lunedì 30 giugno 2014

zombetti si nasce


Non lo sapete ancora? Sapevatelo: da domani sera e fino al 2 settembre, ogni martedì alle 21 e alle 23, torna il doppio spettacolo della mitica Notte horror. Torna nei nostri blog, non in tv. E torna sotto forma di recensione light, estiva, cercando se possibile di far rivivere lo spirito del mitico Zio Tibia e delle sue presentazioni trash e divertenti. Al debutto troverete Il giorno degli zombi e Non c’è paragone, rispettivamente alle prese con Dovevi essere morta e Mimic, ma tutto il programma è, obiettivamente, una gran figata. Eccolo qua:

giovedì 26 giugno 2014

no, non è che improvvisamente si mettano a cantare


C'era un ragazzo che somigliava a un giovane Alvaro Vitali magro e cantava come se gli avessero strizzato le gonadi molto prima dei Bee Gees, moltissimo prima di Prince. Si chiamava Frankie Valli e quando ascolto Can't take my eyes off of you penso alle ballerine con addosso il giropassera di Apocalypse now. Detto ciò: ma quanto mi è piaciuto Jersey boys, ultima fatica di Clint Eastwood? Tanto. Classico nell'impianto come tutti i film di occhidighiaccio, non aspettatevi chissà che virtuosismi. Un po' in calo sulla parte finale (sulla storia della figlia ho pensato a Pastorale americana, cercando di dimenticare che Phillip Noyce tenterà inutilmente di farne un film), ma bello. Ben girato. Divertente. Con un cast più che brillante (molti attori del musical da cui è tratto – ah, attenzione, il film non è un musical) e la splendida partecipazione di Christopher Walken. Sembra quasi uno Scorsese minore, ma si nota quanto il regista si sia divertito, a cominciare dall'autocitazione di Rawhide. Certo, restando in tema musicale, Bird era un'altra cosa. Ma io (e la Tiz) siamo usciti più che appagati. Ah, guardatelo in originale, se potete.

mercoledì 25 giugno 2014

e marlon brando è sempre lui


Beh, è stata dura. Scegliere un film di Sidney Lumet, voglio dire. Che è uno dei grandi. E uno dei pochi che fino alla fine (Onora il padre e la madre) ha fatto cose magnifiche. Ma visto che ormai approfitto di questi festeggiamenti tra blogger per recuperare film mai visti, mi sono buttato su una delle sue prime opere, quelle tratte da Williams, O'Neill, Miller... e sceneggiate da Williams, O'Neill, Miller. Immaginatevi oggi il grande teatro che incontra il grande cinema in questo modo: non ce la fate? Beh, diciamo che a parte Mamet, è difficile. Pelle di serpente (The fugitive kind, 1959) è tratto da La calata di Orfeo, rivisitazione in chiave moderna del mito di Orfeo e Euridice da parte di Tennessee Williams. La sceneggiatura è in buona parte opera sua, ma tra gli accreditati c'è anche un certo Marlon Brando. Il protagonista. Il vagabondo con la giacca di serpente che trova rifugio nella casa-negozio di Lady (Anna Magnani), la quale accudisce un marito moribondo che la odia. I temi di Williams sono sempre quelli: il razzismo, le donne disperate e insoddisfatte, gli uomini di merda tranne uno (indovina chi?). Brando è sesso allo stato puro (c'è un dialogo tra lui e la Magnani che non si sa come non sia stato tagliato, vista l'epoca). Nannarella è potente, potentissima, come sempre. Joanne Woodward, nel ruolo della sbandata che non ha il coraggio di andare via da questa specie di Dogville in cui è ambientato il tutto, è spettacolare. Filmone. E come nella maggior parte dei filmoni, non c'è spazio per l'happy end.


Ed ecco gli altri blogger che onorano la memoria di Sidney Lumet:

Director’s cult
Il bollalmanacco di cinema
In central perk
Non c’è paragone
Recensioni ribelli
Scrivenny
Solaris
White russian

 

lunedì 23 giugno 2014

(all in all) video saved the radio star


Non tutte le classifiche vengono dal Cannibale: questa, per esempio, arriva da Il Karda. Che, essendo più giovane del sottoscritto, ha parlato dei suoi video preferiti degli anni Novanta. Io ho deciso di tenermi largo: la mia è una lista un po’ più Eighties, più DeeJay Television che Mtv, insomma. DeeJay Television, lo spiego ai più implumi di voi, era un programma di video che andava su Italia 1 ed era presentato da giovani e allora sconosciute creature di Cecchetto come Fiorello, Linus, Albertino, Gerry Scotti, un imbarazzante Jovanotti e quella gnocca stratosferica di Kay Rush. Detto ciò, ecco l’elenco, stavolta in ordine cronologico. Ah, per aggirare le menate di youtube, i video si guardano cliccando sui titoli...

Regia di John Landis, devo aggiungere altro? Ah, sì, la risata di Vincent Price. E Michael Jackson in versione zombie. Una perla. E, per un corto circuito mentale troppo lungo da raccontare, mi ricorda quando mi persi in gita a Roma e mi venne la febbre. 







Relax – Frankie goes to Hollywood (1983)
Sia la versione originale molto frocia, sia quella etero di Brian De Palma in Omicidio a luci rosse, le ho sempre trovate geniali, compreso il grassone piscione. Peccato che, dopo quel gran bell'album che era Welcome to the pleasuredome, il gruppo si sia dissolto.


Karma chameleon – Culture club (1983)
Che fosse una canzone triste l'avrei scoperto tempo dopo, all'epoca mi piacevano il ritmo, quell'ambientazione da vecchio Sud, con il battello, ladri e truffatori e tutto il resto. E fu amore a prima vista con quella strana, adorabile creatura di nome Boy George.




I want to break free – Queen (1984)
La prima volta che l'ho visto ho pensato più o meno che facesse cacare. Poi, dopo un po' di volte, ho cominciato a sghignazzare e ad apprezzare. Grandi Queen sdoganatori della libera sessualità, casalinghe disperate e baffute. Kitsch e genialità, com'era nel loro stile migliore.

Sempre adorata come cantante, apprezzata tardi come donna. Video geniale, visionario, poi riciclato anche in pubblicità, diretto da quel genio anni Ottanta, da noi misconosciuto, di Jean-Paul Goude, all'epoca suo compagno.

Intanto gioite: quello che vedete è uno dei pochi video che quella adorabile, geniale testa di cazzo non ha ancora fatto oscurare. È il pezzo con cui mi innamorai segretamente degli urletti di Prince. La passione vera però sarebbe sbocciata di lì a poco con Sign o' times.




Sì, lo so, la canzone è del 1971. Ed esiste anche un video originale, con John al pianoforte e Yoko che spalanca le finestre. Ma il videoclip del polacco Zbigniew Rybczyński, che faceva queste robe qui in un'epoca in cui il digitale era quasi un sogno (cercatelo su internet, please!), è bellissimo.

Non ve l'aspettavate? Dovreste dare un'occhiata al mio iPod. Questo video kafkiano e ragnateloso mi è sempre piaciuto da morire. I Cure li ho conosciuti meglio dopo, ma questa è un'altra storia.

Facciamo che chissenefrega del testo misogino (soprattutto alla luce di un video che misogino non è)? Un capolavoro dall'inizio a (soprattutto) la fine. Sesso droga e unzunz. È stata per qualche anno la suoneria (fatta con le mie manine sante) del mio telefono.

Adoro entrambe le versioni, entrambe omaggi al cinema fantastico che fu: difficile scegliere tra la pianta gigante e la microragazza in provetta. E il pezzo di questa dimenticata band belga è delizioso.



Lo so, avevo promesso più sesso. Ma magari faremo un'altra classifica, che ne dite?

venerdì 20 giugno 2014

dal coraggio, dall'altruismo, dalla fantasia


Anche se è dal 2002 che ho smesso di interessarmi di calcio (sì, chiaro che c'entra anche il cinque maggio, ma in realtà da un po' cominciavano a rotolarmi le gonadi per diversi motivi non solo interisti), non potevo non farmi coinvolgere dall'idea del Cannibale (sì, lo so, non riusciamo a liberarcene!) di fare sotto i Mondiali una classifica dei personaggi calcistici preferiti. E così, in ordine alfabetico perché solo così so farla, ecco la mia lista.

Roberto Baggio
Avrebbe avuto tutto per darmi fastidio: il codino, il buddismo all'occidentale... Ma è stato un grande (anche nel suo maledetto rigore sbagliato) sia dentro sia fuori dal campo. Uno che ha saputo uscire e ricrearsi una vita vera. Un esempio, un mito.






Franco Baresi
Anche se interista, l'ho sempre ammirato. Un grande difensore, fino alla fine. E l'occhietto umido, il giorno della sua ultima partita, ce l'avevo anch'io.










Beppe Bergomi
Un mito dell'Inter. Grandissimo, umile, adorabile zio con i baffi prima, con le sopracciglia da Elio sempre. Da telecronista meglio non ascoltarlo. Ma io le partite le ho quasi sempre viste con l'audio a zero o il commento della Gialappa's.

Éric Cantona
Attore sorprendente, anche prima di darsi al cinema. Il cattivo ragazzo del calcio francese prima, inglese dopo. Memorabile la frase «Quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che verranno gettate in mare delle sardine».








Diego Armando Maradona
La mano de Dios, el pibe (o era pube?) de oro. Un fisico assurdo che non gli avresti dato un soldo, e poi partiva da metà campo e non ce n'era per nessuno. Genio e (tanta) sregolatezza, Che Guevara ed evasione fiscale, prodezze sportive e cocaina. Ha incarnato più lui Napoli di tanti napoletani.






Carlo Mazzone
Lacrime sudore e sangue. L'allenatore nel pallone prima durante e dopo l'Oronzo Canà di Lino Banfi. Il lato umano del calcio, anche quando questo sport di umano non aveva più niente.






José Mourinho
Ai più è sempre stato simpatico come un brufolo nel buco del culo, io l'ho sempre adorato. In Italia non riuscivano a perdonargli l'ego che fa regione (troppa concorrenza?), ma ha sempre detto quello che pensava, anche quando l'avrebbero voluto zitto e muto.






Pelé
Edson Arantes do Nascimento è stato probabilmente il più grande di tutti. Vecchia scuola, grande tecnica, umanità d'altri tempi. Uno spettacolo, sempre.










Javier Zanetti
Bergomi 2.0. Uno dei pilastri dell'Inter, difesa ma non solo, umanità, umiltà vera. Mi ha sempre colpito il fatto che quasi tutti i cronisti pronunciassero il suo nome e cognome come si deve, strafalcionando su molti altri.







Zinedine Zidane
Chi lo ricorda solo per la testata o è un asino o è in malafede. Da vedere il documentario di cui è protagonista. Di lui ho detto più volte «peccato sia della Juve».

mercoledì 18 giugno 2014

cosa fare a orlando quando sei morto


Novanta minuti di deliziosa follia: ma sì, se non avete di meglio da fare, dedicate un'ora e mezza del vostro tempo a Escape from tomorrow, opera prima del giovane Randy Moore. Questo fantahorror è così divertente, fuori di testa e furbescamente povero da poter piacere a tanti di voi. L'ho scoperto per caso ed è facile da trovare; di uscita italiana non se ne parla proprio. Un padre peterpan e neodisoccupato, una madre apprensiva e figadilegno, due bambini belli quanto insopportabili (bravissimi Katelynn Rodriguez e Jack Dalton), la loro gita a Disneyworld che si trasforma in un incubo grazie alla Siemens (!), due appetibili ragazzette francesi, un orrido grassone col toupet e il dilagare dell'influenza felina. Non ci avete capito nulla? Non importa. Ci si diverte con un bianconero stile b-movie anni Sessanta, effetti speciali al finto risparmio, chroma key dichiarato e riprese quasi per intero rubate nell'autentico tempio Disney. Finale a sorpresa che fa tanto Ai confini della realtà.

lunedì 16 giugno 2014

genere cinema


Beh, scusate, ma 'sto ragazzo merita l'Oscar: entra con la fidanzata nel cinema pressoché deserto e lei, dopo aver esordito con «Ah, quanta folla!», gli chiede «Ma questo film di che genere è?». E lui, saggiamente, gli risponde come nel titolo del post. Quella di cui vi parlo oggi (uscita adesso in Italia ma in realtà è dell'anno scorso) è The congress, la nuova pellicola di Ari Folman (il regista israeliano del notevole Valzer con Bashir), liberamente tratta dal romanzo Il congresso di futurologia di Stanisław Lem. Diciamolo subito: quasi un filmone. Quasi perché qualche lungaggine, specie nella parte animata, ce l'ha. Ma complessivamente è tanta tanta roba, molto più che fantascienza, molto più che riflessione sul cinema. Cominciamo da Robin Wright, che interpreta una specie (ma solo una specie) di Robin Wright che, costretta dagli eventi, accetta di sparire come attrice per fare posto al suo clone digitale: penso che girare tutta la prima parte sia stata una seduta psicanalitica mica da ridere. Poi ci sono almeno due sequenze geniali: il lungo monologo di Harvey Keitel (in grandissima forma) durante la “scansione” della protagonista e poi tutta la parte finale, sorprendente, diretta e asciutta (tranne i miei occhi, perché come fai a non commuoverti?). Cos'altro? La parte animata, un po' Tex Avery un po' tanto lisergica (d'altra parte si parla o no di una specie di popper che ti fa immaginare di essere chi vuoi?). E ancora l'ottima colonna sonora di Max Richter. E Danny Huston perfettamente a suo agio nel ruolo dello stronzo e Paul Giamatti orsacchiottorinolaringoiatra. E poi Robin Wright, l'ho già detto? Beh, sappiate che canta, e per me è stata una scoperta; una bella scoperta, alle prese con Forever young di Bob Dylan e If it be your will di Leonard Cohen. Notevolissimo.

venerdì 13 giugno 2014

mio caro oste portace da beve


C’è quest’ennesimo virus cannibalesco, e stavolta si parla di bevande preferite. Che, insomma, è un modo come un altro per raccontare un po’ di fatti propri. E io potevo tirarmi indietro? Vai.

Acqua
No, non scherzo, merita un discorso a parte. A garganella dai turet, le fontanelle di Torino. Un litro e mezzo circa di gasata, quotidiano, in ufficio. A casa perlopiù d'estate. Poca. Arruginisce, dicono.







Americano
È uno dei pochi cocktail che bevo con piacere. Bitter Campari, vermouth rosso e seltz. Semplice, secco, poco alcolico, toglie via la sete e non t'ammazza il pasto a seguire.








Birra
Partendo dal presupposto che dopo un po' mi annoia, se sono disperato e fa un caldo becco e ho anche qualcosa da mangiare, mi accontento di quasi tutto. Altrimenti che sia buona. Artigianale. Preferibilmente bianca o bionda. E fresca. E beverina. Con una punta d'amaro. Ma non stupida. Un po' come una donna che te la da senza star lì troppo a girarci, ma che è anche intelligente, spiritosa, simpatica.


Caffè
Sei al giorno, ma solo quando lavoro. Ovviamente espresso, amaro e di lunghezza normale. Gli altri giorni ne bastano un paio: una caffettiera piccola al mattino, uno al momento più opportuno, l’ultimo dopo cena ma solo se sono al ristorante. D’estate, quand’ero molto gggiovane, facevo mettere una tazzina in freezer ai miei e, nottetempo, quando tornavo a casa, prima di dormire mi sparavo questa specie di piccola granita.

Martini Dry
Sei parti di gin, una di Martini. Shakerato e non mescolato? Non sono mica 007! Dell'oliva faccio a meno, non la capisco. Altro cocktail prepranzo che non mi dispiace.







Ouzo
Da bravo siciliano, mio padre adorava l'acqua e zammù (l'anice), soprattutto d'estate. Io non ne potevo sentire neanche l'odore. Eppure, quando vado in Grecia, per me l'aperitivo è quello: ouzo con due cubetti di ghiaccio, acqua a parte. Strana la vita.




Rum
Mi piace perché è l'unico alcolico che riesco a bere con moderazione. Comunque lo ammetto: sono abbastanza ignorante in materia. Però so che certi rummetti da bar, se non li mescoli con qualcos'altro, fanno parecchio schifo. Agli agricoli non dico mai di no. Meno sono dolci, più mi rendono moderatamente dipendente.





Tisana
Il sorso (o la sniffata) della buonanotte era quello che ogni tanto rubavo alla ms prima di dormire. A trovarle e a capirne, ce ne sono di molto buone. Altre sono acqua calda. Punto. Desolazione.




Vino
Possibilmente rosso, magari piemontese. Il bianco mi sta bene soprattutto da aperitivo, meglio se corposo, alcolico: una Ribolla, per dire, o un Grillo. Le bolle mi piacciono meno, ma soprattutto non le reggo: il terzo bicchiere di spumante o champagne per me equivale più o meno a una bottiglia di Barbera e un cicchetto di whisky.


Whisky
Torbato, ma di un torbato bastardo, alla Laphroaig per capirci, non quelle robe levigate per signorine di ogni sesso ed età. E, non per tirarmela, ho iniziato a bere torbato quando in Italia non si sapeva quasi cosa fosse. Poi vabbè, ogni cosa richiede il suo momento e un whisky del genere si beve dopo cena, senza ghiaccio, al massimo un bicchiere d’acqua fredda naturale a parte, con la stessa santa calma che richiede fumare un sigaro.

giovedì 12 giugno 2014

abitudinari


Lo ammetto: ho riletto la storia originale di Claremont e Byrne, anno 1981. Che in Italia significò 1989, causa gli anni bui del fallimento dell'Editoriale Corno. Giorni di un futuro passato, al di là della facile ironia sul titolo (a me fa venire in mente gli Elii...), è una gran bella storia che però, spiace un po' dirlo, appare datata nei ritmi, negli avvenimenti, oltre ad essere un “piccolo” racconto di 44 pagine. Per dire, La saga di Fenice Nera, stessi autori anno precedente, trovo che sia ancora oggi di un'importanza e di una modernità “totale”. Dico ciò perché tutte le polemiche nerd sulle infedeltà del nuovo film degli X-Men rispetto al fumetto cui si ispira le trovo noiose come una puntata di Beautiful. Cari miei adolescenti inquieti (che poi dovreste avere più o meno la mia età), perché vi siete fatti andare bene tutte le distopie e i cambiamenti e i reboot e gli ultimate su carta e poi vi fate tante pippe su pellicola? Io l'ho trovato davvero molto bello. Ben fatto, ben costruito, ben interpretato, carico di ritmo. Con curiose trovate che come sempre mescolano vecchio e nuovo come in una centrifuga per insalata: dal look d'antan della Bestia alla versione quasi alla Van Sant di Quicksilver. Poi sì, onestamente, ho ritrovato il mio solito personale fastidio per i riferimenti storici, dalla Baia dei Porci alla morte di JFK, ma poi mi sono detto: non era sgradevole anche il nazismo di Teschio Rosso? Eppure all'epoca leggevo e basta. Forse dovremmo solo godercela, questa Golden Age del cinema Marvel. Punto. Lamentarci di fronte ai film che gridano vendetta (I Fantastici Quattro, Daredevil, Elektra, Ghost rider) e crogiolarci in tutto il meraviglioso resto. Bentornato a Bryan Singer, al Johnny Walker in primo piano come in un poliziottesco anni Settanta, e anche al bel culo di Hugh Jackman.

mercoledì 11 giugno 2014

a chi lo do stasera


Da queste parti, di solito, Abel Ferrara ce lo si ricorda per il bel tempo che fu, per i primi suoi film, e poi Fratelli, e magari anche Mary, strana creatura dimenticata dai più ma che forse dovreste recuperare. Così come è difficile dimenticare l'irritazione, se non l'incazzatura, per cose secondo me pessime tipo Il cattivo tenente o Occhi di serpente. Lui e Paul Schrader hanno a fasi alterne questa martirizzazione delle gonadi, un tale insostenibile binomio peccato-redenzione che forse la chiesa cattolica dovrebbe dare a loro l'otto per mille. Comunque di Welcome to New York ero curioso. La distribuzione non l'ho capita: adesso su internet, a settembre al cinema. Vabbuò, e allora troviamolo in rete. I primi 25 minuti sembrano i nostri ultimi vent'anni: c'è un uomo molto potente (lo sanno anche i sassi, la trama si ispira alle vicende di Dominique Strauss-Kahn) che, nonostante stia con Jacqueline Bisset, si scoperebbe anche un palo della luce; mignotte, perlopiù, ma ogni tanto si lancia in tentativi di stupro. Un giorno una cameriera lo denuncia. E da lì la sua discesa negli inferi, finché non va tutto più o meno a tarallucci e vino e si ricomincia. Niente redenzione, stavolta, ché la cronaca a volte è diversa dalla finzione. Il film funziona e non funziona, Ferrara è pur sempre americano e quindi il sesso non gli riesce proprio di filmarlo senza che sembri un brutto softcore italiano degli anni Ottanta. Ma Gerard Depardieu “fa” il film, ed è strepitoso: un mostro, in tutti i sensi.

martedì 10 giugno 2014

e poi si resta soli


Lo so, adesso la Tiz dirà che sono snob e blablabla. Ma io di Alabama Monroe avevo qualche piccola paura. Troppe critiche positive. E l'Oscar per il miglior film straniero che se non c'era Sorrentino chissà. Ma anche un argomento (la malattia e la morte della bambina di una giovane coppia) in grado di ammazzare un puledro in corsa per inciampo nelle proprie gonadi. Insomma, c'era un tarlo che stava lì. Poi ho deciso di guardarlo in uno dei peggiori cinema di Torino (non lo facevano più, negli altri posti!), che se ha il proiettore digitale lui non si capisce perché non lo posso avere io. Aggratis. Ché magari ho più successo. Vabbè, che vi devo dire? Che il film del belga Felix Van Groeningen è tanto bello? Diciamo che è bello. Che ha tanti momenti splendidi (io sul litigio dei vaffanculo e su The lion sleeps tonight con i tizi tutti con la bandana ho pianto le meglio lacrime). Che grazie a un montaggio intelligente dà vita a una storia che altrimenti non avrebbe retto 110 minuti, che si avvale di tre protagonisti spettacolari (Johan Heldenbergh e Veerle Baetens insieme creano una chimica perfetta, ma anche la piccola Nell Cattrysse è straordinaria), e che è un film che riesce persino a farti piacere il bluegrass. Ma inciampa, proprio come il cavallo di cui sopra, sulla parte finale. Cazzo, non dico un happy end, ma almeno un finale non così stiracchiato, con questo surplus di dolore, di strazio, di violenza, come se non ce ne fosse già abbastanza. Un quasi capolavoro, così quasi che un po' ti incazzi.

giovedì 5 giugno 2014

per le strade di rohmer


Giuro che non è fatto apposta, ma è divertente: i post di questa settimana sembrano legati uno all’altro per qualche motivo, come nel gioco del bersaglio de La settimana enigmistica. Insomma, tra Ida e Frances Ha c’è il bianco e nero, tra Frances Ha e 2 automnes 3 hivers c’è paraculaggine e nostalgia di Nouvelle Vague. Detto così sembra che non mi sia piaciuto: in realtà, il film di Sébastien Betbeder non è affatto male, e la sua bella dose di emozioni e ironia la sparge a piene mani, insieme a un filo di tristezza, per tutta la sua ora e mezza. La storia di due coppie di trentenni dei nostri tempi, dalle caratteristiche piuttosto miste, che nascono quasi per caso, si trasformano, crescono, forse muoiono, nell’arco di tre anni, funziona. Funziona a dispetto di una trama non proprio originale e di uno stile che, teoricamente, avrebbe fatto il suo tempo: divisione in capitoli, attori che parlano direttamente al pubblico… Il merito è di una buona sceneggiatura, ruffiana ma buona. E di un tot di attori in forma, a cominciare dall’orrido Vincent Macaigne, di cui vi ho già parlato a proposito de La bataille de Solférino. Visto anche questo al Torino Film Festival, dove ha ricevuto un forse eccessivo premio speciale della giuria. Nessuna previsione di uscita italiana.

mercoledì 4 giugno 2014

la tua vita è una sigaretta


Ieri si diceva del bianco e nero “sensato”. Beh, parliamone. Quando avevo vent'anni andava di moda: colpa di Woody Allen, che però lo ha sempre usato con perizia. Poi vennero i gggiovani registi alternativi americani, quelli di cui, talvolta purtroppo, spesso per fortuna, col tempo si sono perse le tracce; quelli che pensavano che, per avere la patente di Autore, fosse necessario nel curriculum almeno un film non a colori. Ogni tanto qualcuno ci riprova ancora adesso. Un film come Frances Ha, visto al Torino Film Festival mesi fa, nei primi anni Novanta probabilmente mi sarebbe piaciuto un sacco; oggi lo vedo per quello che è: una pellicola divertente, piacevole, simpatica, ma tremendamente ruffiana, a cominciare dallo stile. Ed è un peccato, considerato che il regista, Noah Baumbach, è quello pappa e ciccia con Wes Anderson che ha firmato Il calamaro e la balena. Certo, Greta Gerwig “è” il film: il suo personaggio di quasi ballerina, quasi spiato momento per momento, non può che esserci quanto meno empatico, specie nella parentesi (tremendamente drammatica, secondo me) della trasferta parigina. Ma il tutto risulta parecchio costruito, artefatto, pieno di rimandi a Manhattan e alla Nouvelle Vague, piacione per un certo tipo di pubblico con la puzza sotto al naso. Chi capisce il titolo del post, o è vecchio o è bravo (google non vale).

martedì 3 giugno 2014

anna dai capelli rossi


«Povertà, castità e obbedienza»: esiste bestemmia peggiore nei confronti della vita? Secondo me no. Eppure le suore continuano ad esserci, negando se stesse, la loro femminilità, sposandosi a Gesù, come si diceva una volta, chissà se si dice ancora. Bon, ho visto Ida. Che al Torino Film Festival avevo scacato per principio: «film polacco in bianco e nero», detto nel 2013, sembra l'inizio di una gag di Fantozzi, una roba per snob radical chic falsi come una moneta da tre euro. Beh, ho fatto male. Perché il film dell'anglopolacco da noi sconosciuto Pawel Pawlikowski merita eccome. La storia di questa ragazzetta con gli occhi da manga (Agata Trzebuchowska) che, negli anni Sessanta, prima di prendere i voti passa qualche giorno con la zia (Agata Kulesza, giudice alcolizzata che si dà a chiunque per disperazione) e scopre come sono morti i genitori ebrei durante la guerra, è un film davvero notevole. Stilisticamente, innanzitutto: la composizione delle inquadrature, l'uso sensato del b/n, l'asciuttezza di una sceneggiatura che non si concede sbavature e commozioni ricattatorie, una parte centrale da cui non si riesce a staccare gli occhi. E poi ci sono le due protagoniste, soprattutto Anna/Ida, che sono straordinarie. Bella colonna sonora, finale (quasi) a sorpresa.