venerdì 31 gennaio 2014

it's a shame


Potevo tirarmi indietro di fronte alla nuova idea-sputtanamento proposta dal Cannibale? Assolutamente no. Dico subito che, essendo spudorato, ho fatto fatica a trovare dieci film che mi sono piaciuti e di cui dovrei vergognarmi (ma di cui, sotto sotto, non mi vergogno). Alla fine, eccoli qua. Niente classifiche, l'ordine è rigorosamente alfabetico. Buon divertimento.

Caligola (1979)
Come scrissi secoli fa, un pastiche esagerato, kitsch, pop porno, visionario, lisergico, potente, con attori del miglior teatro inglese, sequenze geniali, sceneggiatura di Gore Vidal, soldi del patron di Penthouse e regia (fra gli altri) di Tinto Brass. Se fosse stato girato da Derek Jarman l'avrebbero già rivalutato. Da vedere nell'edizione integrale da 153 minuti.







Cosa avete fatto a Solange? (1975)
Thrillerozzo più torbido che erotico (dunque vedibilissimo da me poco più che bambino sulle tv private che lo mandavano in continuazione). Fabio Testi è un prof che se la fa con una studentessa. Quando un maniaco comincia ad ammazzare le altre allieve, la polizia pensa sia lui il colpevole. Regia del mitico Massimo Dallamano.
Dedicato a una stella (1976)
Sull'onda del successo del remake di È nata una stella, Luigi Cozzi realizza un film che con quell'altro non c'entra pressoché una minchia, se non per la stella nel titolo. Melò strappalacrime con Pamela Villoresi che, già strehlerissima a teatro, qui - a dispetto dell'orrenda locandina – gioca alla malata terminale parolacciara e giovanissimamente gnocca di cui si innamora un musicista scrauso in cerca di redenzione. Amen.






Fracchia contro Dracula (1985)
Come ho detto di recente, un piccolo colpo di genio forse inconsapevole, probabilmente l'ultimo Paolo Villaggio meritorio di essere ricordato. Con Gigi Reder che fa Filini (lo so, non è un film di Fantozzi, ma non fatevi troppe domande), Edmund Purdom (mica cotiche) nel ruolo del vampiro e Ania Pieroni (allora amante conclamata del gran capo pre-Hammamet) prima del ritiro dalle scene. Dirige Neri Parenti.




I soliti idioti (2011)
Nutro un'autentica passione per il programma tv di Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli. E continuo a sostenere che il loro primo film (sul secondo stendiamo un velo pietoso) sia sì una cosina, ma tanto divertente e tutto sommato ben costruita.




Killer klowns from outer space (1988)
Ecco, se qualcuno mi chiedesse «Qual è il tuo teen horror del cuore?» risponderei senza esitazione «Il film dei fratelli Chiodo». Come non amare questi alieni vestiti da pagliacci che sparano popcorn, imbozzolano la gente nello zucchero filato e muoiono se li colpisci sul naso? 





Mafia! (1998)
Ultimo film da regista di Jim Abrahams, è... una parodia sui film di mafia. Mi aspettavo una stronzata, mi sono ricreduto. Battuta chiave: «Io non sono mio padre, Diane, e neanche tu sei tuo padre. Se fosse così, quello che abbiamo fatto stanotte sarebbe legale solo in Arkansas».





The fantastic four (1994)
Undici anni prima dell'imbarazzante saga firmata Tim Story, la factory di Roger Corman realizza, con effetti speciali anni Sessanta, un film sicuramente migliore di quello benedetto dalla Marvel. Se il Dottor Destino è pessimo, la storia tra Ben e Alicia è bellissima e si respira aria di Freaks.








Tutti insieme appassionatamente (1965)
Classico filmone di Natale, con mezzasuora babysitter che finisce per innamorarsi del barone vedovo e carico di bambini più o meno insopportabili. Sarà per Julie Andrews, ma io lo rivedo sempre con un segreto (ormai mica tanto), sottile piacere.




Yuppies 2 (1986)
È inutile: Massimo Boldi vestito da suora che piange strillando «Non sono mia sorella, non sono mia sorella» mi ha sempre fatto morire. Enrico Oldoini dà ossigeno ai personaggi creati dai Vanzina e tira fuori un sequel che è quasi una sorpresa. Datatissimo, ma strappa ancora un po' di risate.

giovedì 30 gennaio 2014

l'atomica non è un'anima, piciu


Vidi L'impero del sole al cineforum del liceo. E non capivo. Non capivo perché un genio del cinema di intrattenimento volesse a tutti i costi fare film impegnati. Per avere una risposta avrei dovuto aspettare Munich, e poi l'assolutamente sorprendente Lincoln. Ma Steven Spielberg è così, ed è in cima, lassù, nel mio empireo personale, anche se dopo War horse ero molto tentato di cacciarlo. Detto ciò, signori, oggi si festeggia Christian Bale. Che all'epoca era un ragazzino e che, de L'impero del sole, è protagonista assoluto. Ricordo che quando lo vidi pensai: «Ecco, il solito petulante sfigato». Neanche fosse Remì. Che poi un po' Remì lo è, visto che tra una fuga, una guerra (la seconda mondiale), una prigionia giapponese e qualche compagnia poco raccomandabile, il bimbo in fondo cerca i suoi genitori. La storia, già romanzata di per sé, è quella autobiografica di J.G. Ballard, uno dei padri della fantascienza. Il film non è di quelli memorabili, ma una scena in particolare sì: Bale, che è convinto di essere capace di ridare la vita con il massaggio cardiaco (gli è andata di culo una volta e già urlava «Io sono dio!»), si dispera e piange quando la seconda volta gli va buca. Comprimari di lusso John Malkovich, Miranda Richardson e un quasi debuttante Ben Stiller.


È il Christian Bale day, sapevatelo! E vi aspettano un gran bel tot di recensioni da parte di questi marcantoni qui:

mercoledì 29 gennaio 2014

scorsese laughs


Che dire? Mai avrei pensato di ridere tanto guardando un film di Martin Scorsese. Tutta la (peraltro lunga) scena del Quaalude a scoppio ritardato mi ha fatto morire, e senza neanche cercare di ingoiare un involtino di prosciutto. Tre ore e non vederle passare, botte di cinema puro come solo il regista italoamericano sa fare ma con un qualcosa di più, una bulimica voglia di ficcare dentro tutto in questa orgia (chi l'ha già scritto? aveva ragione) di cose, personaggi, situazioni, così sbavata da apparire straordinariamente priva di sbavature. The wolf of Wall Street è un Leonardo DiCaprio che smette di atteggiarsi a Orson Brando (o era Marlon Welles?) per decidere di divertirsi. È un film con Jonah Hill che riesco a vedere per intero. È l'esagerazione, è il tronfio tripudio della capacità di trasformare la vita di un grandissimo stronzo in qualcosa che ha un sapore epico ma senza moralismi e senza lezioni (il finale è quasi peggio del resto). Ricchi premi e cotillons per il cervello e il cuore. L'Oscar ideale andrebbe all'adattamento. Matthew McConaughey (che avrebbe meritato la nomination come non protagonista) ormai è un mito, Margot Robbie è insopportabilmente in parte, camei notevoli di Jean Dujardin, Rob Reiner, Jon Favreau, Spike Jonze e dell'inossidabile Joanna Lumley (solo 64 anni?!?).

martedì 28 gennaio 2014

membri stabili del cast di una produzione poco vista di una commedia duratura


Per citare Il giovane Holden, terminata la visione di Before midnight «vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira». Che non è molto diverso da quello che diceva il buon Jumbolo qualche settimana fa, insieme a quest’altra frase che sottoscrivo: «non vedo l'ora di essere nel 2022 per vedere Before something ed abbracciare metaforicamente Jesse e Céline ultracinquantenni che si amano ancora e ancora e ancora». Insomma il terzetto Linklater-Delpy-Hawke fa centro per la terza volta. Certo, avere la stessa età dei protagonisti è un collante piuttosto forte, perché inevitabilmente c'è qualcosa di noi nei due protagonisti, ma è un dato di fatto che di nove anni in nove anni assistiamo sempre a grande cinema di parola, senza mai un momento di noia, e con un crescendo di qualità prettamente cinematografica che speri ma che, in fondo, non t'aspetti molto. Gli ingredienti, in fondo, sono sempre quelli: dialoghi in parte sapientemente improvvisati, assoluta complicità tra Ethan Hawke e Julie Delpy, ribaltamenti di prospettiva come di tono (il lungo litigio finale è estenuante ma regge benissimo), capacità di Richard Linklater di non trasformare la Grecia (come già Parigi o Vienna) in cartolina ma di mantenerla come semplice quinta fascinosa e mai invadente. Ma sicuro che dobbiamo aspettare nove anni per un'altra dose? E se poi si chiudesse qui? Non lo so se ce la faccio a farcela.

lunedì 27 gennaio 2014

k 379


La ragazza è giovane che non puoi capire, ma Mozart l'avrebbe capita. E se ascolti soltanto e non la guardi è come non leccarsi le dita nella famosa pubblicità. Perché questa si muove ora come sul proprio amante, ora come un derviscio seduto, ora dritta come un fuso, ora gatta in fase d'attacco, ora gobbo ipovedente, ora maestrina che conta amorevole i propri alunni in bianco e in nero. Quasi finale a sorpresa di un weekend sempre troppo breve con Unfattovéro, la partecipazione della poison con Tiz e la bionda, le risate al Quaalude di Scorsese. Ma voi la sapevate 'sta cosa della maratona Mozart a Torino da sei anni a questa parte?

venerdì 24 gennaio 2014

anche quella dai necrologi


Prima che arrivi in sala e che sull'onda della commozione si dica che La sedia della felicità è un bel film, sappiate che non è così. Ne scrissi all'epoca e sottoscrivo. Però, sapere della morte di Carlo Mazzacurati mi ha messo una discreta tristezza. Perché i bei film, nella sua carriera, non mancano: penso a Notte italiana, a Il toro, a Vesna va veloce. E a Marrakech express, perché era uno dei tre sceneggiatori. Ah, e ho anche scoperto che da giovane virgulto ha collaborato alla scrittura di quel piccolo colpo di genio (inconsapevole?) che fu Fracchia contro Dracula. Ma siccome devo recitare fino in fondo il mio ruolo di snob (poi la Tiz mi picchia), per rendergli omaggio sono andato a recuperare uno dei suoi (non pochi in verità) insuccessi di pubblico, che invece avrebbe meritato molta più attenzione: La giusta distanza. Girato nel 2007 e ambientato in un Polesine (ma potrebbe essere quasi ovunque) ricco e volgare, fintamente integrato, dove finché tutto va bene il razzismo sembra un'eco lontana, il film è una storia d'amore che a un certo punto si tinge tragicamente di giallo. E il giallo, come già in Notte italiana, diventa la chiave perfetta per raccontare le miserie del nostro paese. Serve altro? Beh, sappiate che c'è Valentina quantosessomifai Lodovini che si innamora (come darle torto?) di Ahmed Hafiene. Che ci sono un laido Battiston e un immancabile cameo di Fabrizio Bentivoglio. Che la festosa musica dei Radiodervish arriva subito prima di una di quelle scene, semplici ma girate coi controcazzi, che sono un vero calcio nello stomaco. E che l'esordiente Giovanni Capovilla è una bella sorpresa.

giovedì 23 gennaio 2014

there's a new girl in town


Amavo Alice. Irripetibili pomeriggi di quasi adolescenza in cui Linda Lavin occupava quella mezz'ora facendomi ora ridacchiare ora immalinconire insieme a Mel, Flo e Vera. Solo qualche anno dopo avrei scoperto che quell'adorabile sitcom, protagonista una cameriera che sogna di tornare a fare la cantante e durata ben nove stagioni (1976-1985, ma noi ne abbiamo viste molte di meno...), era stata innanzitutto un film, Alice non abita più qui, diretto da Martin Scorsese nel 1974. Un film, diciamolo subito, che perde al confronto col prodotto televisivo, a cominciare da una sceneggiatura un po' tagliata con l'accetta: è come se tutto avvenisse troppo in fretta, a discapito della credibilità. Ellen Burstyn è un po' troppo gatta piagnona e quell'Oscar nell'anno di Gena Rowlands (Una moglie) e Faye Dunaway (Chinatown) grida vendetta. Decisamente più azzeccato il resto del cast, che comprende Diane Ladd nel ruolo di Flo, Vic Tayback che sarà Mel anche in tv, un giovanissimo e manesco Harvey Keytel, Kris ficodellamadonna Kristofferson e l'inquietantissima Jodie Foster, appena due anni prima del suo exploit in Taxi driver.


Con questo post il blog aderisce al Martin Scorsese day insieme a:

Director's Cult
Ho Voglia di Cinema
In Central Perk
Life functions terminated
Non c'è paragone
Pensieri Cannibali
Recensioni Ribelli
Scrivenny 2.0
White Russian

martedì 21 gennaio 2014

scollature


Se mi metto a parlare di Amy Adams non ne usciamo vivi: perché sebbene l’abbia vista in decine di film, e l’avessi già adorata in The fighter, è una di quelle che fino alla settimana scorsa non riuscivo a memorizzare, tanto da restarmi in mente come l'odioso paciarotto di Come d’incanto e de I Muppets. E invece in American hustle è impossibile staccarle gli occhi di dosso, complici le mise vedo-non vedo da capogiro che aspetti che da un momento all’altro mostrino molto di più. Punto e a capo. Vi ho già detto quanto è strepitosamente gnocca Amy Adams? Oh, già, che sbadato. Ma cos’è il nuovo film di David sopravvalutato O. Russell? Ispirato a fatti realmente accaduti, è l’intricata storia di una coppia di truffatori (quella stragnocca di Amy quantosessomifai Adams che si accompagna a un orribile Christian Bale col panzone e il riporto) che, beccati dall’Fbi (nella persona di Bradley Cooper che si arriccia i capelli con i bigodini, siamo pur sempre negli anni Settanta!), sono costretti a fare il doppio gioco per incastrare una serie di politici corrotti. La cosa sfugge di mano a tutti, complice la mafia (bentornato mr. De Niro), un sindaco quasi onesto (Jeremy Renner con la cofana alla Bobby Solo) e la sventata moglie di Bale (una adorabile Jennifer Lawrence). Attori perfetti, dialoghi molto divertenti, qualche battuta da mandare a memoria, finale un po' improbabile, colonna sonora godibilissima, confezione di lusso: un gran bel giochino, non molto di più.

lunedì 20 gennaio 2014

e dover vivere fino alla morte che fatica


Prendete carta e penna. O comunque sia segnatevi ‘sta dritta, o voi che state a Torino e dintorni: cineteatro Baretti, avamposto (multi)culturale di una zona multiculturale, dove si dà ottimo cinema pressoché invisibile a prezzi popolari. Anche la stagione teatrale promette bene, vi saprò dire. Ché, insomma, io e la ms non ci siamo fatti mancare nulla nel weekend pur di sconfiggere l’uggia. E tra mostre (Eve Arnold a Palazzo Madama e il Novecento russo all’Archivio di Stato), pause mangerecce e cinema al plurale (visto anche Nebraska, ma ne parliamo domani), c’è stato spazio anche per Arrugas. Che è un cartone animato spagnolo, tratto dall’omonimo fumetto di Paco Roca e diretto da Ignacio Ferreras, già tra gli animatori del meraviglioso L’illusionista di Sylvain Chomet. Vincitore di un fottio di premi internazionali e di due Goya, bellissimo e, forse in quanto tale, visibile soltanto a capocchia in giro per l’Italia per un paio di giorni e nulla più distribuito da quei volenterosi di Exit med!a. La storia, per dirla con Paolo Conte, raccontata ci può perdere: si parla di case di riposo, di vecchiaia, di Alzheimer. A far da contraltare a una grafica pressoché essenziale, una ricchezza di idee sorprendente e una levità davvero profonda (non saprei come altro spiegarlo). E ci si commuove tanto, senza sosta né vergogna, almeno a partire dalla scena delle nuvole. Portatevi un tot di fazzoletti.

venerdì 17 gennaio 2014

quando si muore si muore soli


Film di uscita natalizia che parla di morte in modo che questa, forse, per un attimo, sembri avere un senso? La cosa mi intrigava, ma i giudizi troppo positivi di solito mi danno le vertigini. Sarà per questo che Still life (titolo bellissimo e ambiguo al punto giusto, sottigliezze che ringalluzziscono il cinefilo snob che giace sotto la cenere) l'ho visto con l'arrivo del nuovo anno. Ed è stato ammmore. Per metà è merito di Eddie Marsan, tristanzuolo impiegato del comune di Salcazzuth che ridà dignità ai morti dimenticati, Joe contro il vulcano dal fisico fantozziano e la maschera di uno che non ha mai conosciuto gioia, interpretazione magistrale. Ma in realtà funziona pressoché tutto nella costruzione della storia, persino il finale (non la scena finale, perfetta, che a me ha commosso ma che alla mia vicina di fila ha causato pianto e stridore di denti) che un po' melodrammatico è, e che, naturalmente, non vi racconto. Avercene di film così, a pacchi, natalizi e non.

giovedì 16 gennaio 2014

come una mela candita che rotola via


Film di uscita natalizia, tratto da una storia vera, che parla di suore cattive (delle vere merde nefaste, in realtà) e bambini venduti? Di timori ne avevo, onestamente, e Stephen Frears è uno che spazia spesso fra ottime cose e pellicole dimenticabili. Eppure io e la ms abbiamo fatto bene a vederlo. Di sicuro Philomena deve tantissimo a una meravigliosa Judi Dench, che calza a pennello un personaggio perfetto in ogni sfumatura. Così come deve tanto a una sceneggiatura che svicola da facili commozioni, non rinuncia a divertire e indugia in certe finezze che non t’aspetti, come i flashback raccontati, anche tecnicamente, con il linguaggio da romanzo rosa di cui si nutre la protagonista. Ah, il “perdono” finale, lungi dall’essere buonista, secondo me è più crudele di un calcio nelle ovaie.

P.S.: chissà per quale congiunzione astrale, a gennaio 2009 è nato un tot di blog che frequento. Uno di questi è il mio, e oggi è il suo compleanno. Procuratevi un bicchiere, riempitelo con qualcosa di alcolico e brindate alla mia salute.

mercoledì 15 gennaio 2014

l’amarissimo che fa malissimo


Adoro Woody Allen. Perché fa il cazzo che vuole, sempre, anche se questo significa alternare minchiate a capolavori, buoni film a robe un po’ così. Blue Jasmine, poi, spiazza. Perché è imperfetto, indeciso, a tratti verboso e barcamenante, un po’ sul genere di Incontrerai uno straniero alto e bruno. Ma nonostante ciò, questa storia di amore, soldi, alcool e disperazione, colma di pietà ma priva di speranza, scava, picchia e affonda più di quanto appaia a una visione distratta. E un’immensa Cate Blanchett, che l’altro giorno ha vinto il Golden Globe, domina su tutti e potrebbe ricevere un Oscar più che meritato.

martedì 14 gennaio 2014

e lo sputtanamento olé


Poiché pare che, a dispetto delle apparenze, il Dantès sia un animale sociale virtuale (un tamagotchi, praticamente), partecipo volentieri al giochino lanciato da Director’s cult in occasione del quinto compleanno del suo blog. Si chiama 10 film da vedere prima che si esauriscano i tuoi neuroni e, beh, è proprio quello: indicare quella sporca decina di pellicole “di livello” che da millantatori esperti di cinema dovremmo conoscere e che invece ci rifiutiamo di vedere per paura, pigrizia o sgiai. Devo dire che non è stato facile, perché di film d’autore ne ho visti a carrettate, specie quando ero un giovane cinefilo snob e supponente (ci credereste? lo sono stato). Detto ciò, vai con il coming out.

Inland empire (2006)
A me Lynch piace, ma della sua ultima fatica ho letto le peggio cose (compresa la trama) e ho ancora i sudori freddi al pensiero di Mulholland drive. E poi odio il titolo tutto in maiuscolo.

Interiors (1978)
L’unico Woody Allen che mi manca. Il che è strano, illogico, visto che ho guardato anche tutti i suoi altri film drammatici. Però qualcosa mi dice che quello lì sia davvero, davvero angosciante.

La città delle donne (1980)
Amo Fellini quasi sempre, anche certe piccole perle poco frequentate come Prove d’orchestra o Ginger e Fred. In questo caso mi sono incagliato dopo 20 minuti. Temo sia un film invecchiato male.

L’albero degli zoccoli (1978)
Ho il dvd. Non acquistato, solo un prestito che è diventato proprietà nel momento in cui non è stato più richiesto. Un po’ troppa campagna, un po’ troppo Olmi, un po’ troppo lungo. Temo.

Morte di un maestro del tè (1989)
Insieme a La mummia con Brendan Fraser condivide il triste destino di avermi visto addormentato al cinema dopo pochi minuti dall’inizio. La curiosità mi è rimasta, ma non so se ce la posso fare.

Nascita di una nazione (1915)
Uno dei capolavori del muto, mi direte, uno dei primi kolossal, quello che inaugura il linguaggio cinematografico moderno. Okay, però le ambiguità reazionarie dove le mettiamo?

Post tenebras lux (2012)
Reygadas per alcuni è un genio, per alcuni un cretino, per altri un paraculo. Io ricordo con la schiuma alla bocca Battaglia nel cielo: all’uscita io e la mia allora fidanzata ci chiedemmo «Ma che cazzo di film è?».

Re Lear (1987)
Da circa trent’anni Jean-Luc Godard mi è diventato indigesto, però questa strana, moderna trasposizione scespiriana l’ho cercata, agognata, in primis per il suo cast assurdo: non sono andato oltre il quarto d’ora.

Stalker (1979)
Di recente ho letto il romanzo da cui è tratto, ed è stato un piacere. Ma quel poco di Tarkovskij che ho visto, anche quando mi intriga (Solaris), mi fiacca come una strada in salita.

Star Wars: Episodio III – La vendetta dei Sith (2005)
Ha ragione la middle: quanto ho amato la prima trilogia di Guerre stellari, e quanto mi ha annoiato la seconda! Così, al momento, l’ultimo capitolo sta lì in attesa. Anzi, non sta neanche lì.

lunedì 13 gennaio 2014

i buoni e i cattivi


Come fai se non hai una lavagna a parlare de Il capitale umano? Il nuovo film di Paolo Virzì ha cose eccellenti, cose così così, (poche) cose sbagliate. Partiamo dalle prime? La regia, la costruzione della storia, ché Virzì ci sa fare, sempre. La capacità di trasformare un romanzo americano in un film italianissimo. La sfida di ribaltare certi ruoli: Fabrizio Gifuni (sempre più bravo) che non è mai stato così merda bastarda, Fabrizio Bentivoglio (che io amo, lo sapete no?) nell'inedito ruolo della merda brutta e cretina, Valeria Golino non più panterona da romanzo popolare ma pucciosa psicologa incinta. E poi la scena di sesso davanti a Nostra Signora dei Turchi, sospesa fra trash e genialità. I giovani attori notevoli e l'ottimo cast di contorno (Gigio Alberti e Bebo Storti su tutti). Il finale crudele. Così così? La Bruni Tedeschi e Luigi "Ratman" Lo Cascio alle prese con i loro soliti personaggi. Il finalissimo un po' troppo happy. Cose sbagliate? L'incapacità di graffiare a sangue. La scena della riunione per il teatro e, più in generale, la caratterizzazione quando scivola nello stereotipo. A far due conti, un film da vedere.

P.S.: la scena con Valeria Bruni Tedeschi in macchina è stata un calcio nella pancia, perché io, nei miei momenti peggiori, disgraziatamente sono proprio così. Mannaggiatté Virzì, mannaggiatté.

venerdì 10 gennaio 2014

all’anima dell’anime con l’anima


Potrei iniziare questo post con un pistolotto nostalgico sui miei dieci anni, la tv dei ragazzi alle cinque del pomeriggio, la nutella come madeleine (oggi potrei morire) e altre pippe in senso proprio e figurato. E invece no, basta con il «Si stava meglio quando si stava meglio», viva «Il presente è il futuro» (oddio, sembro Crozza che fa Renzi la strega…). Oggi parliamo di Capitan Harlock. Il cartoon fu un magnifico cortocircuito culturale della mia infanzia, colmo di quello stupore, quella nostalgia, quello struggimento che a dieci anni vivaddio non puoi capire ma solo percepire, come un’erezione inaspettata: altro che le storie faciline, strappalacrime e melense di orfanelle di montagna e saltimbanchi sfigati! Per questo, e perché in questi anni il capitano ha continuato a farmi compagnia in dvd (unico del periodo a reggere l’usura del tempo insieme a Lupin III), l’aspettativa per il film di Shinji Aramaki era altissima. Ai titoli di coda, però, la mia espressione era un po’ meh. Solo un po’, eh. Perché, al di là della reinvenzione dei personaggi, del fatto che Harlock sia a volte più spettatore che protagonista, delle libertà prese qua e là e di cui onestamente m’interessa quasi nulla, quello che scarseggia rispetto agli anime è l’aspetto romantico, è il cuore. Come accennavo alla ms, mi è parso una specie di tragedia di Shakespeare in impeccabile computer grafica 3D, dove, tra fantaparoloni incomprensibili, si filosofeggia in scioltezza d’amore, di morte e di altre sciocchezze tipo famiglia, politica, ambiente. Non è poco, ma non può essere tutto.

giovedì 9 gennaio 2014

io non posso restare seduto in disparte


Uh, quanta polvere signora mia! Sono qua, sempre di essere mancato a qualcuno. Beh, a una sì: grazie Tiz. Ci sono momenti in cui uno non sa cosa scrivere, o non ne ha voglia, o c’è talmente tanta roba che se usassi la penna sarebbe una di quelle stilo sporche dove l’inchiostro copioso preme inutilmente sulla punta incrostata. Bella immagine, eh? Detto ciò, a parte quello della ms non ho neanche guardato i vostri blog, forse due o tre post degli ultimi giorni scelti a cazzo tra i primi apparsi nell’elenco. Ho visto un discreto numero di film: considerato che poi c’è quella trentina di pellicole del Torino Film Festival di cui non ho parlato che finiranno per accavallarsi con quelle di Berlino (non ve l’ho detto? vado a Berlino. da fb mi ricordano che manca un mese: un po’ mi piscio addosso dall’emozione, un po’ mi sento tremendamente impreparato), il blog potrebbe vivere di rendita fino a metà marzo. E poi ci sono i cazzi miei che, checché se ne dica, stanno sempre qua, tra queste righe, di qualsiasi cosa scriva. E ancora ci sono i cazzi di questo paese, inteso come Italia, anche se, in tutta onestà, ormai mi appassionano come una messa in latino o una puntata di Centovetrine. Dai, ce la posso fare. Ricominciamooooo…