E io già me l’immagino ’sto bimbetto che al pomeriggio presto, con pigro genitore rassegnato al seguito, si fionda nel megacinema da 45 sale, 64 tipi di caramelle e 23 tipi di popcorn, per guardare il nuovo cartone che, in quanto cartone, per italica legge non scritta deve essere adatto all’ideale di famiglia giovanardesca. Dopo dieci minuti di alcool e musica e donnine, vedo il medesimo pupo girarsi verso il genitore, che nel frattempo si esibisce in grufolo nasale e rivolo di bavetta, strapparlo per la camicia al sonno degli ingiusti, e sussurrargli infine «Papà, quelli sono nudi!». Dopo breve smarrimento (chi? dove? vengo anch’io!), il genitore agguanterebbe l’implume virgulto per la manuzza e andrebbe a inoltrare “vibrante protesta” nei confronti della direzione del cinema. Ecco perché Chico & Rita non uscirà mai in Italia: perché i cartoni animati tutti, in questo paese piccolo piccolo, sono considerati roba minore, per under 13, da pubblicizzare poco e diffondere meno (se non sono Disney, Dreamworks o Pixar) e da schiaffare in tristi multisala a orari impossibili. Eppure Fernando Trueba, che non è mai stato ’sto gran regista, qui dà il meglio che può, e questa storia d’amore cubana a tempo di jazz è davvero molto, molto piacevole.
venerdì 31 agosto 2012
giovedì 30 agosto 2012
dimmi che cosa che cosa ti fai
È importante che un cartone animato abbia un minimo di congruenza spazio-temporale? Fino a quanto ci si può spingere? Insomma perché i personaggi di Tex Avery sì e Madagascar no? Non sarà che la Pixar ci ha viziato un po’ troppo? Che abbiamo smarrito il gusto del nonsense sfrenato, del divertimento demenziale? Il terzo capitolo della saga degli animali in fuga sguazza nell’impossibile ma è divertente e non si concede un attimo di pausa, a cominciare dalla sequenza al casinò. E le scimmie vestite da Re Sole, la storia d’amore tra il lemure e l’orsa, ma soprattutto la terribile poliziotta francese – metà Loren metà Capucine – che fa “risorgere” i suoi sottoposti ospedalizzati cantando Non, je ne regrette rien (ma quanto si sarà divertita Frances McDormand?), hanno un che di geniale: qualcuno alla Dreamworks fuma roba buona.
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mercoledì 29 agosto 2012
lo chiameremo a cazzo di cane
Come lo traduci un film che s’intitola Le prénom? Cena tra amici. Ché la cena ricorda i cretini (appunto!) e gli amici i quasi amici (che era anch’essa una malaminchiata tutta italiana). E poi – dice – al cinema gli amici tirano. Non quanto la fica, già, ma non si può mica intitolare un film per tutti Cena con la fica. Sarebbe divertente, ma non si può. Pensa la faccia di giovanardi! Ti ho detto che non si può! Vabbè, però certo... No! Ok, la smetto, parlo del film, che poi 'sto blog lo visitano solo i pervertiti. È già quasi così? Uhm, il film. Ero un po’ scettico, con tutti quei paragoni a Carnage e altrettanti distinguo, ma si sa che sono curioso come una scimmia. E poi a poison era piaciuto. Che poi non è che io e poison si vada sempre d’accordo sui film, ma tant’è. Tratto da una pièce degli stessi registi (Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte), è una piccola perla. Divertente e stronzo quanto basta, gioca (e bara) con lo spettatore, lo percula dall’inizio alla fine facendogli credere quasi sempre quello che non è. Il quintetto d’attori funziona a meraviglia, Patrick Bruel soprattutto. Se non l’avete visto, recuperatelo.
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martedì 28 agosto 2012
un long dimanche de filmage
E poi ci sono quelle oziose domeniche pomeriggio che si apre il cinema di casa. Sì, insomma quel monitor in soggiorno che pare, se opportunamente sintonizzato, offra anche spettacoli a sua discrezione. Ma noi siamo un po’ anarchici e lo nutriamo di musica, di film comprati e di quelli che passa il torrente (una grande scoperta, altro che mulo!). Il doppio spettacolo (il prezzo è modico, di solito un gin fizz, la bevanda non la rivista...) comprende un classicone proposto dal sottoscritto e uno scognito ricordo cinematografico della ms che santo gugol per mia intercessione ha trasformato in dvd. Così siamo passati da Cantando sotto la pioggia a Holy smoke, da Memento a David and Lisa (qualcuno sa che nel 1962 ha vinto l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale e che ne è stato fatto un remake con Lukas Haas? ecco, sapevatelo), da C.R.A.Z.Y. (quest’ultimo doveva essere una commedia... vabbè, però m’è piaciuto) a Flashdance. Sì, uotafilin, esattamente. Lieve, divertente, sensuale, commovente, lieve (l’ho già detto?) come le belle storie d’amore e di passione dovrebbero essere. Un film terminato il quale sentenzio immancabilmente che Jennifer Beals era, è e – macariddìu – resterà uno schianto ancora per un po’, e che era bello quando Adrian Lyne non si prendeva troppo sul serio. Segue solitamente l’intenzione di vedere tutto The L Word e recuperare i film di Alexandre Rockwell in cui ci sia anche lei. D’altra parte l’estate è quasi finita ed è l’ora dei buoni propositi. Quelli che si dimenticano il giorno dopo.
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un fatto véro
lunedì 27 agosto 2012
i soldi non danno la felicità (se sei una persona orribile)
Sai quando esci da shiatsu e hai ancora la testa e il collo che sembrano altro da te? Ecco. È quasi un attimo, un po’ come tornare dalle ferie. Perché, mungi mungi da tutto il pomeriggio, alla fine piove. Fantozzianamente piove. Come se non bastasse, miss Tomtom ti fa affrontare una cazzo di strada campagnola che sembra un horror da due soldi, gli alberi che ti aspetti te ne caschi uno davanti e ti fai coraggio e ridacchi pensando a «Conosco un posticino» di Stefano Benni. Però in qualche modo si arriva. Testa e collo tornano a vagolare per cazzi loro. Io e la ms si mangia bene, si beve tanto, ma soprattutto non ci si fa i cazzi propri. Perché di fronte a noi c’è un gruppo che fa più paura del temporale. Ricca famiglia pasticcera: lui invecchiato precocemente ma avrà la mia età, parla come i fessi della tv e decide per le figlie; moglie ex bellona oggi solo bella, quasi silente; figlie che mangiano malissimo, sono di una gnocchezza commovente ma sono anche terribilmente minorenni. Insieme a loro una ragazzina genovese (gnocchetta anch’essa, ma in confronto alle altre due sembra ciospa) con la madre. Madre che mi fa rivalutare il capofamiglia in due mosse: «Aggiungo sempre un po’ della farina del mulino Marino al preparato per la polenta istantanea, non sai come viene bene!», «Non hai idea di tutti i senzatetto che girano intorno a Porta Principe, specie adesso che c’è la Festa dell’Unità».
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giovedì 2 agosto 2012
love is in the air
Un signore, grigetto meno di quanto si pensi, avvinghiato alla tastiera. Bianconero bianconero bianconero, e non è una suora che cade dalle scale (cit. Woody Allen). Un giovane cinquantenne a piedi nudi abbarbicato ai suoi fiati gli fa da controcanto. Facile pensare alla vecchia battuta del piano e della tromba, ma si vola altrove. Il bianco e il nero stemperati nel grigio parlano di cose serie, forse; generano colori virati seppia e gettano sprazzi di colore inaspettati. Le dita che battono il tempo sotto la gamba sembrano uscite dalla sabbia, le note sanno di salsedine, serate di mare che non vuoi o non puoi dormire, fruscii di vento che non sono solo quelli soffiati e amplificati ad arte. Un insieme che separato non reggerebbe due ore, forse. Fresu, Einaudi. Non molto diverso dall'amore.
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