mercoledì 23 aprile 2014

et stop


Ieri, per la prima volta nella mia vita, ho mandato un telegramma. La mia collega simpatiapiù, che si chiama come poison ma che con la nostra blogger non ha ahimè altro punto di contatto, ha deciso di sbolognarmi quest’incombenza senza neanche un «per favore», perché lei era troppo impegnata e non c’era nessun altro nei paraggi. «Io invece mi sto grattando l’uccello» è stata la risposta immediatamente partorita dalla mia dolce e paziente personcina: poi, quando simpatiapiù ha abbassato la cresta, i toni e ogni altra cosa al mondo, ho preso e lento pede sono andato in posta, con l'entusiasmo di un bradipo morto ma il sorriso di Franti l'infame. In posta, vi chiederete? Già, perché via telefono da noi non si può, neanche volessimo chiamare Luana la porcona con sede a Tahiti. E farlo via internet? No, perché il sito richiede una registrazione che dovrebbe fare l’azienda: non posso mica mandare un telegramma di condoglianze a un perfetto sconosciuto a nome mio… Che poi, per carità, magari i parenti apprezzano lo stesso. Oppure si spaccano la testa a chiedersi «ma questo chi minchia è? vorrà mica una fetta di eredità?». Comunque, il problema non è tanto andare a fare il telegramma: è passare qualche minuto della propria vita in un ufficio postale, luogo che per me ha per me lo stesso appeal di una grossa cacca fresca appena pestata dalla suola di gomma istoriata di una immacolata scarpa da tennis stile nonfacciosportdallottantatremafafico. Detesto i colori windows (per non parlare del giallo Posta, che è quasi peggio del celestino Panda) e - che vi aspettavate da uno come me? - detesto le code. Voglio dire: se internet ha un senso, è quello di poter evitare le file, almeno quasi sempre. Ma facciamo finta per un attimo che l’ufficio postale sia un luogo meraviglioso e parliamo dell’oggetto in sé. Non il telegrafo, che ebbe un senso glorioso, importante, dal 1844 a... diciamo il 1980? No, io voglio parlare del telegramma. Cioè quell’affare di carta giallina ripiegata che appartiene a un passato di cui non essere nostalgici e che oggi sopravvive solo in frangenti funerei. Un ridicolo e stringato comunicato da 4,47 euro (se va bene e stai sotto le venti parole) contro la gratuità di WhatsApp. Una roba finta, ché non c’è più nessun Giovanni telegrafista che stia lì a picchiettare l’alfabeto morse. Insomma ciarpame buono per musei morti, come il fax o il gusto puffo. E invece niente, (r)esistono ancora tutti e tre.

8 commenti:

  1. io i telegrammi di condoglianze - che in ufficio vanno alla grande - li mando dal mio account e poi mi faccio dare i soldi. Che l'idea di andare in posta mi procura l'ittero. E li pago 3.66. :)

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    1. eh, l'azienda è grande, la gente muore...

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    2. Anche io ho fatto un telegramma l'altro giorno! Grande emozione! Ma telefonicamente, per fortuna, ché la posta non attrae particolarmente neanche me, benché sia un luogo pittoresco in cui passare del tempo libero, talvolta... :-))

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    3. piuttosto che stare in coda credo che preferirei guardare i lavori stradali come i pensionati...

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  2. un telegramma???
    ma l'hai mandato a mr. ford, vero? :D

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    1. sì, sai, tra noi di un'altra generazione si comunica così. poi sono tornato a casa con la diligenza, ho acceso il caminetto e le lampade a petrolio... ;)

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