mercoledì 31 dicembre 2014

anch’io voglio il black album dei beatles


Leggo classifiche in ogni dove e allora dico pur’io la mia, anche se detesto fare classifiche: i due migliori film del 2014, ragazzi, non li avete ancora visti. Di Kreuzweg vi ho parlato qui e credo che adesso si trovi anche su internet, l’altro è The disappearance of Eleanor Rigby, di cui vi parlerò nei prossimi giorni. Detto ciò, un altro dei miei film del 2014 (insieme a, in ordine rigorosamente sparso, Her, The wolf of Wall Street, Nymphomaniac, Maps to the stars, Belluscone, Melbourne, 20,000 days on Earth e Calvary che pare uscirà il prossimo 14 maggio!), è Boyhood. Che ero curioso di vedere dallo scorso febbraio, quando me l’ero perso a Berlino dove ha vinto l’Orso d’Oro alla regia. E che un po’ temevo, perché amo i film di Richard Linklater e avevo paura mi deludesse, sebbene l’idea mi piacesse moltissimo: un film girato nell’arco di 12 anni per raccontare, con gli stessi attori, la crescita di un ragazzino (uno sbalorditivo Ellar Coltrane) dai 6 ai 18 anni. Ora, onestamente, quando le luci si sono spente e sono partite le note di Yellow dei Coldplay mi sono detto «Occazzo». Non ho nulla contro i Coldplay, né contro la canzone, ma quanto è ruffiana come scelta? Ecco, a trovargli un difetto, il film ha un po’ troppa musica bella ma piaciona, roba che (lo so, mi ripeto) per scelte meno scontate avreste fatto il culo persino a Sorrentino. E poi ci sono un po’ troppe strade. E troppe strade percorse con troppa musica piaciona intorno. Forse c’è un po’ troppa idea d’America, così, in generale. Tuttavia ci si emoziona, e pure tanto, signora mia: merito di una direzione degli attori minuziosa, di dialoghi deliziosi interpretati in modo eccellente da attori più che credibili (Ethan Hawke, Patricia Arquette e la figlia del regista Lorelei, giusto per citare i principali). Romanzo di formazione, ma non solo: è un film che parla a tutti noi, ciascuno può trovarci un pezzo che lo riguarda, o che lo ha riguardato. Volete un film “natalizio” che non sia stupido o melenso? Ecco, recuperate Boyhood.

martedì 30 dicembre 2014

la donna che visse un tot di volte


Ok, spoiler. Ma fino a un certo punto, dai! Io, fino al primo giro di valzer, c’ero arrivato. Poi, dopo, mi aspettavo qualche guizzo in più. In ogni caso Gone girl (L’amore bugiardo sarà mica un titolo?) è un gran bel thriller, che ci parla di tante cose e lo fa in modo notevole. Non ci si strappa i capelli, ci sono un tot di incongruenze, David Fincher deve tantissimo a Hitchcock e alle interpretazioni dei protagonisti (non solo Aflleck e Pike, pensiamo ai genitori di lei), però il film funziona e funziona bene. Di Ben Affleck s’è detto un po’ male, ma a torto: è così che deve essere per il film, su! Esattamente come a lei (un’eccellente Rosamund Pike) è richiesto di essere la strafica (cit.) secondo certi canoni, anche lui dev’essere il bisteccone con il sorriso finto (nella storia, non in assoluto… mi sono spiegato? no? vabbuò, ci troviamo davanti a una birra?). Ah, poi dice che uno ce l’ha con il doppiaggio ma, minchia!, a un certo punto a Francesca Fiorentini scappa un “fedigrafo” che non si può proprio sentire.

lunedì 29 dicembre 2014

in campagna ed in città


Tanti auguri di buon Natale. In ritardo. In effetti, il mio è poi stato un buon Natale. Se non altro sereno, persino quando in famiglia si è parlato di qualcosa di molto poco natalizio, per la prima volta ufficialmente. E il tutto senza incidenti, o meglio senza che la persona più vulnerabile potesse soffrirne. Ho assistito anche a una telefonata inaspettata. E un po’ (indovina!) mi sono commosso. Qualche giorno prima avevo chiacchierato del più e del meno con unfattosemprevéro seppure diverso e, sebbene fossi un po’ preoccupato del risultato, mi pare che sia andata bene. Uh, sempre poco prima delle feste mi sono pure alcolizzato con la simpatica accolita degli shiatsuisti. Ovviamente, in questi giorni ho visto pure un tot di film di cui vi parlerò. E sono andato anche alla mostra di De Chirico a Monza: piccola, magari leggermente pretestuosa, ma sicuramente ben costruita. Ah, ha finto di nevicare per tre o quattro ore, perché dicono che sennò non è Natale. Io ne avrei fatto a meno. Beh, buon anno. Davvero. A tutti voi.

giovedì 18 dicembre 2014

il mio premio alla sceneggiatura tff32 (sono pazzi questi vampiri)


Lo so, adesso la sparo grossa, ma è più o meno dai tempi di Zelig di Woody Allen che non mi rendevo conto di quanto potenzialmente fico fosse il mockumentary. E What we do in the shadows, scritto, diretto e interpretato dai neozelandesi Taika Waititi e Jemaine Clement, è effettivamente fico, oltreché veramente molto molto divertente. E qui la sceneggiatura è tutto, il premio - quello ufficiale al Torino Film Festival - è sacrosanto. Si sghignazza senza vergognarsi davanti a questa versione cazzara dei vampiri di Jim Jarmusch, un po’ Addams un po’ Friends al maschile, che, sticazzi e giù il cappello, ha ottenuto un meritato 93% da Rotten Tomatoes. Un’ora e mezza deliziooosa, come direbbe la poison. Lo vedremo mai nei cinema italiani? Va beh, questa fa ridere, ma mica tanto.

mercoledì 17 dicembre 2014

il mio premio tff32 (ovvero poliziotto bbono e poliziotto cattivo)


Oh, adesso cominciamo a fare sul serio: cosa mi è piaciuto di più del Torino Film Festival tra quelli visti in concorso. Insomma il mio vincitore, Wir waren könige, opera seconda di Philipp Leinemann, parla tedesco, guarda alla Francia e aspira agli Usa. Avete presente i polar? Ecco, immaginatene uno ambientato in Germania. Polizia corrotta, tanto corrotta, pure troppo. Gang locali fatti di pezzi di merda e poveracci, bravi ragazzi tirati dentro e un bambino merdoso cui (quasi come in The babadook) non succede niente di male. Non un attimo di noia, tanta azione, tanta rabbia, un finale notevole. Ah, per chi apprezza c’è un certo numero di manzi e, a un certo punto, come in certi film orientali, non sai più chi è chi.

martedì 16 dicembre 2014

’a voi ’a ricetta?


Prendete una commedia americana sofisticata anni Quaranta, non importa quanto verosimile, purché finisca con il trionfo dell’ammmore. Trasponetela in una Francia tanto ricca e un po’ polverosa. Riempitela di parole, anche esagerando. Invadetela di sole o di pioggia, quindi coloratela con sapienza cromatica. Ponetevi delicatamente un’esile piacevole attrice dall’occhio vagamente bovino (tipo Emma Stone) e fatela invaghire di un attore che solitamente trita le gonadi ma che, opportunamente marinato, diventa una specie di Cary Grant dall’aria furfante al punto giusto (tipo Colin Firth). Adesso lardellate accuratamente con battute geniali tipo «Non c’è niente di genuino, dal tavolo a tre gambe al Vaticano» o «L’unico essere con i superpoteri che conosco ha la falce in mano» (non importa che in sala ridiate solo voi, tanto lo sapete che siete troppo intelligenti). Fate cuocere a fiamma viva per metà, poi fate purpitiare fino a che si cuocia il tutto, spettatori compresi. Avrete così ottenuto Magic in the moonlight. Si abbina bene al whisky. Consigliato come antipasto, prima della visione di Zelig o de La rosa purpurea del Cairo.

P.S.: starò invecchiando, starò diventando un’anima candida, ma io il colpo di scena, nel nuovo film di Woody Allen, non lo avevo proprio immaginato.

lunedì 15 dicembre 2014

ansia


Ashgar Farhadi è diventato l’alfiere del cinema iraniano che racconta la piccola borghesia, ed era abbastanza prevedibile che ispirasse degli epigoni. Nima Javidi è uno di questi, e il suo Melbourne lo testimonia. La storia di questa coppia in partenza per una nuova vita in Australia (lui è Peyman Moaadi, già protagonista del capolavoro di Farhadi Una separazione), i cui piani sono stravolti dalla morte improvvisa di una neonata che dovevano ospitare solo per poche ore, ha un meccanismo quasi perfetto. Girato tutto in appartamento, più o meno in tempo reale, con l’invadente presenza di telefoni, cellulari, skype, citofoni, campanelli, macchine fotografiche, computer, per non parlare di vicini, parenti e conoscenti che si avvicendano continuamente quasi a impedire che i due possano pensare a come venirne fuori senza incartarsi ancora di più tra bugie e sotterfugi, il film vive di un’angoscia che non concede tregua. Peccato che il finale non sia all’altezza e sembri quasi un po’ tirato via.

giovedì 11 dicembre 2014

premio escluso il cane


Dopo aver visto il film, ti rendi conto che Animal rescue sarebbe stato un buon titolo. E invece sarà The drop, in Italia Chi è senza colpa, uscita prevista metà marzo con la Fox, visto in anteprima al Tff. Tratto da un racconto che, diventato sceneggiatura, si è poi trasformato in un romanzo (vi siete persi? ma no, è facile), è farina del sacco di Dennis Lehane, già autore dei romanzi da cui sono stati tratte tre robine così che si chiamano Mystic River, Gone baby gone e Shutter Island. Vi ho titillato abbastanza? Macché, c’è dell’altro, anzi due: Tom Hardy sempre bravissimo ma che quasi non si riconosce e James Gandolfini al suo ultimo film (questa l’avete già sentita, lo so, ma stavolta pare sia vero). Ah, e poi Noomi Rapace, sempre un po’ coatta che deve avercelo per contratto. Trattasi di un noir un po’ classico un po’ psicopatico, con in mezzo un pitbull salvato dalla spazzatura, la mafia cecena, un ex fidanzato manesco, tre o quattro colpi di scena ben riusciti e gli ultimi due minuti che è meglio uscire prima. Mi è piaciuto? Parecchio.

mercoledì 10 dicembre 2014

mamy blue


Dice «la vita continua». Sì, certo, qual è il prossimo ombrello alla Altan? No, perché se proprio mi devono inculare preferirei scegliere il cazzo. Non si può? Ok, torno a sparare minchiate cinematografiche. Anzi, fermo per un giorno l’analisi del Tff e mi butto su Mommy. Inteso come film di Xavier Dolan, giovanissimo canadese autore già di film acclamatissimi che, ve lo dico subito, non ho ancora visto. Ma tanto lo sapete, sono curioso come una scimmia. Beh, che dire di questo? Intanto chapeau, io a 25 anni componevo poesie tremende, guardavo il soffitto e scrivevo per giornali che non mi pagavano. Lui ha già fatto cinque film, vinto un tot di premi importanti ed è, effettivamente, molto bravo. Soprattutto per come sa mescolare le carte e i linguaggi, un po’ Dardenne un po’ Larry Clark. Primo: sceglie attori straordinari (difficile dire chi è il migliore fra Antoine-Olivier Pilon, Anne Dorval e Suzanne Clément). Secondo: fa cadere come se niente fosse piccole cose di pessimo gusto per le quali lapideremmo persino Salvatores (la colonna sonora piaciona, tutto quello skateboard, la scena che si stringe e si allarga) e poi saccagna il pubblico a dovere (voce del verbo saccagnare… vabbè ma allora documentatevi!) con scene di una potenza che fa male (il primo litigio con la madre, la tensione erotica con la vicina, il prefinale che non sto a dirvi). Si esce abbastanza con le ossa rotte. Premio a Cannes strameritato.

lunedì 8 dicembre 2014

coronavirus


È stato bello averti insieme a me in questi tre mesi. Sei arrivata un po’ voluta un po’ per caso, ma quando ti ho vista sapevo già che saresti stata con me. E che, matta e vitale com’eri, sarebbero stati sorci verdi ma saremmo stati bene. Fino a ieri sera. Ti ho vista, nella gabbia di quel pronto soccorso, e ho capito che era l’ultima volta, sebbene fossero passate solo 24 ore. A coronamento di un autentico anno di merda, una sigla così ridicola per una malattia così fulminea e letale: peritonite infettiva felina. Addio piccola gatta.

giovedì 4 dicembre 2014

premio giiiiiooooonnnnuuuuueeeeeeiiiiiiin


Esce oggi, così mi dicono, quindi posso non parlarvi di The rover, presentato al Tff nella sezione Festa mobile? Ne avevo sentito cose non molto belle, ma per fortuna sono curioso. Per fortuna perché il film secondo me merita. Ha un solo difetto: è lento, tanto lento. Quindi se non ce la fate a tenere un finale che dura una ventina di minuti, lasciate perdere. Qualcuno ha detto che ricorda Mad Max: ragazzi, è la dimostrazione che la droga fa male! Io dico che si tratta in tutto e per tutto di un western classico e un po’ pulp, dove al posto dei cavalli e delle diligenze ci sono auto e furgoncini. E il fatto che sia ambientato in un futuro prossimo (?) è decisamente poco importante. Diretto dall’australiano David Michôd, già regista del notevole Animal kingdom, si fonda sulle ottime interpretazioni di Guy Pearce e (smettetela di storcere il naso che poi Gesù vi punisce) Robert Pattinson, nei panni inediti di un bandito ferito e un po’ ritardato che il resto della banda ha “dimenticato” dopo una sparatoria. A Pearce rubano la macchina nei primi, eccezionali minuti (ah, se il film avesse mantenuto quel ritmo lì!) e lui s’incazza. Perché quell’auto sia tanto importante lo scopriamo solo nell’ultima scena ma, per quanto durante la visione ci abbia pensato anch’io, dimenticate Cani arrabbiati, non c’entra nulla. Evitate l’ultimo spettacolo, ma correte a vederlo.

mercoledì 3 dicembre 2014

premio cos’hai trovato in lui di tanto bello


Ragazzi, avete sulla coscienza due ore della mia vita. Perché dopo aver saputo che è piaciuto a William Friedkin e dopo averne tanto letto in giro, uno dei primi film del Tff che ho pianificato di vedere (peraltro in concorso, esticazzi!) è stato The babadook della regista Jennifer Kent. Horror australiano che qualcuno, credo un genio (voglio conoscerlo e stringergli la mano), ha definito un incrocio fra Shining e Mamma, ho perso l’aereo. Che dire? Il film parte bene, benissimo. E mi sono messo nei panni dei genitori di bambini dell’età del protagonista che sicuramente saranno tornati a casa con l’angoscia. Ma man mano che la storia proseguiva mi sono sentito come uno che va al ristorante, gli mostrano astice, ostriche e tartufo, ordina il piatto speciale e gli rifilano una pizza margherita. Tutta la carne al fuoco messa durante la prima ora e rotti di film, tutte le congetture, le esche piazzate qua e là, il marito morto, lei che un tempo scriveva favole… si risolvono in una discreta, risibile stronzata che, a mio parere, non si capisce dove voglia andare a parare. Il libro al centro della storia è bello, sì. L'insopportabile bambino che urla per tre quarti della pellicola (più per attirare l'attenzione della povera madre che per paura) e a cui (spoiler) non succederà purtroppo nulla di male, è interpretato da un bravissimo Noah Wiseman.


P.S.: è il 3 dicembre e sono ancora vivo. Magari un po' di jet lag psicologico, qualsiasi cosa significhi, ma sono ancora vivo.

martedì 2 dicembre 2014

premio frances ha


Ok, allora si comincia con i "miei" premi del Tff32. Qui sono addirittura in compagnia del pubblico (vabbuò) ma anche, soprattutto, di uno spropositato premio speciale della giuria: Van valami furcsa és megmagyarázhatatlan (titolo internazionale For some inexplicable reason). Gábor Reisz è un giovane regista ungherese che dirige un altro giovane regista ungherese, Áron Ferenczik, in un film tantocarucciosignoramia. Pure troppo. Indulgentissimo con un protagonista bamboccione che rimanda a ogni santo lunedì il suo proposito di scrivere un romanzo, che non vuole lavorare tanto ci sono i genitori e, soprattutto, che appena è felice in amore scappa. Certo si ride. Il film è ben girato nonostante il budget risicato, molte battute sono azzeccate e la sequenza iniziale è onestamente notevole, oltre che molto divertente. Ma non sarà un po’ pochetto? Paraculissima gioia per i ventenni a vita.

lunedì 1 dicembre 2014

lettera aperta a un festival potenzialmente fichissimo


Caro Tff32,

grazie anche per quest’anno. Non sei stato memorabile, ma mi hai fatto vedere un sacco di cose che dubito avranno una distribuzione. E hai reso più bella una città che già lo è, e pure tanto. Però. Hai ridotto le sale da 10 a 8 e questa, al di là dei problemi economici, è stata obiettivamente una minchiata, credo te ne sia reso conto. Il pubblico… il pubblico compulsivamente masturbatorio di smartphone è da sterminare. Insomma, la mia imprecazione preferita quest’anno (almeno quella che si può riferire senza offendere nessuna religione o gruppo politico) è stata «Ti scoppiasse il cellulare in mano». Forse un controllo più cattivo, al di là del rischio pirateria (io ancora non mi capacito che qualcuno guardi in streaming cacate registrate col telefonino), si potrebbe fare. Vogliamo parlare di uno dei miei film preferiti (The disappearance of Eleanor Rigby)? E di come non abbia potuto vederne la seconda parte perché è stato deciso di fare due ingressi separati e due sole proiezioni? Devo cercarmelo in streaming formato vomito? Mi sa. Ah, a proposito del pubblico: il popolo (e anche la giuria) ha apprezzato il film più paraculo e divertente del festival. Il premio quello ufficiale è andato a una roba seria. Bella. Non memorabile, ma bella. Ma di questo e altro parlerò nei prossimi giorni, con una serie di premi che mi sono inventato per l’occasione. Ora torniamo ai problemi. Quattro macchinette per i biglietti blu sono poche, specie se sono attive solo dalle nove del mattino. E, il primo giorno, che non ci sia una cassa dedicata soltanto a chi deve fare o ritirare gli abbonamenti è un’assurdità. Infine le sinossi. Lo so, è difficile raccontare un film in poche righe. Ma eviterei con tutto il cuore (o almeno doserei con cura) parole come poetico, surreale, lisergico, Malick, visionario, natura: sono specchietti per allodole segaiole da cineclub, tutti gli altri scappano. E forse fanno bene, chissà. Tuttavia, che si sappia, ti voglio tanto bene. Il prossimo anno mi avrai di nuovo, è sicuro. I tempi sono cupi ma, per il 2015, vai e torna vincitore.

Tuo Dantès

giovedì 20 novembre 2014

la valigia sul letto, quella di un lungometraggio


Mentre preparo spazzolino, un numero imprecisato di numeri arretrati di Internazionale e un tot di calzini, mentre cerco inutilmente un ombrello piccolo piccolo (è prevista pioggia da mercoledì, esticazzi) e tolgo distrazioni a gatta (cinque mesi, l’età dei disastri), vi comunico che da domani sono al Torino Film Festival. Che quest’anno mi si scontra con il secondo livello del corso di shiatsu (ops, non vi ho detto che mi sono imbarcato in questa fantastica avventura? ne riparleremo). Ma noi uomini veri riusciamo a farci stare tutto, signora mia. Ché se tutto va bene vedo 26 film e tre corti. Tanto il lunedì dopo faccio un viaggio (?) di lavoro 48 ore a Trento. Arriverò al 3 dicembre che sarò morto. Nel caso ve lo comunicherò, così come vi parlerò dei capolavori e delle sòle del Tff grazie a un fantastico portatile. In programma ho Sion Sono, i cui pazzi film ho conosciuto proprio grazie al Tff, e Michel Houellebecq nel narcisistico ruolo di se stesso in un film che mi ero perso a Berlino. Tommy Lee Jones crepuscolarmente western (e te pareva) e Abramo Lincoln con i calzoni corti. Vampiri più cazzoni di quelli di Jarmusch e un’interminabile Bruno Dumont. Eleanor Rigby senza i Beatles e qualche sussulto erotico belga e inglese. Quelli di Boris e il Babadook che pare faccia tanta paura. Un documentario dell’ottima regista di Winter’s bone, Robert Pattinson stile Mad Max e l’ennesimo, ultimo Gandolfini. Voi però, se passate da queste parti, oltre a farmi un saluto godetevi senza indugio anche Nick Cave.

mercoledì 19 novembre 2014

studio aperto


Prima del post di poison non avevo idea di cosa fosse Lo sciacallo: quindi, se state leggendo questa recensione, sappiatelo, è colpa sua. Comunque, guardando il manifesto avevo capito due cose. Primo, non era un film dedicato a Nightcrawler degli X-Men, che di per sé è un po’ un peccato, perché l’ho sempre trovato un personaggio particolare, adorabile e piuttosto poco considerato. Secondo, ha ragione Makkox: ormai, se non dimagrisci o ingrassi per un film, a Hollywood non ti si fila nessuno. E Jake Gyllenhal (bravo) ha perso dieci chili per fare il protagonista. E fa un disoccupato, ladro, nerd, che parla come un libro stampato, s’improvvisa telereporter ed è psicopatico. E pensa te, nel mucchio è quasi il meno peggio. Ha solo capito cosa piace alla ggente: la ggente vogliono il sangue, specie a colazione. Tra due uova al bacon e un caffè lungo, molto lungo, pure troppo, vuoi che il ministro della paura… ehm, la tv non ti mostri un po’ di morti ammazzati, ovviamente bravi cristiani bianchi e benestanti, ovviamente uccisi barbaramente da pezzi di merda di un qualche colore? Lo sa bene quella milfona di Rene Russo che, ad ogni ripresa sanguinolenta per la sua tv, sgancia una bella cifra allo psicopatico. Insomma, lo so, è difficile da immaginare in Italia… Non la macelleria al tg, ovviamente, il difficile è che sgancino cifre così alte! Comunque il film ti prende. Ti fa incazzare. Ti tiene incollato. Ma ti aspetti sempre che da un momento all’altro prenda il volo, imbocchi una tangente imprevista, sorprenda. E invece scorre, va, felice verso uno psicopatico e ovvio happy end per il cattivissimo lui, in barba a una poliziotta simil LaGuerta di Dexter.

martedì 18 novembre 2014

niccolò chi?


Insomma, mentre il film andava pensavo anche a questo. Cioè tu muori, ti scoprono, ti riscoprono, capiscono che non sei la piaga che ci hanno propinato a scuola, e un Tommaseo qualsiasi che ti perculava, che era colto sì, ma noioso come un feretro e attaccato alle tonache dei preti come un rosario, ormai viene buono giusto per nominare qualche vecchio liceo. Il giovane favoloso, seconda opera storica di Mario Martone, ha gli stessi pregi e difetti di Noi credevamo: lungo, troppo. A tratti didascalico e a volte, come il Pasolini di Ferrara, destinato invece a chi le cose le sa e in culo a tutti gli altri. E i cameo, troppi, un po’ ingiustificati: mancano Cecchi, Timi e Servillo, e poi c’è tutto il meglio del teatro italiano che dice anche solo una battuta. Eppure restano momenti memorabili. E un Elio Germano perfetto Giacomo Leopardi, molto più misurato rispetto allo starnazzante Pinocchio del trailer.

lunedì 17 novembre 2014

mi ricordo che in futuro sarò pieno di ricordi


Quando mi sono commosso allo sguardo di Matthew McConaughey nella scena in cui Michael Caine dice «Noi siamo la Nasa», ho avuto la sensazione che avrei pianto come un vitello per altre due ore e passa. Che, insomma, se fai un lavoro che non ti piace e ti dicono che, beh, potresti tornare a fare quello che ti piace, magari ti emozioni. Un po’ come se mi dicessero «Sai, puoi andare in pensione domani guadagnando più di adesso». Beh, comunque a me Interstellar è piaciuto. Non penso sia il capolavoro di cui ciancia qualcuno, né la merda di cui borbotta qualcun altro. È la dimostrazione che Christopher Nolan, cavaliere oscuro a parte (dai, picchiatemi!), è un ottimo narratore e ha dei ritmi che il film potrebbe durare quattro ore e tu gnanca un plissé. Anzi, per due terzi si tratta di un ottimo film, che mette quintali di carne al fuoco come al barbecue di ferragosto, pone problematiche serie ma ti balocca come un blockbuster. Poi piscia un po’ fuori dal vaso, rimbalza qua e là proprio come McConaughey (spoiler?), e fai fatica. Ma risorge sul finalone che, per quanto tirato per i capelli, resta un finalone. Posso dire altro senza sputtanare la trama? No, ovviamente. Andate, divertitevi e fatevi poche seghe mentali.

P.S.: sì, lo so, sono tornato. Ringrazio i ragazzi che mi hanno scritto un po’ preoccupati. A qualcuno ho risposto, ad altri no e un po’ mi dispiace. Ma è stato un periodo complicato. Sarò al Torino Film Festival e, se recupero un portatile, vi illuminerò sulle ultimissime. E mò basta, sennò il p.s. diventa più lungo del post.

martedì 9 settembre 2014

notte horror: l’aldilà


E insomma spiace, cari zombetti miei. Spiace che siamo all’ultimo appuntamento con Notte Horror (ma la rifacciamo il prossimo anno, sì?), proprio ora che l’estate stava iniziando (sarà un caso che qui è tutto un lampi, tuoni e allagamenti?). E spiace che a chiudere sia ... E tu vivrai nel terrore! L'aldilà (1981). Ve lo dico subito? Mi levo il pensiero? È una roba brutta. Piacerà a Sam Raimi, Quentin Tarantino e compagnia cantante ma… secondo me è una boiata. No, attenzione, non che sia brutta la storia: non sarà il massimo dell’originalità (l’albergo abbandonato, i fantasmi, gli zombie), addirittura leggo che si ispira, come The others, a Il giro di vite di Henry James (anche se non si capisce bene dove), alcune buone idee ci sono (la prima apparizione della ragazza col cane, il finale) ma è l’insieme che non funziona. Buchi nella sceneggiatura che ci passiamo in due, musiche ed effettacci scontati, attori esagerati ed esagitati (tranne il fin troppo compassato Michele Mirabella, non ancora formidabile alla radio con Toni Garrani, e tantomeno non ancora assopente con Elisir). Secondo me, l’avesse girato Dario Argento oggi, l’avreste lapidato. Certo, tanto splatter, per chi apprezza (io non apprezzo, ma giuro, sono super partes). Insomma preferisco il Fulci di Nando Moriconi, delle commedie con Buzzanca o Franco e Ciccio, del thriller geniale stile Non si sevizia un paperino, dell’erotico, malato e sottovalutato Il miele del diavolo.


E ora, volendo fare cosa buona e giusta, spero vogliate apprezzare, cari zombetti miei, il riassunto delle puntate precedenti. Buona lettura e, mi raccomando, fate tanti begli incubi!

Vamp 
Saw 
Una lucertola con la pelle di donna

venerdì 5 settembre 2014

niko ah


Il film su uno che cerca disperatamente di prendere un caffè: cos’è, la mia biografia? Così pensavo mentre evitavo a più riprese la visione di Oh boy. Poi ieri mi sono detto: ok, lo vedo. E insomma, l’inizio del primo lungometraggio di Jan Ole Gerster sarebbe perfetto... se al mondo non fosse esistito François Truffaut e se Woody Allen non avesse già dato di jazz e bianco e nero in film memorabili. Oh boy ha gli stessi modelli di Frances Ha, gli stessi difetti, gli stessi punti di contatto. Con l’aggravante che non si capisce bene dove vada a parare. E se tante cose sono riuscite (tutta la storia dell’attrice ex compagna di scuola, la parte finale – molto intensa - con il vecchio alcolizzato), altre sono poco più che abbozzate. E Tom Schilling, con quell’aria da Antoine Doinel dei ricchi, fa abbastanza incazzare.

giovedì 4 settembre 2014

la donna che visse nel futuro (dicono)


Omminchia: è questa la forza di Sound of my voice, opera prima del francoiraniano naturalizzato americano Zal Batmanglij. Perché, se anche a due terzi del film capisci dove va a parare (oh, io almeno l’ho capito), il finale ti spiazza comunque. Viaggio nel mondo delle sette, ben girato, asciutto (un’ora e mezza con un ritmo lento ma perfetto), questa strana opera di fantascienza (?), protagonista l'enigmatica Brit Marling, ti prende fino in fondo. Certo lo strambo saluto, finché non si capisce da dove arriva, fa ridere. Certo ci sono un tot di stereotipi, tipo la ragazzina narcolettica e più o meno autistica (ma quanto è brava Avery Pohl?) e la bellona (ma che naso ha Nicole Vicius?) che, dopo un passato da problematica strafatta, sta con il nerd (Christopher Denham) che sogna lo scoop della vita per riscattare una vita di solitudine e anonimato. Ma omminchia se si fa piacere.

martedì 2 settembre 2014

scrivi ragazzo scrivi


Come ho già detto, complice il viaggio a Cipro Nord, non ce l’ho proprio fatta a partecipare al Robin Williams day. È il momento di recuperare, e quindi parlo de Il mondo secondo Garp (1982), tratto dal romanzo di John Irving (di cui mi dicono un gran bene soprattutto per Preghiera per un amico, ma di cui non ho mai letto nulla) e diretto da George Roy Hill, anomalo regista che ha vissuto un grande inizio anni Settanta con Butch Cassidy e La stangata, ma che prima e dopo non ha mai trovato bene la quadra (andrebbe studiato un po’ meglio?). Il film in questione, che in Italia ebbe un’uscita ritardata e disgraziata solo grazie al successo di Glenn Close ne Il grande freddo, racconta di una possessiva infermiera e del suo figlio voluto in autarchia (Williams, per l’appunto) attraverso un bell’arco temporale. Lui decide di diventare scrittore quando si innamora, ma la madre lo smollerà solo quando risucirà a scavalcarlo a destra in campo letterario. Nel mezzo, crisi di coppie, femminismo esasperato, gente che spara un po’ ovunque e sempre, il passaggio dagli anni Settanta a Ottanta raccontati come una cavalcata al trotto, commedia e dramma che non sempre trovano il giusto equilibrio, un grande John Lithgow nella parte del travestito Roberta e un dolcissimo, quasi straziante, brevissimo cameo di Amanda Plummer. Prima parte deliziosa. A pensarci, è una delle più pacate interpretazioni del povero Robin Williams: niente faccette o esibizioni, solo Garp. Cazzo se ci mancherà, quell’uomo lì.

lunedì 1 settembre 2014

è stato via


Cioè io, sono stato via. Cipro Nord, anzi Repubblica turca di Cipro del Nord, come recita la noia della politica. Vacanza di otto giorni. Non ce l’ho fatta a partecipare al day di Robin Williams, ma domani recupero, è già pronto, pardon. Che dire? Mare meraviglioso, spiagge belle ma trascurate, tra le quali una, spettacolare, Kaplica, che è sabbia ma anche e soprattutto una roba di scogli piatti e ondulati, paesaggi paralunari che se non la vedi non ci credi. Compagnia della ms e di mr Cì. Compagnia di giro, sì, ma anche un po’ difficile, che ti credi? Quasi come le responsabilità, i passati non ancora passati, a volte prossimi, a volte remoti, o quasi come la guida a sinistra (occhio allo specchietto!). Cibo meno vario che a sud e non così buonerrimo, ma ussignur quel posto a Mehmetçik che a vederlo da fuori, così pacchiano e solitario non gli avresti dato mezza lira (turca) e invece abbiamo mangiato da dio. Posto segnalato dall’ometto grasso in motoretta, presumibilmente spinto dal resto del paese (o almeno così ci piace pensare) a darci una mano mentre giravamo intorno in cerca della zivania. Sì, così dice la guida Lonely (che sarà sempre più lonely, se continua così) Planet: Mehmetçik paese della zivania. Una grappa spietata come il sole d’agosto: però se è fredda è una dolce morte, giuro. E noi l’abbiamo trovata a casa di uno che ci ha pure rimpinzato di canditi o giù di lì (sapete che io di dolci ne capisco come di astrofisica?). E poi? Burhan e il suo piccolo albergo-regno, gran fico e gran simpatico, cene a lume di candela, camerieri con quella faccia (e quelle capacità) un po’ così: chissà se hanno mai visto Genova. Tartarughe viste attraverso gli occhi e la mimica della ms che mi sembrava di essere lì, in mezzo al mar (senza camin che fumano). Donne con le cofane e gli occhi bistrati, bellissime. Ma anche donne coperte da capo a piè ammollo all’acqua: meglio musulmane costrette dall’integralismo o certi coglioni con la maglietta a guidare spetazzanti moto d’acqua? Chissà. Sicuramente meglio gli asini, tanti, ma quelli veri, che ragliano, mangiano carrube e tentano di scoparsi in mezzo alla strada, cazzo vuoi, noi eravamo qui molto prima delle macchine e della tua elemosina di pane o frutta, tsk! E poi Lois, che io pensavo fosse una donna, come quella di Superman, e invece era un poliziotto. Ma la vera superwoman era sua madre, santa donna meravigliosa, con le sue colazioni spettacolari a Büyükkonuk, un posto dimenticato dal mondo ma non dagli uomini (uh, che roba antropologicamente triste era il bar “degli uomini”) e sicuramente non da un dio, sempre ammesso che esista (sono sempre meno agnostico, sapevatelo). Cos’altro? Evitare Bafra e la sua musica del cazzo, sorta di Rimini con i templi greci finti e i colori di una stazione di servizio: un incubo. Famagosta è bella, Girne è carina, Nicosia è meglio al di là del muro. Raki come se piovesse, apre la fame meglio della maria. Tzatziki finto (senz’aglio), polpette meravigliose, agnello da sentir bestemmiare un vegetariano. Patate fritte basta, almeno per un anno. E sentire mr Cì che parla delle sue (dis)avventure di mare tra un sigaro e una zivania non ha prezzo.

mercoledì 27 agosto 2014

il bambino e il poliziotto


Dov’è che ho letto di questo film? Perdonatemi, non me ne ricordo. In ogni caso, qualcuno di voi mi ha ispirato e così ho cercato Ang pagdadalaga ni Maximo Oliveros, film del filippino Auraeus Solito, uscito nel 2005 e ovviamente inedito in Italia. E l’ho trovato, con difettati sottotitoli in spagnolo della serie “compro una vocale”: al posto di ogni vocale accentata (e chi mastica un po’ di spagnolo sa quanto la cosa sia ricorrente), un bel trattino lungo. Più che sottotitoli, alfabeto morse. Potevo scoraggiarmi? Sì, se il film fosse stato noioso. E invece. La storia è quella di un dodicenne (il bravissimo Nathan Lopez) che vive nella più totale spensieratezza il suo essere spiccatamente effeminato, complice la benevolenza del vicinato e una famiglia tutta maschile che gli vuole davvero bene e a cui, tutto sommato, fa comodo qualcuno che cucini, stiri, pulisca ecc. Ah, la famiglia in questione conta un padre e due fratelli ladri e ricettatori in una Manila piuttosto degradata. Tutto fila liscio finché una sera il ragazzino non rischia di essere violentato e viene salvato da un poliziotto. Amore a prima vista, non ricambiato dall’agente, ma quanto basta per turbare tutti, compreso uno dei fratelli che nel frattempo si ritrova un omicidio sulla coscienza. Senza l’ombra di morbosità, e con almeno un paio di sequenze davvero notevoli, il blossoming (eh, come lo traduci? lo “sbocciare”?) di Maximo Oliveros scorre bene fra dramma e commedia, salvo un finale un po’ troppo buonista.

venerdì 22 agosto 2014

francesca s’è svegliata


Mentre guardavo I dolci inganni mi chiedevo inevitabilmente: se uscisse oggi, avrebbe meno problemi? No. Certo, con internet si farebbe in fretta a vederlo piratato, ma l’asfittico moralismo democristiano del 1960 cinquantaquattr’anni dopo è sempre lì in agguato: non cercatelo solo in politica, leggetelo nei post sui social, pensate cosa scriverebbero su un qualsiasi giornale. Beh, comunque, il film di Alberto Lattuada (che all’epoca fu sequestrato, uscì tre anni dopo e non incassò una lira) ha i quattro minuti iniziali più erotici del cinema italiano e un primo piano finale battuto solo da De Niro in C’era una volta in America. Vi ho incuriosito abbastanza? No? Ok, proseguo. La storia è quella, nell’arco di una giornata, della ricca sedicenne Francesca (Catherine Spaak, in realtà appena quindicenne e di una bravura incredibile) che, dopo averlo sognato, capisce di desiderare un amico di famiglia che ha vent’anni di più; in serata riuscirà a scoparselo, ma le cose non andranno propriamente come previsto. Grandi comprimari Christian Marquand coprotagonista, Jean Sorel che fa l’attore burino e mantenuto, Milly deliziosa nei panni della nobile in decadenza e Donatella Chi l’ha visto? Raffai stronza compagna di scuola. Divertente, malinconico, erotico. Cinema che non si fa più, purtroppo.

mercoledì 20 agosto 2014

e quindi?


Io con Denis Villeneuve devo avere dei problemi. Mi manca La donna che canta, e a questo punto cercherò di vederlo quanto prima. Prisoners mi era piaciuto, ma non mi aveva fatto urlare al miracolo come avevo letto qua e là: bel film, belle interpretazioni, bel colpo di scena finale. Punto. Di Enemy sapevo poco o nulla, ma da quel poco mi ero fatto delle buone aspettative e così, trovato in tempo record, l’ho piazzato in tv, l’ho guardato con la ms e… eh. Sì, insomma, no eh. Uno: Jake Gyllenhal doppio è bravo ma non basta. Due: il naso di Mélanie Laurent non basta. Tre: la scelta cromatica non è un po’ troppo semplicistica? Quattro: il finale cosa avrà voluto dire? Cinque: le musiche, da sole, non fanno atmosfera de paura, fanno fastidio. Sei: anche il film, dai e dai, da fastidio. Un Lynch dei poveri, qualcosa che non capisci mai dove va a parare. Bisognerà leggere il romanzo di Saramago da cui è tratto per capirci qualcosa? È tutto un incubo di una persona malata? È metà e metà? E da cosa si capisce? Mi ha irritato un po’ come Primer, ma Primer almeno era noioso. Enemy si fa seguire, porcazzozza. E per questo si fa odiare ancora di più.

lunedì 18 agosto 2014

il collezionista di collezionisti


E insomma, ero lì, in attesa, dal barbiere. C’era solo un vecchietto prima di me, di più non potrei sopportare. Il mio barbiere (da cui vado pochissimo, usando prevalentemente la macchinetta) ha proprio la faccia da barbiere vecchio stile. Molto vecchio stile, roba che persino il fonatissimo abbronzatissimo anni Settanta che mi accorciava i capelli da bambino era già tanto, tanto avanti. Dal fonatissimo leggevo Diabolik, qui posso scegliere, dallo stesso cassetto (uh immagino già quando arrivano mamme con i bambini!) fra Topolino e Jacula. Albi tanto vecchi che se glieli rubo tiro su qualche soldo su ebay. E così stavolta mi sono messo a leggere Jacula, la vampira. In cui al massimo si vede la protagonista nuda stile Fujiko. In un Ottocento (?) dove spesso si parla come negli anni Settanta. Bellissimo. E, soprattutto, dio ti ringrazio, nessuna traccia di Visto e Chi.

martedì 12 agosto 2014

(brutti) risvegli


Ho una confessione da fare: da bambino non perdevo una puntata di Happy days. Mi piaceva proprio. Ed era un rito. Sette e venti (orario d’altri tempi, quando la pubblicità non (ir)rompeva ovunque), prima del telegiornale. La sera in cui Richie sognò Mork me la ricordo ancora, perché mi chiesi che stronzata fosse. Non lo dissi, ché all’epoca ero un bambino educato, ma lo pensai. Poi, poco tempo dopo, più o meno alla stessa ora ma sul secondo canale (come di che? della rai…), quell’essere strano riapparve, stavolta in una serie tutta sua, Mork e Mindy. E io lo adorai praticamente da subito. Beh, insomma questo fu il modo in cui buona parte della mia generazione ha conosciuto Robin Williams. Cosa sia successo ieri non si sa ancora, e anche se si sapesse con certezza mi sembrerebbe inutile o di cattivo gusto parlarne. Però ci sono due frasi dell’uomo Williams, non una delle sue mille facce sul grande schermo, che mi sono sempre piaciute. Una, che è forse la più famosa e riguarda la sua disintossicazione dopo la morte dell’amico John Belushi, dice «La cocaina è il modo che usa Dio per dirti che stai facendo troppi soldi». L’altra, di una serenità che oggi fa l’effetto di un graffio sulla lavagna, è «La morte è il modo in cui la natura ti dice: il tuo tavolo è pronto».

giovedì 31 luglio 2014

quentin chi?


Allora, cominciamo dall’inizio: Tarantino, a dispetto di certe critiche miopi quanto Mr. Magoo, non c’entra una beata fava. Tuttalpiù c’entra Tarantini, Michele Massimo, indimenticato (?) autore di un cinema di genere che non esiste più. Esattamente come Mario Bava, che oggi avrebbe compiuto cent’anni e che la solita cricca dei blogger cinematografari omaggia oggi con una serie di recensioni. Tipo la mia. Nella fattispecie, Cani arrabbiati. Film del 1973, quasi invisibile fino al 1995 (data di uscita del dvd) e trasmesso ufficialmente in tv solo nel 2004. Dici: perché? Boh. Misteri della fede. Comunque, uno dei migliori film del Maestro, conosciuto più per i suoi horror, ma che, probabilmente, con questa pellicola si mostra molto, molto più avanti di tanti del suo periodo. Liberamente tratto da un racconto di Ellery Queen (sì, il finale a sorpresa è uguale…), Semaforo rosso (titolo dato alla messa in onda in tv che a me fa pensare a quella hit di Cicciolina che io adoro!) è la storia di tre balordi (il quarto muore subito) che, dopo una rapina, sequestrano una donna e un uomo con il figlio infermo. Comincia così un road movie piuttosto malato in cui la povertà di mezzi diventa quasi virtù. Se la sceneggiatura non sempre convince, brillano le interpretazioni che non ti aspetti: Maurice Poli nella parte dell’unico uomo “normale” (?), il gigante bello e psicopatico George Eastman (ovvero Luigi Montefiori, attore, regista, produttore e scrittore da Cannibal holocaust a Il maresciallo Rocca), ma soprattutto Don Backy, sottoutilizzato come attore quanto sottovalutato come cantante, qui perfetto nel ruolo. Riccardo Cucciolla, poi, si ritaglia una parte insolita, proprio lui con quella faccia da vittima e buon padre di famiglia, pronto a narrare, con la flemma di un figlio di Piero Angela, qualsiasi documentario dell’epoca. Violento, bastardo, imperdibile.


Ovviamente partecipano al Mario Bava Celebration Day anche questi tizi qui:

Director's cult
La fabbrica dei sogni
Non c'è paragone
Recensioni Ribelli
Scrivenny

mercoledì 30 luglio 2014

italianiiii


Eh, oh, quanno ce vò ce vò. Perché il film di cui vi parlo oggi, complice il War No More organizzato dai soliti blogger «che siamo noi» (vedi banner a sinistra), è una cosa speciale. Una piccola grande croce che mi sono appioppato da solo causa guasto al computer (come sta? bene, grazie, si è ripreso ma non si ricorda un cazzo di chi era prima). Puntavo a Giardini di pietra di Coppola, che non ho mai visto, o a Streamers di Altman, che vidi millemila anni fa quando la tv serviva a qualcosa, ma non potendo streamizzare o scaricare una fava, ho ceduto. Uh se odio parlare dei capolavori! Perché cosa dici che non abbiano già detto tutti? Va beh, però La grande guerra l’ho rivisto quasi di recente, accanto allo sguardo vergine e conquistato della ms che non lo conosceva. E cazzarola! Insomma, secondo me il film di guerra italiano più importante insieme a Roma città aperta, Tutti a casa e I due marescialli (non scherzo, ne sono convinto!), nonché vincitore ex aequo di Venezia nel 1959 con Il generale Della Rovere. Uno dei film di Monicelli più riusciti, proprio perché giocato su un azzardo assoluto: un tema serio e ancora bruciante come la guerra affidato alla presenza di due mattatori della commedia. Il Sordi provinciale, bastardo e vigliacco dei suoi film migliori, e un Gassman che, sebbene considerato ancora un attore drammatico, con I soliti ignoti, l'anno prima, aveva spiazzato tutti. E poi, finalmente, un film (sceneggiato da Age, Scarpelli e Vincenzoni, micacotiche…) che distruggeva l’idea dell’esercito italiano valoroso, implume e ancora vagamente fascista: no, si trattava di poverialloro (pugliesità, scusatemi), pieni di fango, con le scarpe di cartone, a bere la neve dove probabilmente qualcuno aveva pisciato poco prima. Umani, con le loro paure. E con le loro differenze, i loro dialetti: cazzo, era un secolo fa, Piemonte e Sicilia erano vicine come Torino e Kuala Lumpur! E poi, una commedia (?) in cui gli eroi muoiono: insomma tanta, tanta roba. E grande cast, perché oltre alla coppia perfetta, c’è Silvana Mangano prostituta senza troppi eufemismi, c’è Romolo Valli (IL teatro, almeno all’epoca), e poi Bernard Blier, l’immortale Tiberio Murgia, e il povero, allora neanche trentenne, Ferruccio Amendola. Non l’avete mai visto? E non vi vergognate?


In attesa della recensione di Full metal jacket da parte di questo simpatico omino qui, se ve le siete perse, leggete anche queste:

 "Il mestiere delle Armi" e Recensioni Ribelli con "Good Morning Vietnam" - See more at: http://cinquecentofilmisieme.blogspot.it/2014/07/war-no-more-starship-troopers.html#sthash.UtwO2a1u.dpuf

Solaris, inizia ieri 28 luglio, hanno debuttato lo stesso Solaris con  "Il mestiere delle Armi" e Recensioni Ribelli con "Good Morning Vietnam". - See more at: http://cinquecentofilmisieme.blogspot.it/2014/07/war-no-more-starship-troopers.html#sthash.UtwO2a1u.dpuf

martedì 29 luglio 2014

fratelli


Ho una passione, da qualche anno a questa parte. Abbiamo, perché anche la ms ce l’ha. Lei è rimasta folgorata dal Biografilm Festival di Bologna, io da Julien Temple al Torino Film Festival. Parlo dei documentari musicali. Così, quando quella donna specialissima mi ha detto «C’è questo film qui al The Space di Borgo Dora» io ho pensato subito «Sì» e solo dopo «Minchia, che cinema di merda!», immaginando (come poi in effetti è) un posto nel nulla dove non si mangia e non si beve decentemente né prima né, soprattutto, dopo. Il documentario in questione, a metà strada tra un’allegra terapia familiare (non scherzo sull’«allegra»), lo stile di Julien Temple e quello di Michael Moore più qualche sprazzo di probabile finzione, si chiama Mistaken for strangers, e racconta, in verità molto poco dal punto di vista musicale, molto dal punto di vista umano, del tour europeo di una band indie (?!?) americana di nome The National. Di cui ignoravo l’esistenza, ma che adesso so che mi piace. Il regista, Tom Berninger, è il fratello del frontman, anzi, di più, è la sua versione grassa, metallara e un po’ sfigata. Ovvio (?) che ne venga fuori un ritratto divertente ma complesso, a tratti emozionante, comunque intrigante. Che vi piaccia o no lo stile del gruppo (qualcuno fa paragoni con Nick Cave, ma francamente non mi pare), si tratta di un bel film, fatto davvero bene. Recuperatelo!

lunedì 28 luglio 2014

forever (neil) young


No, non sono sparito: lavoro matto e disperatissimo fino all’otto di agosto. Ma parteciperò ai blogathon come promesso. In più, non è che proprio la sera sia stato a fare i fili (espressione sicula che non credo necessiti di spiegazione…). La scorsa settimana, peraltro, è stata una settimana musicale. Al documentario sui National dedicherò un post domani, perché è molto più cinema che musica. E quindi parliamo di musica. Domanda: ma sono io che sto invecchiando o sempre più spesso ai concerti ci sono troppi telefonini e gente fuori di testa e sempre meno erba da respirare e cori più o meno stonati? Neil Young a Barolo è stata una bella esperienza uditiva (maxischermo non pervenuto per volere del cantante, vabbuò) almeno finché alle nostre spalle una specie di predicatore che diceva cose in parte sensate ma nel modo più inutile, sbronzo e sbagliato, si è scagliato contro un pubblico (effettivamente un po’) freddo. In ogni caso, io quelli che dicono che Collisioni sia male organizzata vorrei sapere il resto dell’anno che fanno. Parliamo della pioggia? Delle birrepiscio onnipresenti sponsor? Del fatto che, una volta entrati dentro al lunapark non se ne potesse uscire per mangiare o bere qualcosa di decente? Ok. Per il resto, grande manifestazione, di cui mi spiace aver visto poco. Neil Young? Quando parla, non si capisce un cazzo, Quando canta, sembra che da Harvest siano passati quattro anni, non quaranta e rotti. E le canzoni lunghissime, suonatissime, sono una gioia. Per le orecchie, solo per quelle, come dicevo prima. Venerdì poi è stata la volta dei Pet Shop Boys a Torino. Ché, se non fosse stato per la ms, probabilmente non avrei visto, perché li conosco ancora meno del cantautore canadese. Concerto iniziato tardissimo, con pioggia a intermittenza, dopo uno scrauso gruppo italiano che cantava in inglese e una tipa interessante quanto misteriosa che a me e alla ms ha ricordato Meryl Streep col nasone. Con i PSB mi sono divertito e, prima che cominciassero con le canzoni che conoscevo, a un certo punto ero quasi in trance, come in una discoteca all’aperto di un tot di anni fa. Loro sono sempre gli stessi, solo un tot di capelli in meno. Le ballerine, fantastiche, sembravano uscite da una coreografia di Valerio Lazarov: un tuffo nel passato ancora più della musica. Ma voi lo sapevate che I’m not scared (portata al successo da Patsy spallinacadente Kensit) l’hanno scritta loro? La musica della settimana non finisce qui, ma necessita ancora di un post a parte…

venerdì 11 luglio 2014

non so come finisce moby dick


No, non io. L’ho letto tutto il romanzo di Melville, nella traduzione di Cesare Pavese, vent’anni fa, e ne fui conquistato. La citazione è da un signor film, divertente come sanno gli irlandesi, drammaticissimo come sanno gli irlandesi, disturbante, che fa male, bellissimo. Uno di quelli che, per colpa della maledetta sinossi (tre righe per raccontare o per far passare la voglia di vedere qualcosa) ho saltato nella sezione Panorama di Berlino (sempre la più interessante) e recuperato fortunatamente adesso. Si tratta di Calvary, del regista John Michael McDonagh (quello di The guard), protagonista Brendan Gleeson (sì, il Malocchio di Harry Potter) nel ruolo di un prete incompreso che somiglia un po’ al don Giulio de La messa è finita di Nanni Moretti, scelto come innocente agnello sacrificale da una vittima di pedofilia. Insieme a Kreuzweg, la più bella rivelazione della Berlinale. Guarda caso, entrambi ambientati in ambito religioso. In Italia? Internet…

giovedì 10 luglio 2014

è qui che ci sono le donne nude?


Torno su Giorgio Faletti perché, come si dice, a pensar male si fa peccato ma si indovina. In questi giorni il corriere.it mette on line un'intervista inedita (e sottolinea "inedita") al comico-scrittore-cantante ecc... Qualche mese fa era un periodo, per chi non lo ricordasse, in cui, con la scusa del revival anni Ottanta, il Corrierone (?) cercava di far dire ai comici di Drive In quanto fosse greve (?) e sessista (?) quella esibizione di tette e di culi. All'epoca. Vabbè, ci siamo capiti: redazione di segaioli di mezz'età senza neanche la scusa dell'estate. Ecco, Faletti (a parte il momento di smemoratezza sul nome del geniale Enzo Trapani) se ne uscì con una signora disamina. Senza abboccare, e senza fare gnanca un plissé. Da ascoltare. Chissà com'è che non è mai andata on line prima...

martedì 8 luglio 2014

notte horror: vamp


Ma Robert Rodríguez e Quentin Tarantino, nel 1986, per caso, videro un film che si intitolava Vamp? Perché quei due o tre punti di contatto (esclusi violenza esasperata, criminalità, ritmi serrati...), Dal tramonto all'alba ce li ha. Beh, comunque, sai quando hai la curiosità di un film qui? Sì, qui, guardami, proprio in gola. Uno di quei film di cui hai vagheggiato da gggiovane e che poi sono scomparsi nel nulla? Ecco, Vamp. Ma siccome questa è Notte Horror in versione reload, lascio la parola al mitico Zio Tibia.
Salve, ahem, piccoli zombetti miei! Maltrovati, ah eh! Come state? Ehm, bene? Peccato. Ahah... Ehm, ve la ricordate Grace Jones, eh ah? Dunque, ehm, eheh, sì, quella gnocca nera di quando eravamo giovani? Sì, di quando ero giovane io, doveva essere il mille... oddio, vabbè, eheh, non mi ricordo più. Beh, nel film in questione è una vampira. Insomma, anche un po' zombie. O licantropa. Eh eh, bene non sta, insomma. E balla tutta nuda (quasi eh, eheh) in un locale di spogliarelliste dove vanno tre sfig... tre ragazzi che vogliono ehm, ahm, come si dice? noleggiarla, ecco sì, per uno spettacolino nella loro confraternita universitaria. Ah, e nel mezzo c'è una gang capeggiata da un marcantonio albino, eheh. Come va a finire? Ahah, ehm, indovinate. Ah, ma c'è anche la sorella sfig... meno fortunata di Michelle Pfeiffer, ma lei non è una vampira, almeno, ehm, credo, ahahah... Insomma, ci si diverte da morire ahahahah... Il regista... sì insomma, sono parole grosse, è Richard Wenk, quello che ha sceneggiato The expendables 2 e il remake (ce n'era - ehm eheh - proprio bisogno?) di Professione assassino. Buona visione, zombetti miei, e vi auguro ogni cosa di peggio – ahah - che vi possa capitare...
  

Per chi si fosse perso le prime recensioni della Notte Horror Special Blog Edition:

Dovevi essere morta su Il giorno degli zombi
Brivido su Solaris

Di seguito i prossimi appuntamenti...

intervallo


In attesa del secondo appuntamento con Notte Horror Special Blog Edition, dalle 21 con Solaris, dalle 23 col sottoscritto, vogliate gradire questo simpatico, allegro, ottimistico florilegio tratto dalle statistiche del mio blog. Fa più paura di Brivido, sicuramente più di Vamp, specie se letto di seguito...


(e Altan, come sempre, ha previsto tutto...)

lunedì 7 luglio 2014

ca custa lon ca custa


Strana la Val d'Aosta. Così città e così montagna. Piena di soldi e di polo con i colletti in su quasi come a Bari. Dove si mangia e si beve un sacco di Toscana. Dove ci si vergogna dei vini (buoni) e si promuovono le birre (per fortuna altrettanto buone). Con i turisti tutti allo struscio, al massimo ai castelli, mentre le mostre non se l'incula nessuno, tanto che viene voglia di fare due parole con i guardiani. E poi questo tempo che ci somiglia, un po' caldo un po' freddo, un po' sole sulla pelle un po' Carmagnola sulla via del ritorno, a volte come quella giacca di pelle mollata nel bagagliaio. Bel weekend, che ci vede pure in partenza. Sì, manca un mese e mezzo, ma è un po' già vacanza, dentro. L'ultima volta, era un secolo fa, Bard non aveva quei fantastici ascensori. Cos'avranno girato di The age of Ultron? Chissà. Intanto Picasso e Larrain. No, poison, non il regista, sta' tranquilla. È cileno pure lui, ma si chiama Sergio ed è un fotografo spettacolare. Ad Aosta, se vi capita e se volete scrostare dalla noia brava gente pagata per star lì, ci sono le foto di moda di Gian Paolo Barbieri. Dove Audrey Hepburn, vestita in modo assurdo, è sempre bellissima. Dove c'è una splendida sosia di Uma Thurman: non è lei, visto che all'epoca aveva due anni. E dove una Bellucci di dieci anni fa (s)vela i suoi ricci più nascosti.

venerdì 4 luglio 2014

porchilmondo


E insomma dispiace un bel po’. Perché a me Giorgio Faletti ha sempre divertito proprio tanto. Vito Catozzo in primis, ma anche il testimone di Bagnacavallo e il mattomattomatto col suo giumbotto. Per non parlare di Franco Tamburino all’interno di quello strano miracolo tv che fu Emilio. Poi l'ho scoperto come autore di canzoni. No, non le canzoncine sceme (per quanto «Le donne vanno e vengono lungo il viavai del porto…» sia un delizioso e brevissimo flash comico), non la retorica di Signor tenente, ma quella piccola perla d'album che è Il dito e la luna cantato e suonato da Angelo Branduardi. Al cinema, curiosamente, ha credo sempre fatto lo stronzo, ma niente di memorabile. Si piaceva, e probabilmente aveva un ego di discrete dimensioni: e questo gli italiani non lo perdonano a nessuno, tranne a se stessi e forse ai calciatori. I romanzi non li conosco: le persone più diverse me ne hanno detto tutto il meglio e tutto il peggio. Però Io uccido sta nel mio kindle da mò, tanto che adesso sembra quasi brutto infilarcisi, così.

giovedì 3 luglio 2014

la donna che cadde sulla terra


Ok, è di nuovo il momento del post impopolare. Avrei dovuto immaginarlo, troppi segnali contrastanti: da un lato commenti del tipo “non si capisce niente”, dall'altro l'87% di Rotten Tomatoes; da una parte critici illustri (?) troppo intenti a parlare di passera (in realtà monte di venere) e poco di film, dall'altra una serie di riferimenti cinematografici che mi stuzzicavano. Per farla breve: ero curioso, non sapevo bene cosa aspettarmi, ma a me Under the skin è piaciuto parecchio. Il nuovo film dell'inglese Jonathan Glazer (in passato un fottio di video e quel Birth che scatenò un insensato chiacchiericcio antipedofilia), tratto - pare molto liberamente - da un romanzo di Michael Faber che non conosco per nulla, secondo me merita tanto. Il titolo del post non è casuale: certi spunti ricordano il bellissimo film di Nicolas Roeg e l'ancora più bel romanzo di Walter Tevis. Scarlett Johansson è un alieno che “cosa” (asciuga? mangia? mette in salamoia? annienta?) uomini, finché non incontra prima una specie di elephant man, poi una sorta di “povero ma onesto” scappato da un film di Ken Loach; e da lì cominciano i suoi dubbi e i suoi guai. Certo, il regista la prende un po' larga, anche se la parte “documentaristica” sulle facce cittadine ha un che di struggente. E, sì, la scena della pozzanghera è di un simbolismo così sfacciato che ci azzecca come il ghiaccio nel Laphroaig. Ma la musica, la fotografia, il ritmo lento ma studiatissimo, la maschera imperturbabile e meravigliosa della Johansson, ne fanno una piccola perla. Ah, vederlo in originale va bene ma, sebbene ci siano pochi dialoghi, cercate i sottotitoli: lo scozzese è una lingua a parte.

lunedì 30 giugno 2014

zombetti si nasce


Non lo sapete ancora? Sapevatelo: da domani sera e fino al 2 settembre, ogni martedì alle 21 e alle 23, torna il doppio spettacolo della mitica Notte horror. Torna nei nostri blog, non in tv. E torna sotto forma di recensione light, estiva, cercando se possibile di far rivivere lo spirito del mitico Zio Tibia e delle sue presentazioni trash e divertenti. Al debutto troverete Il giorno degli zombi e Non c’è paragone, rispettivamente alle prese con Dovevi essere morta e Mimic, ma tutto il programma è, obiettivamente, una gran figata. Eccolo qua:

giovedì 26 giugno 2014

no, non è che improvvisamente si mettano a cantare


C'era un ragazzo che somigliava a un giovane Alvaro Vitali magro e cantava come se gli avessero strizzato le gonadi molto prima dei Bee Gees, moltissimo prima di Prince. Si chiamava Frankie Valli e quando ascolto Can't take my eyes off of you penso alle ballerine con addosso il giropassera di Apocalypse now. Detto ciò: ma quanto mi è piaciuto Jersey boys, ultima fatica di Clint Eastwood? Tanto. Classico nell'impianto come tutti i film di occhidighiaccio, non aspettatevi chissà che virtuosismi. Un po' in calo sulla parte finale (sulla storia della figlia ho pensato a Pastorale americana, cercando di dimenticare che Phillip Noyce tenterà inutilmente di farne un film), ma bello. Ben girato. Divertente. Con un cast più che brillante (molti attori del musical da cui è tratto – ah, attenzione, il film non è un musical) e la splendida partecipazione di Christopher Walken. Sembra quasi uno Scorsese minore, ma si nota quanto il regista si sia divertito, a cominciare dall'autocitazione di Rawhide. Certo, restando in tema musicale, Bird era un'altra cosa. Ma io (e la Tiz) siamo usciti più che appagati. Ah, guardatelo in originale, se potete.