È bello ritrovare una vecchia passione. Che magari non ami più come un tempo, o forse non ami più e basta, però state bene insieme il tempo che state insieme e amen. È più o meno quello che ho pensato guardando a Berlino Eisenstein in Guanajuato, il nuovo film di Peter Greenaway. Un po’ la temevo questa mezza biografia del mitico regista russo venuto in Centro America per girare Que viva Mexico!, ma ho dovuto ricredermi. Dopo le deviazioni onanistiche de Le valigie di Tulse Luper, Greenaway torna alla grande, fa sorridere, riempie lo schermo e il cuore. Non so se Sergej Ėjzenštejn fosse davvero il gayo fuori di testa dipinto dal regista gallese, fatto sta che è impossibile non appassionarsi al suo modo di vedere il cinema e, soprattutto, la vita. Greenaway non rinuncia quasi a nessuno dei suoi vezzi (compreso l'infinito finto piano sequenza del litigio a colazione), ma non sono quasi mai fine a se stessi: li mette al servizio di uno strepitoso, incontenibile (anche fisicamente) Elmer Bäck, E, ripeto, ci si diverte. A tratti ci si emoziona. Quasi sempre, se un po’ si ama il cinema, si segue a bocca aperta.
venerdì 20 febbraio 2015
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Ormai fai prima a mandarmi il tuo calendario berlinese, a parte qualche Malick e qualche piccola sòla, vorrei vedermi tutto, primo Greenaway compreso :)
RispondiEliminaa parte Malick, della vera sòla non ho ancora parlato :D
EliminaUps, parlavo di Journal d'une femme de chambre , che se non ha convinto te a me non ha fatto sorgere nessuna curiosità :)
Eliminamah, sai, il film di Jacquot più che una sòla è stata una delusione
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