domenica 24 novembre 2013

cuore di babbo


Primo film in concorso al Tff, Le démantèlement, che, come ha detto in modo rapido e folgorante la Tiz (come chi è?), è né più né meno che Le vendeur (opera prima dello stesso regista canadese, Sébastien Pilote, vista a Torino credo due anni fa), soltanto senza neve. Anche qui un uomo al tramonto, in crisi col lavoro, che cerca di salvare il culo ai figli. Lì un venditore, qui un contadino. E così, come per Le vendeur, non si può dire che sia un brutto film, anche grazie alle interpretazioni convincenti di Gabriel Arcand, Sophie Desmarais e Lucie Laurier. Il problema è che le quasi due ore sembrano quattro, c'è troppa campagna, il ritmo è inutilmente dilatato e, anche laddove il film potrebbe appassionare, coinvolgere, emozionare, finisce per irritare. Peccato.
 

sabato 23 novembre 2013

wrong cops


Vi siete preoccupati che parlassi del nuovo film di quello sciagurato di Quentin Dupieux, eh? No, qui parliamo di Drogówka, film polacco campione d’incassi in patria, da qualcuno incautamente paragonato ai polar ma in realtà piuttosto diverso. Una carampana in fila dietro di me per il film successivo (che non sono riuscito a vedere, porca troia) sosteneva che c’è troppa violenza e troppo sesso. Mah. Un po’ di violenza sì. Ma la presenza di un cospicuo numero di puttane non fa sesso. Detto ciò, nel bel mezzo di un’orgia tra le squillo di cui sopra e un tot di politici polacchi e italiani grassi, pelosi e sudati che farebbero schifo a un piede (cit.), uno degli autoctoni dice a uno dei nostri: “È come il vostro bunga bunga”. Che, voglio dire, è sempre bello fare figure di merda all’estero… Ma veniamo al film: poliziesco di buona fattura, molto amaro ma che strappa qualche risata, con eccesso di riprese con telecamerina a mano ma ottimi interpreti. La trama non è il massimo dell’originalità (piccole e grandi corruzioni all’interno di un dipartimento di polizia stradale con omicidio che scoperchia di tutto e di più), ma la pellicola di Wojciech Smarzowski merita la visione.

venerdì 22 novembre 2013

siete caldi?


Pronto per il Torino Film Festival? Sono nato pronto (cit.). Voglia? Massimo livello. Biglietto treno, settimanale metro, abbonamento film? Eccoli. Portatile con chiavetta? Celo. Valigia con cambi vari? Celo. Recupero Internazionale vecchi? Celo. Cibi in scadenza? Nello zaino. Programma dettagliato con stampa allegata delle cose da non perdere? Sta lì da una settimana. Carica cellulare? Speruma bin. Modalità dieta piadina? Attivata. Modalità Matrix per spostamenti veloci? Lunga esperienza. Tolleranza neve? Neve? cos'è? Tolleranza pioggia? Che il cappuccio sia con me. Tolleranza commenti in fila? Modalità iPod. Pazienza? Occazzo, lo sapevo che avevo dimenticato qualcosa!
 

mercoledì 20 novembre 2013

in fila per cinque/9


Ma che davero abbiamo finito? Come passa il tempo quando ci si diverte! Ok, manca il 2013, ma come si fa? Troppo vicino e troppi film che mancano all’appello. Quindi amen, si parte con l’ultimo giro di giostra.

2009 – Moon
Folgorante esordio alla regia di Duncan Jones, figlio di David Bowie. Come scrissi all’epoca, sono sicuro che sia Ziggy Stardust sia Thomas Jerome Newton sono stati orgogliosi di lui. Fantascienza da camera, low budget come si usava negli anni Settanta (Jones, classe 1971, è cresciuto con cose tipo Atmosfera zero, quanto lo capisco!), per una traduzione popolare di tematiche alte: insomma, Solaris e 2001 che si sposano con una levità davvero rara. Sam Rockwell, praticamente l’unico protagonista, è molto bravo, Kevin Spacey dà la voce originale al computer. Io e la ms ci andammo pazzi.

2010 - Angèle e Tony
Il piccolo film di Alix Delaporte è stata una grandissima sorpresa. Non sappiamo cos'ha fatto (e cosa hanno fatto ad) Angèle (una meravigliosa Clotilde Hesme), non sappiamo cosa sia successo a Tony (perfetto Grégory Gadebois): si sa solo che sono due persone incapaci di amare. Nel mezzo, lo sbando di una comunità di pescatori in crisi della Normandia. Angèle e Tony si incontrano, si annusano, si conoscono. E quella che doveva essere una pezza nella vita di Angèle diventa amore. Sai la novità? Ho tanto pianto.



2011 – This must be the place
Si esce dalla visione con la testa, le orecchie, il cuore pieni. Certo, Paolo Sorrentino deve tanto alla visione dei Coen e di Lynch, ci sono scene di raccordo che non sarebbero state perdonate a Muccino, il film si fonda quasi tutto su uno Sean Penn in stato di grazia, ma nulla è lasciato al caso, l'estetica non è quasi mai calligrafica e si arriva alla fine notevolmente appagati. Ah, ho pianto alla scena in cui il protagonista si sfoga con David Byrne e tira fuori tutto quello che fino a quel momento avevamo solo intuito. Ai tempi, all'interpretazione del finale ho dedicato un post a parte, addirittura.

2012 - Reality
Il film di Matteo Garrone lo vidi in colpevole ritardo. Massì, aspettiamo, tanto lo tengono... E così mi toccò il dvd. Eppure trattasi di filmone, quanto e più di Gomorra. Perché se il film tratto dal libro di Roberto Saviano racconta un pezzo del nostro paese, Reality lo racconta tutto. E chi dice che sia un film sul Grande fratello (tra l'altro, nell'anno in cui la trasmissione fu interrotta) non ha capito un cazzo. Aniello Arena, con quella mimica da Totò steroideo, è un protagonista esordiente meraviglioso. La sua maschera tragica e dolente ci accompagna fino alla (perfetta) sequenza di chiusura parlando di tanti, troppi di noi.

Ed ecco, infine, tutte le puntate precedenti:

1969-1973
1989-1993

martedì 19 novembre 2013

la città è uno sputo (anche il film, però)


Ok, il cinema, quello vero, muore. Le sale si spengono. A guardare la prima sequenza di The canyons viene voglia di toccarsi: non per l’eccitazione, per la sfiga. E dunque, se il cinema con la c maiuscola muore, è colpa di chi lo fa, che asseconda le (capienti) pance dei cazzoni da multiplex. Partendo da questo assunto, Paul Schrader, grande sceneggiatore e buon (a volte ottimo) regista, stavolta si è impantanato insieme a Bret Easton Ellis in un film brutto e noioso che finisce per scontentare pressoché tutti. Una pellicola che non decolla mai, neanche sulla svolta thriller, che sembra diretta da un Brian De Palma sedato e convertito al calvinismo. Lo scandalo non è Lindsay Lohan mezza ignuda (mi fa sesso quanto un comò di compensato), sono casomai le sue mutande ascellari. E lo scandalo non è neanche James Deen, per una volta fuori dal porno: non è il primo, non sarà l’ultimo, eppure solo quelli dotati di autoironia (Tracy Lords, Ron Jeremy) sono riusciti a lasciare qualcosa, per quanto piccola, nel mainstream. La storia è patetica: un girotondo di ossessioni che gronda moralismo (in verità sempre presente in Schrader, ma cazzo qui ci si annega!), con attori cani che interpretano personaggi tagliati con l’accetta, annoiati, perennemente connessi, dediti allo scambio di coppia quindi (ussignur che palle!) perversi. Sbadiglio.

lunedì 18 novembre 2013

uomini che non capiscono le donne che capiscono gli uomini


Dunque, giovedì l’idea era quella di andare a vedere Venere in pelliccia tutti insieme appassionatamente, io, la ms, poison e la bionda. Ma problemi di parcheggio hanno fatto scacare la serata a metà (nel senso che poison e la bionda hanno visto il film, io e la ms no). Domenica, colpiti da una benevola botta di culo, abbiamo parcheggiato vicino al cinema ma, diretti alla cassa, abbiamo scoperto che i posti per le 18 erano esauriti. Bello, eh, anche perché era esaurita anche la sala di Giovane e bella, neanche fosse di e con Checcozzalone. Morale: alle 20, finalmente, eravamo davanti al nuovo film di Roman Polanski. Cinema low cost e a chilometro zero: come e più di Carnage, si tratta di teatro filmato (la pièce è di David Ives) e filmato in un teatro. Due soli protagonisti: Mathieu Amalric, conciato come il Polanski di qualche decennio fa, è un regista teatrale che, dopo una giornata inutile alla ricerca della protagonista di una rivisitazione dell’opera di Sacher-Masoch, vorrebbe solo tornare a casa; Emmanuelle Seigner (brava e gnocca oltre ogni dire) è l’attrice dall’apparenza cagna che gli si presenta all’improvviso. Da qui in avanti 95 minuti di ribaltamenti di situazioni, dialoghi divertenti, giochini cerebrali, in un crescendo di bravura e rimescolamento di parti e verità (?) da cui non resta che farsi travolgere. Finale annunciato, amaro e beffardo al punto giusto. Non un capolavoro, ma una storia su cui meditare.

giovedì 14 novembre 2013

lesson two


L’insegnante non è di quelle che vengono a casa o che ballano al mare con tutta la classe, ed è un peccato; ha qualcosa di Joanna Lumley o di un’altra attrice inglese del passato che non so, ride e fa ridere e due ore e mezza volano improvvise. La mia compagna di banco è la più brava della classe e sembra molto più ragazzina di quel che è. Quello a cui avranno detto mille volte che somiglia a George Clooney, se tira la pancia in dentro e non sfodera le esse piemontesi, forse ce la può fare. Il suo amico dai capelli lunghi si sente molto fico ma avrebbe bisogno di uno shampoo. La simpatica signora alternativa è la più vecchia del gruppo e sta da vent’anni con un marito che ha sposato dopo tre mesi che si sono conosciuti. Poi c’è la versione giovane e un po’ truzza dei fidanzatini di Peynet: se non si fanno fuori a vicenda in preda a un raptus, potrebbero sposarsi domani. Gli altri, non pervenuti. Sono tornato a studiare inglese. Un po’ perché mi spiace non alzare il telefono quando il numero sul display ha troppi zeri all’inizio, un po’ perché a Berlino una lingua alternativa all’italiano mi servirà. Sì iu sun.

mercoledì 13 novembre 2013

in fila per cinque/8


Penultimo appuntamento con i film della vita. Anno dopo anno ci avviciniamo all’oggi, ma devo dire che, contrariamente a quanto mi aspettassi, le ultime scelte sono quasi più facili delle prime. Ah, stavolta un fil rouge non c’è neanche a pagarlo.

2004 - Se mi lasci ti cancello
Vabbè, visto che non possiamo buttare la chiave della galera in cui sono dovrebbero essere rinchiusi certi titolisti, sorvoliamo sull’abominevole traduzione dell’intraducibile Eternal sunshine of the spotless mind. Il film di Michel Gondry, scritto da Charlie Kaufman, è una meravigliosa storia d’amore. Punto. Cos’altro serve sapere? Ci sono Jim Carrey e Kate Winslet che decidono di cancellare il ricordo l’uno dell’altra, c’è un’idea geniale su cui ruota tutto, c’è un finale che non puoi non piangere, c’è Kirsten Dunst con il suo solito bel paio di tette in versione infermiera fumata. Oscar per la miglior sceneggiatura originale.

2005 - A history of violence
Unico Cronenberg della selezione? Già, ma sapeste quanti sono stati lì lì per entrare! Vabbè. Tratto da un fumetto di John Wagner e Vince Locke, il film è... una storia di violenza, esattamente quello. In cui Viggo Mortensen, bravo padre di famiglia (con diligenza, credo) nonché rispettato cittadino, diventa pure eroe locale per aver sventato un tentativo di rapina. Peccato che da quel punto in poi emergono tutti i suoi scheletri nell’armadio e che l’amabile omettone sia in realtà un killer mafioso che s’è rifatto una vita in un bdc americano. Thriller tesissimo, da vedere insieme a La promessa dell’assassino, altro titolo notevole della coppia Cronenberg-Mortensen.

2006 - The prestige
L’ho già detto che mi piacciono i film con i maghi? Sì, l’ho detto qua. Eppure questo film qui me l’ero perso senza troppi rimpianti e recuperato in dvd solo un annetto dopo. Piciu! Perché merita. Intanto la regia è di Christopher Nolan, vivaddio in vacanza dal cavaliere oscuro, così oscuro che io mi ci assopisco facilmente. Qui la storia è di quelle divertenti e avventurose che farebbe la gioia di un bambino degli anni Settanta in un sano pomeriggio di cinema parrocchiale. Il cast comprende Christian Bale, Michael Caine, i due bonazzi Hugh Jackman e Scarlett Johansson. Delizioso (vero, poison?), il cameo di David Bowie.

2007 - Io non sono qui
Me lo dico da solo: una delle scelte più anomale di tutto l’elenco. Todd Haynes, quello di Safe, Velvet goldmine e Lontano dal paradiso, filma questa assurda, incredibile, non-biografia quasi autorizzata di Bob Dylan, nella quale a interpretare il cantante nelle sue varie fasi, artistiche e private, si cimentano il piccolo Marcus Carl Franklin, Christian Bale, Richard Gere, Heath Ledger, Ben Whishaw e, soprattutto, la migliore: Cate Blanchett. Completano il cast Charlotte Gainsbourg, Michelle Williams e l'immancabile Julianne Moore. Uno strano mélange quasi psichedelico che conquista. Se non si conosce Dylan non si capiranno alcuni passaggi, ma poco importa.

2008 – Il divo
Volendo fare il giochino dei critici stipendiati, se La grande bellezza è La dolce vita di Paolo Sorrentino, Il divo è il suo Todo modo. Più allegro, certo, meno funereo, ma non meno satirico e spietato. Vita e miracoli non solo del gobbo malefico (un Toni Servillo immenso), ma di tutta una classe dirigente da paura (una sfilza di caratteristi meravigliosi tra i quali emerge Carlo Buccirosso nei panni di Cirino Pomicino). Una storia così lontana così vicina, raccontata con ironia beffarda, surrealtà e paradossi che avrebbero fatto felice Elio Petri, cui Sorrentino deve evidentemente tantissimo. Da proiettare nelle scuole.

Ritardatariiii, qui ci sono le puntate precedenti:

1969-1973
1989-1993

martedì 12 novembre 2013

poi però esci e vuoi bere


Lo so che anche quel comunista di papa Francesco ormai è contro il proselitismo, ma io non lo ascolto e diffondo il verbo: ragazzi, andate a vedere Zoran, il mio nipote scemo. Perché mica capita tutti i giorni di vedere una commedia (non solo) italiana, cinica e cattiva al punto giusto, senza vergognarsi di ghignare dall’inizio alla fine (al coro delle risate si univano felicemente anche quelle sofistichate della ms e di poison...). E poi il film d’esordio di Matteo Oleotto è proprio fatto bene, e strizza l’occhio, ma senza scimmiottarlo, a certo indie americano o, meglio ancora, nordeuropeo. Certo, è stato fatto su misura per Battiston (e si vede), il quale finalmente riesce ad avere un ruolo da bastardo che finora aveva potuto declinare solo a teatro, ma non è solo la presenza del grosso grasso attore friulano a fare la differenza. Le idee: tante, e tutte messe a frutto. I dialoghi, e te l’ho detto prima che ci si schianta dalle risate. Un lavoro di casting con i controcazzi, dai ruoli principali (Zoran, autistico o forse no, è il sorprendente Rok Presnikar) ai tanti caratteristi (dal “solito” Teco Celio all’eterna promessa degli anni Ottanta Roberto Citran fino all’adorabile ragazzina Doina Komissarov). Persino l’irrinunciabile happy end non rinuncia a essere beffardo. A trovargli un difetto, qualche piccola lungaggine qua e là.

lunedì 11 novembre 2013

buon compleanno mr tripe


Ok, il titolo è cattivo, ma il film in questione è davvero una malaminchiata (grazie wordreference!). Nel 1995, Leonardo DiCaprio e Tobey Maguire sono già amici, si sono conosciuti due anni prima sul set di Voglia di ricominciare: DiCaprio ha già fatto il botto con diversi film, Maguire è ancora uno sconosciuto. R.D. Robb, attore tv alla sua prima e unica prova registica, li convince chissà come a girare Don’s plum, una commedia molto indie in bianconero. Commedia destinata “all’autoconsumo”, a quanto pare, almeno finché Robb non trova chi glielo distribuisce. Battaglia legale per impedirlo da parte di Maguire con l’appoggio di DiCaprio: il film negli Usa è invisibile (se non hai internet), in Europa esce (?) nel 2001 incassando credo un centinaio di euro... Ma cos’ha di così compromettente Don’s plum? Niente, è solo brutto. È una versione sgradevole di Friends, dove al posto del Central Perk c’è il locale che dà il titolo al film. I protagonisti hanno tutti problemi seri: qualcuno con le droghe (Maguire, a giudicare dalle espressioni), quasi tutti col sesso (il massimo è la ragazza che, mentre cerca di farsi limonare dalla sua amica, fa una piazzata al tipo che non gli ha detto di essere bisessuale). DiCaprio ha la summa di tutte le turbe: è un fascistello con drammi familiari col quale non si riesce a solidarizzare mai, neanche per sbaglio. Divertenti i siparietti davanti allo specchio del cesso, ma giusto quelli. In mano a Kevin Smith, forse, sarebbe venuto fuori qualcosa di davvero dissacrante o divertente, qui c’è solo da tirarsi mazzate sulle gonadi.


Questa recensione è dedicata a Leonardo DiCaprio, festeggiato nel giorno del suo compleanno anche da tutta questa gente qui:

Cooking Movies
Director's Cult
Ho Voglia di Cinema
La fabbrica dei sogni
Life Functions Terminated
Movies Maniac
Pensieri Cannibali
Recensioni Ribelli
Solaris
Scrivenny 2.0

mercoledì 6 novembre 2013

in fila per cinque/7


Per dirla con il povero Lucio Dalla, con un salto siamo nel Duemila. Non so se ci siamo arrivati in fila (per cinque) o in modo diverso, ma so che questo lotto di film della vita un leitmotiv ce l’ha: le lacrime. Oh, quanti pianti, signora mia. Sempre, anche a rivederli cento volte, almeno una scena, almeno un momento.

1999 - Il sesto senso
Ecco, qui io comincio a piangere quando Bruce Willis capisce che è morto (non vale come spoiler, lo sanno tutti ormai!) e non smetto fino a dopo i titoli di coda. È stato così la prima volta che l’ho visto, in tv con la DRFM, è stato così le volte successive. Primo film importante di M. Night Shyamalan e suo capolavoro insuperato, sceneggiatura di ferro (gelido) con finale che ti lascia di stucco, inquietantissimo Haley Joel vedolagentemorta Osment. Certo è un peccato che il regista di origini indiane abbia deciso di ritirarsi così giovane, dopo il pur validissimo The village...

2000 - In the mood for love
Qualcuno potrebbe dire: toh, il primo film comprensibile di Wong Kar-wai. Io dico: ammmore. Assoluto, certo un po' casto che fa incazzare, ma quando Su Li-Zhen (Maggie Cheung) e Chow Mo-Wan (Tony Leung Chiu-Wai) scoprono che i loro rispettivi partner se la intendono e piano, senza volerlo, con una fisicità che è fatta di sguardi accennati, si rendono conto di piacersi, la cosa è di un erotismo inaspettato, un piacere folgorante per lo spettatore, come scoprire una nuova zona erogena. Nonostante sia più che casto, In the mood for love è una delle storie d'amore più belle che siano state scritte, e io piango sempre alla scena dell'albero. Colonna sonora e costumi bellissimi. Premio per la miglior interpretazione maschile a Cannes.

2001 - A.I.
Il ricordo dell’ultima visione è piuttosto recente. Credo fossimo a Lanzarote, la ms è in camera e ha sete, scendo a prenderle qualcosa al bar. E nella tv del bar David sta morendo, bloccato nell’anfibicottero: è la parte più straziante di uno dei più ambiziosi e meravigliosi film di Steven Spielberg dopo Incontri ravvicinati del terzo tipo. E io piango. Mi dico «Vabbè, dai, è quasi finito, ne guardo ancora un pezzetto». E piango. Come dite, l’ho già scritto? Il progetto originario è di Stanley Kubrick, Haley Joel vedolagentemorta Osment è il piccolo robot che sogna di essere un bambino vero con una mamma vera, Jude Law è un androide anche nella vita, secondo me.

2002 - La 25ª ora
Amo Spike Lee. Tutto, dalle commedie ai drammi, tranne Miracolo a Sant’Anna. Molti suoi film sono arrivati a un soffio dall’entrare in questa classifica, ma ho scelto La 25ª ora perché questa è la selezione che passa dal cuore, e al cuore, signora mia, non si comanda. Qui c’è Edward Norton, che come è fico lui quando fa lo sfigato non ce n’è, spacciatore che il giorno dopo verrà chiuso in galera per sette anni. La fidanzata è Rosario Dawson. E uno dei suoi migliori amici è Philip Seymour Hoffman, prof che sogna di infilarsi nelle mutande di una sua allieva. E poi c’è New York, e per la prima volta, vista dall’alto, la voragine del World Trade Center. Sono l’unico che piange alla scena dello specchio e poi per tutto il finale?

2003 - Mystic River
Capolavoro. Punto. Clint Eastwood ai vertici della sua carriera registica. Una storia da accapponare la pelle, una sceneggiatura eccellente. Dialoghi che fanno male, pugni nello stomaco come se piovesse. Un trio di attori formidabili che rispondono ai nomi di Sean Penn, Tim Robbins, Kevin Bacon. E vuoi non piangere disperato all’ultima scena, quella della parata, con quegli sguardi, quello scambio muto che sottende che tutto è finito, che l’amicizia non è più possibile, che quello che si era incrinato 25 anni prima adesso è in frantumi? Due Oscar e due Golden Globe.

Per rinfrescarvi le idee...
1989-1993

martedì 5 novembre 2013

31


Dunque: i Coen, Kevin Kline che sembra suo nonno, Elijah Wood che deve suonare per non farsi ammazzare, una commedia politica prodotta da Kim Ki-duk, eros e thanatos giapponese, Robert Redford quasi muto, un documentario su Battiato, l’anteprima del nuovo Mazzacurati, l’ultimo James Gandolfini, il nuovo del regista de Il calamaro e la balena, i vampiri di Jarmusch, il remake americano di Á annan veg, un noir indiano, 8 e ½, Armando Crispino, Bela Tarr e il miglior cinema americano anni Settanta. Giusto per dirne un po’. Ci vediamo al Torino Film Festival dal 22 al 30 novembre. Anche con lui.


lunedì 4 novembre 2013

sweet home chicago


http://lafabricadeisogni.blogspot.it/2013/11/the-fabulous-80s-special-raccolta-link.htmlNon sono uno che ama particolarmente gli anni Ottanta, anzi. In primis perché per colpa dei tanti baby pensionati di allora io non smetterò di lavorare mai, e poi perché mi ricordano la mia orribile adolescenza per niente inquieta. Detto ciò, l’amica Arwen (quella che vorrebbe sposarmi anche se è povera...) ha ideato questa iniziativa qui e io ho aderito sub... sì, insomma ho aderito. E il primo film che mi è venuto in mente, ma proprio il primo, prima di Blade runner o di Toro scatenato o C’era una volta in America, è stato una commedia, piccola, neanche di troppo successo da queste parti. In un periodo di inutili commediole e commediacce adolescenziali, oscillanti tra il becero e lo stracciamaroni, Una pazza giornata di vacanza (Ferris Bueller's day off, 1986) spicca per essere qualcosa di completamente diverso. Sceneggiatura (scritta in una settimana) e regia sono di quelle solide, lineari, di un John Hughes (buonanima) nel suo periodo migliore. Protagonista-mattatore Matthew Broderick, che con questo film smette di starmi sul cazzo e che qualche anno dopo (Election, 1999) avrebbe finito per somigliarmi almeno fino al 2000. È lui Ferris Bueller, il compagnone che tutti avremmo voluto avere (o essere) al liceo, che decide di marinare la scuola con la sua ragazza (Mia Sara) e il suo migliore amico depresso e frustrato (Alan Ruck) e andarsene in giro tutto il giorno con la Ferrari del padre di quest’ultimo per le strade di Chicago. La parte iniziale e la scena del museo sono memorabili, Jeffrey Jones è perfetto come preside odioso, Charlie Sheen appare in un cameo, la colonna sonora ricorda che gli anni Ottanta non sono stati solo fuffa.