martedì 3 settembre 2013

il tutto per la parte (e ritorno)


Forse la prossima volta devo leggere meglio la sinossi. Domenica pomeriggio molto postprandiale, quasi precena. Dico «Ci vediamo un film?». La ms: «Sì, ma una cosa leggera». Spulcio un po’, poi dico «Synecdoche, New York!». «Eh?» fa lei. «Il primo film da regista di Charlie Kaufmann, lo sceneggiatore di Gondry» spiego io. Approvato. Piazzo la chiavetta e il film inizia. E ridiamo. Anche tanto. Perché il lugubre incipit con la radio in sottofondo che celebra l’autunno con una poesia mortifera, e la cacca verde della bambina, e Pinter che è morto, anzi no ha vinto il Nobel, sono da schiantarsi, almeno secondo noi. Poi le cose si complicano, si avvitano, si amplificano a dismisura. Iniziano i giochi di specchi, i doppi sensi, i nomi che hanno suoni simili (ottimo lavoro ai sottotitoli, complimenti!), i cognomi significanti. E la storia di Philip Seymour Hoffman, regista teatrale ipocondriaco che dopo l’abbandono della moglie, pittrice alternativa di quadri minuscoli, e la quasi contestuale vincita di un premio in denaro, decide di utilizzare i soldi per mettere su lo spettacolo della sua vita (inteso sia come memorabile, sia come rappresentazione di quello che gli accade), diventa uno strano moloch di ardua lettura. Mentre si affastellano le apparizioni (cast ricchissimo che comprende tra gli altri Catherine Keener, Michelle Williams, Samantha Morton e Jennifer Jason Leigh) e, tra metateatro e metacinema, i personaggi si sdoppiano, si triplicano (perché per interpretare gli attori che interpretano i personaggi ci vogliono altri attori, giusto?), passano gli anni (più di venti) e si continua a non andare in scena: è una prova eterna, uno psicodramma infinito, un monta e smonta continuo, mentre vita e spettacolo si intrecciano inevitabilmente. Tutti, moglie, figlia, genitori, muoiono intorno al protagonista, le cui patologie continuano ad aumentare. Ma proprio quando sembra che Kaufmann abbia perso la brocca o il filo o tutt'e due, occazzo arriva il finale, che è puro genio ed è affidato a una Dianne Wiest straordinaria. Un esordio esagerato, imperfetto, prolisso, ma interessantissimo: d'altro canto, come aspettarsi qualcosa di diverso da Charlie Kaufmann?

10 commenti:

  1. In effetti mi chiedessero a bruciapelo il titolo di un film "leggero" questo è davvero il primo che mi verrebbe in mente! :)

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  2. difficile trovare un film più leggero di questo...
    forse 2001 :)

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    1. sempre di vita, di morte e di massimi sistemi si parla, in fondo :D

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  3. Film veramente complesso. In alcuni momenti però si raggiungono dei picchi di intensità altissimi. Il finale è meraviglioso! Ma nel complesso non mi ha convinto del tutto... Avrei tagliato alcune scene, mi spiego meglio: talvolta l'assurdo diventa eccessivo e finisce per trasformarsi in ridicolo che è una grande pecca per un film così! In ogni caso un film da vedere.. Forse il motivo per cui non l'ho apprezzato in pieno è che sono troppo giovane. Un film che rivedrò quindi fra qualche anno, per ora preferisco astenermi dal giudizio.
    A parte tutto, bella recensione!!

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    1. vero, talvolta l'assurdo rasenta il ridicolo, ma Kaufmann secondo me riesce a non... come dire... farla fuori dal vaso

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  4. a casa mia, alla richiesta di una cosa leggera, l'uomo di casa ha messo su: I BANCHIERI DI DIO

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  5. io me lo sono visto un paio d'anni fa, durante un mio capodanno solitario. non ricordo se ero già ubriaco prima, dopo sicuramente.

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    1. può essere il modo migliore per capire qualche passaggio ;)

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