lunedì 28 febbraio 2011

io tifavo jennifer lawrence


Ma tu te la ricordi la notte degli Oscar su telemontecarlo? Quella veglia interminabile fino alle 3, magari anche in compagnia di un buon film ma non da vedere a quell'ora, i grissini nella maionese, i liquori sorseggiati in semicandestinità, i silenzi e i rumori della notte, la cerimonia interminabile e kitsch come Sanremo o il telegatto, il commento italiano insopportabile, le prime luci dell'alba, e and the winner is... o the oscar goes to... giusto per variare, e c'era sempre qualcuno che si commuoveva, anch'io – dalle risate – ascoltando Robin Williams o Billy Crystal. Un rito solitario, nessun altro con cui dividere l'insana passione televisiva, come lo snooker al sabato pomeriggio o i porno del fine settimana. Mattù, te la ricordi la notte degli Oscar su telemontecarlo?

venerdì 25 febbraio 2011

se chiedi un aiuto ti tendo la mano


Strana creatura, Danny Boyle. Ma sempre interessante, come per questo 127 ore. James Franco, un uomo che inspiegabilmente piace alle donne (soprattutto stavolta), è il protagonista assoluto di questa storia vera tradotta in film, che rimanda in qualche modo a Into the wild e, soprattutto, allo splendido e ignorato Grizzly man. Un pirlunga fissato con le camminate estreme finisce per incastrarsi la mano in un canyon per più di cinque giorni. Un altro regista e ci si poteva sparare per molto meno: Boyle riesce nell'impossibile e il film scorre e piace. Lo vidi al Torino Film Festival con una poison refrattaria alle amputazioni, e la capisco. La scena in cui... no, va beh, non ve la racconto. Però quella roba lì è per stomaci forti. Arriva oggi al cinema: non aspettatevi un capolavoro ma andateci. State ancora qua? Ah beh, cazzi vostri. Premio Oscar? Naaaa, a meno che non ci sia un premio per le location, ché le montagne dello Utah lo meriterebbero tutto.

P.S.: grazie al cielo il titolo è stato tradotto, ché 127 hours sarebbe sembrato il modello di una Fiat. E neanche dei migliori.

mercoledì 23 febbraio 2011

amleto allora perché è grande?


Io su quella battuta lì, figlia di un monologo strepitoso, smettevo di essere chi ero. Crollava il personaggio, mi prendeva una ridarola grassa e contagiosa che poteva durare minuti. Ci divertivamo. Della mia parte amavo molto l’inizio del secondo atto, forse perché è un po’ la chiave di tutto, forse perché finivo sempre per palpare una tetta a T. che fingeva di arrabbiarsi. Quand’è che abbiamo smesso? Di divertirci, dico. Sì, la mia distanza. Sì, gli scarsi progressi. Sì, le vite matrimoniali che crescevano intorno. Ma qualcosa si era rotta già da prima. E ieri, ripetendo qua e là le battute sottovoce mentre era in scena il figlio di Eduardo, vi ho ripensato e un po’ mi siete mancati. Mannaggia ’a guerra, mannaggia.

martedì 22 febbraio 2011

pistole e parole


Non uscivo così perplesso dalla visione di un film dei Coen dai tempi di Crocevia della morte. E con la medesima domanda sulla punta della lingua: «E quindi?». La confezione de Il Grinta è quasi perfetta. La sfida di fare un western clamorosamente logorroico, verboso quanto un combattimento di supereroi di un fumetto Marvel degli anni Settanta, è riuscita. Jeff Bridges gigioneggia furbetto e divertito e regge tutto il film insieme alla rivelazione Hailee Steinfeld (non si capisce perché sia candidata come attrice “non” protagonista…). Inoltre è sempre bello vedere qualcuno che mena Josh Brolin o Matt Damon… Dopodiché resta il dubbio sul senso dell’opera, il uai, per dirla più prosaicamente. Non siamo dalle parti non dico dell’immenso A serious man, ma neanche del cazzeggio di classe di Burn after reading, giusto per citare la produzione più recente. E il Coen touch emerge solo a tratti, come nella centrale, memorabile scena della capanna.

lunedì 21 febbraio 2011

problemi reali


- Sono degli idioti.
- Sono stati nominati cavalieri.
- La cosa è ufficiale, allora.
(Il discorso del re, Tom Hooper)

Confesso: temevo la noia, il bel compitino, la confezione da Oscar. Ho dovuto ricredermi. Certo sembra tutto fatto per vincere, dai dialoghi brillanti alla scelta dei due attori protagonisti (Colin Firth è da manuale, ma Geoffrey Rush guadagna il mio Oscar personale nella scena dell'audizione). Tuttavia c'è anche molta anima nella storia, peraltro vera, del principe balbuziente che si ritrovò alla vigilia della seconda guerra mondiale a dover regnare in Gran Bretagna, visto che il legittimo erede sognava soltanto una vita normale, di stralusso ma “normale”. Che poi è una storia in cui è facile rispecchiarsi: quando le parole – quelle importanti – si incagliano da qualche parte in gola, e vengono su solo quando si capisce da quando e perché rimangono lì. Magari fidandosi di qualcuno totalmente, non soltanto rilassando il diaframma e sciogliendo la mandibola.

giovedì 17 febbraio 2011

brutti, sporchi e cattivi


Sembra passato un secolo da quel primo dicembre sotto il triste nevischio torinese, scoglionato perché consapevole che quello che stavo per vedere sarebbe stato l’ultimo film del Tff prima del ritorno al lavoro. La trama non mi esaltava più di tanto: una ragazzina con madre catatonica e fratellini in custodia va alla ricerca del padre latitante per evitare di finire senza casa e in orfanatrofio. Tuttavia ho rischiato, e quanto ho fatto bene? Un gelido inverno (che tra l’altro il Torino Film Festival lo ha poi anche vinto) esce domani e, se non fosse che non credo ai miracoli, spererei anche in un paio di Oscar, o almeno uno (Portman o non Portman) per la giovane ed eccellente attrice principale, Jennifer Lawrence. Voi correte a vederlo comunque: per lei, per la storia, per il tocco severo e spietato di Debra Granik (regista e sceneggiatrice insieme a Anne Rosellini), per le facce straordinarie dei comprimari, per la natura del Missouri, mai stata così protagonista.

mercoledì 16 febbraio 2011

aquarela


Mentre guardavo Gianni e le donne era un po' difficile non pensare alla notizia del tour operator che porta i pensionati oltre confine a sputtanarsi i loro quattro soldi al casinò. A parte questo, il merito del simpatico Gianni Di Gregorio (impagabile faccia da schiaffi oltre che cosceneggiatore di film anche importanti) è quello di aver riabilitato il cinema "due camere e cucina": quello fatto di poco, che negli anni Ottanta non si filava nessuno anche nei rari casi in cui era fatto bene e che oggi, nelle sue mani, risorge con discreto successo. La pellicola è divertente, forse avrebbe funzionato di più durando qualche minuto in meno, avanza per bozzetti ma parla, sa parlare di mezz'età e di vecchiaia con l'acume e la leggerezza già presenti in Pranzo di ferragosto (a proposito, anche stavolta c'è la formidabile Valeria De Franciscis). Sopravvalutato, ma qualcosa rimane. E rivedere Valeria Cavalli, magnifica cinquantenne in un piccolo riuscito cameo, è sempre un piacere.

martedì 15 febbraio 2011

incubi prima di dormire


La settimana scorsa Le vite degli altri su raidue, ieri sera La caduta su raitre. Se il prezzo per vedere buoni film in tv è che continui a governare lo psiconano, io preferisco andare al cinema.
•••
Ronaldo lascia il calcio. Con nove anni di ritardo.
•••
Faziose, radical chic, poche. Viene in mente Vecchioni: «… ma le parole invece tu le mischierai tutte dentro un cappello…».

lunedì 14 febbraio 2011

agli


No, non è la mancanza della “solita” sceneggiatura di Arriaga. Non è il fatto che il protagonista (aridanga!) parli con i morti come in Hereafter. E neanche l'insistenza sulle pisciate sanguinolente di un pietrificato, notevole Javier Bardem. Di Biutiful, nuovo fim di Alejandro González Iñárritu, ti rimangono molto più di sicuro due cose. Per cominciare, la musica assordante delle due scene migliori, quella in cui appare per la prima volta la sbalestratissima ex moglie e quella, ancora più triste, della discoteca. Poi, anzi soprattutto, una Barcellona irriconoscibile. Sporca, xenofoba, piena di poliziotti e invasa da cinesi e africani disperati. L'altra faccia della medaglia turistica, quella che ci piace tanto per dimenticare che i miracoli non esistono.

giovedì 10 febbraio 2011

uomini e cani


- Adam, Colombo era... ebreo?
- Sì sì, signora Lipowitz, Colombo era decisamente ebreo, ehm, ma era anche italiano. E dunque in effetti non mi fiderei di un italiano. Non dovrebbe neanche lei. Sì, è vero, è un popolo di illuminati, ma hanno leccato lo stivale e ora pretendono che tutti dimentichino e perdonino.
(Adam resurrected, Paul Schrader)

Poiché in Italia Adam resurrected (2008) è uscito contestualmente e virtualmente in due o tre cinema e in pochi dvd solo qualche settimana fa, la mia visione è virtuale anch'essa: rendiamo grazie al mulo e malediciamo a dovere le miserie di questo piccolo paese ché, con i suoi piccoli mezzi, la One Movie di più non poteva fare (ehm, magari tradurre il titolo? vabbè). Direte: un altro film sulla Shoah? cheppalle! E no, cari. Qui non siamo dalle parti accomodanti e televisive delle piatte fiction da multisala, qui abbiamo un grande regista-sceneggiatore spesso ingiustamente scacato dai più, un Jeff Goldblum mattatore in stato di grazia, un ragazzo selvaggio (Tudor Rapiteanu) che ammorbidisce e sentimentalizza senza spezzare la crudezza del messaggio, un Willem Dafoe che fa quello che ci si aspetta da Willem Dafoe. Il tutto immerso nell'Israele degli anni Sessanta, in un ospedale psichiatrico per sopravvissuti allo sterminio dove un ex clown tenta di uccidere i suoi fantasmi e i suoi sensi di colpa. A tratti ci vuole stomaco, in ogni momento richiede testa e anima. Recuperatelo.

mercoledì 9 febbraio 2011

le ceneri di angela


Mentre la Merkel dice che «bisogna ripensare il modello-paese cominciando dall'orario di lavoro», il culo flaccido che le fece cucù pensa a pararselo e i suoi servi litigano su quanto sarebbe meglio far lavorare anche nei giorni di festa. L’imperativo è produrre, anche solo rutti con cui riempire i tg. Voglia di ingozzarli di diarrea, tutti o almeno una buona parte, prima che cambino casacca.

venerdì 4 febbraio 2011

celeste nostalgia


Prima di diventare papa, Ratzinger era un donatore d'organo?

giovedì 3 febbraio 2011

sindrome di stoccolma


Totò Vasavasa si è iscritto a Giurisprudenza: scemo chi Legge.

mercoledì 2 febbraio 2011

perché l'hai fatto (credevo che tu fossi felice)


Giuro, sono partito con tutte le migliori intenzioni, contro i parrucconi che ne avevano detto peste e corna, contro i pregiudizi intellettuali, contro 'a fissa e sorete (scusate, ma dopo mi sono consolato con gli Squallor), mi sono anche documentato guardando un paio dei vecchi telefilm con Bruce Lee (dio, che tenerezza! però quando aveva la giacchetta da cameriere sembrava Franco Franchi... Cicciooo, ca a schifìo finisce!). Ora posso dirlo: The green hornet, nonostante ci sia dietro la regia di Michel Eternal sunshine of the spotless mind Gondry, è una gran brutta minchiata. Il tentativo sembra quello di fare un'operazione pop nostalgica in stile Batman di Tim Burton, ma non gli si avvicina manco per sbaglio. La noia regna sovrana, non ci sono idee, il 3d serve a spillare soldi e gran parte del cast è fuori parte: se Seth Rogen (anche cosceneggiatore) può fare il supereroe, io posso fare il ginnasta alle prossime olimpiadi.