domenica 19 dicembre 2010

stroke it


Comincio subito col dire che il titolo del post è quello che avrei risposto al genio che ha proposto il titolo italiano di Made in Dagenham. Dice «Ma era uno dei titoli di lavorazione!»: posto che i titoli di lavorazione solitamente sono dati col culo giusto per riempire uno spazio vuoto quando non si hanno idee precise, ce n'era un altro di titolo di lavorazione, e in italiano suonava come Le ragazze di Dagenham. Carino, no, testadicazzo? Ti fa cacare? Ok, Le ragazze della Ford si capisce meglio? No? E allora ti meriti il titolo italiano segaiolo e vaffanculo. Parliamo di cose serie? Parliamone. Ammetto che sono andato a vedere We want sex soprattutto perché il mio ammmore me ne aveva parlato bene (ché lei dice che non ne capisce ma in realtà non è vero). Ebbene, tornando alla qualità de L'erba di Grace, e mantenendo sempre quel taglio nazionalpopolare anche un po' vecchiotto ma che ti incolla allo schermo né più né meno di una puntata di George e Mildred alla tv, Nigel Cole è riuscito a raccontare senza sbavature (beh, a parte il finale un po' troppo yeppayé) una storia incredibilmente vera e, apparentemente, lontana nel tempo. L'adorabile cofana spampanata di Sally Hawkin potrebbe fruttarle qualche premio, ma il resto della compagnia (Bob Hoskins e Miranda Richardson, giusto per parlare di quelli più noti) non è da meno. Il pubblico intorno, prevalentemente femminile, sembrava stare alla protagonista come i ragazzetti a de sica: sognatrici di una vita da donne con le controvagine loro, sognatori i brufolosi di palpare il culo a belen. Entrambi, inutilmente.

2 commenti:

  1. Ah, George e Mildred, che nostalgia!

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  2. Ah, ecco chi era: Bob Hoskins! Mi sembrava di conoscerlo.
    De Sica figlio? Comunque quei ragazetti di cui parli tu stanno in quello spazio che separa De Sica padre da De Sica figlio: un limbo dalle tante sfaccettature e non tutte immediatamente comprensibili.

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