellnikoff.

martedì 7 dicembre 2010

paura e delirio a los angeles


Gli australiani sono gente strana. Tipo, si sono rifiutati di proiettare L.A. zombie perché secondo loro inneggia alla necrofilia. Certo, vedo un morto che scopa uno vivo e subito mi fiondo al cimitero sperando che mi s'inculino. Ma mi facciano il piacere! Non sarà che se a scopare c'erano zombie etero il film non disturbava nessuno? Vabbè, comunque il film è passato in concorso a Locarno in versione soft, è approdato al Torino Film Festival nella sua interezza, e ieri (mica stiamo qui a pettinare le bambole, siamo sul pezzo noi!) è uscito in vendita in Italia in cofanetto con un altro dvd del medesimo regista, Bruce LaBruce. Che quando lo pronunci, bruslabrus, ti viene voglia di dieresi tanto sembra piemontese o lombardo. Vabbè, comunque io l'ho visto la scorsa settimana in quel di Torino, preceduto da un cortometraggio, Triviality di Sterling Ruby, che, se fosse durato la metà (quattro minuti e mezzo) sarebbe stato cinico e divertente al punto giusto. Fil rouge tra corto e lungometraggio, la presenza di François Sagat, marcantonio protagonista dei porno gay più tosti. Nel piccolo film, mentre la voce del regista ripete all'infinito quanto siano volgari i violenti, il povero Sagat cerca di farsi venire un'erezione: immaginavo al suo posto Trentalance o Rocco; non so se avrebbero accettato, non so neanche se sarebbero riusciti a non farselo venire duro. Comunque, arriviamo a L.A. zombie. Che è la storia di un senzatetto solo e sgarrupato che immagina di essere un morto vivente. Solo che invece di uccidere, lui riporta alla vita, scopandoselo, chiunque muoia o gli venga ucciso sotto gli occhi. Metafore scoperte a go go, cazzo a forma di pantofola persiana, musiche porno, campionario trash come se piovesse, eppure, con tutti i difetti del caso, resta una creatura strana e affascinante. E non mi riferisco a Sagat, che a me, specie senza trucco, mette paura.

domenica 5 dicembre 2010

tutto quello che non vorreste sapere sul tff
e non ve ne frega niente di chiedere


Bellocchio è uguale. La Bobulova, idem. Sanguineti minchia quanto invecchia di anno in anno. Basta durante un festival dire di spegnere i cellulari, dovrebbe essere come dire «pregate» in chiesa. Gli schermi degli smartphone come le candele della pubblicità natalizia di coca cola (vi venisse una botta d'acido tutte le volte, bastardi!). L'ipod protezione 20 a difesa delle mie povere orecchie a coprire strafalcioni e discorsi da treno durante le file. Le code ai bagni maschili più lunghe che in quelli femminili. L'isteria dei deficienti che non hanno letto le istruzioni per fare i biglietti. Perché piaccio così tanto agli ambulanti extracomunitari? Winter's bone (ne scriverò, datemi tempo) ha vinto, così come la sua protagonista. Per una volta sono assolutamente d'accordo con la giuria. E son 300 post, giovani, forti e ve li potete rileggere, se volete.

venerdì 3 dicembre 2010

sticazzi, lo dice anna freud


Secondo me, Gianni Amelio si è divertito. Voglio dire, ti capita proprio come l'anno scorso (a proposito, il film sull'adolescenza di John Lennon, Nowhere boy, esce oggi. andate! ancora lì? macheccazzo!) un film diretto da una donna e interpretato da Kristin Scott Thomas, vuoi non fargli inaugurare il Torino Film Festival in modo da garantirti uno spunto per il discorso di apertura? Perché di Contre toi ha già detto bene poison-fiorellino (a proposito, la raccontiamo 'sta cosa del fiorellino?): a leggere la trama sembrava una lamata senza fine, in realtà non è brutto, ma da questo a farle aprire un festival ne corre. Inoltre, sempre come poison dixit, se Pio Marmaï non avesse avuto la faccia di Pio Marmaï, col cazzo che Kristin Scott Thomas (peraltro ancora gnocca di tutto rispetto) avrebbe avuto la sindrome di Stoccolma! Tirando le somme, la cosa migliore del film è un finale che prova a essere inaspettato. Che proprio poco non è, specie quando la storia sa un po' di deja-vu.

Titolo originale: Contre toi
Titolo italiano auspicabile: Contro di te
Titoli italiani probabili: Contre toi, Contro una donna, Uomo contro donna, Una donna contro, Dentro una donna

giovedì 2 dicembre 2010

an unfitman in new york


C'è un premio delusione al Torino Film Festival? No, peccato, lo vincerebbe l'opera prima di Philip Seymour Hoffman. Che come attore è quasi sempre da chapeau. Che con quella faccia un po' da Brando anni Settanta, un po' da Orson Welles de noantri, spacca sempre in quasi qualsiasi film. Eppure il suo Jack goes boating sembra un Woody Allen girato con la mano sinistra. Bella colonna sonora, buoni interpreti (soprattutto Amy Ryan), ma storiella esile, una commediola sull'ammmore e la sincerità, quella di un uomo abbastanza inadatto al mondo che incontra una donna altrettanto aliena e purché tutto funzioni dà una svolta alla sua vita mentre quella dell'amico e di sua moglie va in frantumi. Nel mezzo, troppa neve, troppa New York. Pochetto, peccato.

Titolo originale: Jack goes boating
Titolo italiano auspicabile: In barca con Jack
Titoli italiani probabili: Io lui lei e Jack, Il mondo di Jack, Jack ti presento Connie

mercoledì 1 dicembre 2010

ciucciami il bassista


- Non è come sembra!
(Suck, Rob Stefaniuk)

Non so se uscirà in Italia, se non sarà ritenuto un po’ troppo intelligente per gli smanettoni di sms del pomeriggio, ma se mai dovesse apparire nelle nostre sale, andate di corsa a vedere Suck. Divertente commedia vampiresca che ha per protagonista una rock band di sfigati (fatta eccezione per la gnoccazza di turno Jessica Paré), è scritto diretto e interpretato dal canadese Rob Stefaniuk e vanta le azzeccate apparizioni di Alice Cooper, Iggy Pop e un Moby da contrappasso incredibilmente autoironico (fa un metallaro che lancia carne cruda al pubblico, un po’ come se cota facesse il politico colto e intelligente). La colonna sonora è piacevole, il finale, ancorché prevedibile, è ben congegnato.

Titolo originale: Suck
Titolo italiano auspicabile: Succhiami
Titoli italiani probabili: Suck - Una band al sangue, Rock vampires, Suck - Rock al primo morso