martedì 30 novembre 2010

la fine del mondo nel nostro (in)solito letto


- Stai scherzando? Ho avuto esami pelvici che sono durati più a lungo!
(Kaboom, Gregg Araki)

Scrivo dal Torino Film Festival. Lontano dal lavoro (a parte stanotte, vabbè, ma non conta). Vivendo di cinema  e poco altro. Poco cibo, poco alcool, giusto un toscanello al giorno. E faccio la scorta di post per l'inverno, ché se cade lo psiconano di che cazzo parliamo? A proposito, cosa succede in quello che ci ostiniamo a chiamare mondo reale? Io non so praticamente nulla delle beghe di palazzo, posso vantarmene? Mi spiace solo tanto per il padre del mio amico R., per Leslie Nielsen, e soprattutto per quel monumentale pezzo di cinema italiano che è Mario Monicelli. Addio vecchio rompicoglioni, ultimo gigante in questo paese di nani. Bon, parliamo di festival. Non comincio dal primo che ho visto (ci sarà tempo), ma da quello che mi ha divertito di più. E ragazzi, parliamo di Gregg Araki, quello che fa film su ragazzini bisex (molto maggiorenni, in realtà) che scopano, hanno un rapporto un po' troppo allegro con le droghe e vivono storie assurde. Kaboom non fa eccezione, ma ha una leggerezza e un'ironia che in altre occasioni è mancata. Un'operetta pop e lisergica, in cui tutto il cast fa sangue, alcune battute sono spettacolari, il personaggio del padre è geniale. A quanto pare arriverà in Italia a gennaio e, a questo proposito, a partire da questo post inauguro la rubrica "come dovrebbe essere, come probabilmente sarà", dedicata all'annosa questione dei titoli italiani. La rubrica, naturalmente, è aperta alla vostra collaborazione.

Titolo originale: Kaboom
Titolo italiano auspicabile: Kaboom
Titoli italiani probabili: Ecstasy end of the world, Maial College 2: la cospirazione, Conspiracy movie, Pupe spie e porcelloni

mercoledì 24 novembre 2010

minuscoli (im)moralismi


Secondo un regio decreto di nostra signora rai, i minorenni non possono andare in tv dopo mezzanotte: infatti devono essere liberi di riposare prima di fare pompini al nano di turno durante l'afterhour. Ah, dopo l'incautissimo paragone bacio-clerici, aldo grasso mi è precipitato dal cuore. Spero si sia fatto male.

martedì 23 novembre 2010

dell'utilità di fb (parte seconda)


Soddisfare l'esibizionismo.

lunedì 22 novembre 2010

le conseguenze dell'amore (paterno)


ms: Sai che pensavo?
Dantès: Dimmi.
ms: Che quello che fa il figlio somiglia alla foto di Filippo.
Dantès: Ci ho pensato anch'io.

Ansia. Angoscia. Ansia. Sì, non c'è che dire, Una vita tranquilla funziona bene. Certo Toni Servillo ci mette il carico, ma è anche merito del ritmo della storia e di una buona sceneggiatura se esci che hai ancora il film addosso, una specie di peperonata dell'anima che ti resta lì, sulla bocca dello stomaco che un po' dici «ma chi cazzo me l'ha fatto fare?», un po' pensi che era proprio buona. A corredo di tutto, la bella colonna sonora di Teho Teardo, ormai cinematograficamente in ogni luogo come neanche il Morricone dei tempi che furono.

mercoledì 17 novembre 2010

citizen zuckerberg


«Mia figlia studia letteratura francese, una materia che credevo non esistesse»
(The social network, David Fincher)

Lo ammetto: il principale motivo per cui sono andato a vedere The social network è David Fincher, regista che difficilmente delude, anche quando i copioni non sono proprio di prima mano. Beh, ho fatto bene. Raccontare la storia del fondatore di facebook era materia rischiosa e troppo recente: c'è riuscito. Merito certo delle impagabili espressioni di Jesse Eisenberg (abbiamo rischiato di vedere in quel ruolo Shia Labeouf, rendiamoci conto), ma soprattutto della solida sceneggiatura di Aaron Sorkin, che va ben oltre la cronaca (perlopiù giudiziaria) o il giudizio su fb: incorniciata da un inizio e una fine da manuale, è molto più di una storia, è una parabola di ampio respiro raccontata con una incisività, un'arguzia e un sense of humour davvero rari. Unico neo Justin Timberlake: vederlo scheccheggiare nei panni del tossico puttaniere stronzo inventore di napster è piuttosto insopportabile.

martedì 16 novembre 2010

la parola all'esperto


«Vieni via con me? Settarismo e mediocrità»
(fabrizio cicchitto)

domenica 14 novembre 2010

onda calabra


Primavera al caffè. Belle persone nonostante appartengano alla mia generazione. Giovani pance consapevoli pronte a trasformarsi in pupi inconsapevoli. «Mi spiace. Devo campare» a tracolla di qualcuno che silenziosamente chiede l'elemosina. «Si avvisa la gentile clientela che i cellulari esposti in vetrina sono finti» espone un negozio di quelli che stanno intorno a te. Piccoli pezzi che vanno ad aggiungersi a una regione che continua a essere un puzzle senza risposta. Come quando un amore finiva prima di nascere per dubbi e incertezze scambiati per distanze geografiche che sembravano insormontabili. Come quando mio padre mi raccontava i suoi trent'anni qui e io immaginavo che un giorno ci avremmo fatto un viaggio insieme.

giovedì 11 novembre 2010

liaisons dangereuses


Ti ricordi? Ti ricordi quei tempi in cui se eri una donna non potevi mai ambire a nessuna carica importante a meno di non darla a qualcuno? Eh, gli anni Settanta! Ozon è uno che si diverte, non c'è che dire. A volte si diverte da solo, a volte, come nel caso di Potiche (cazzo, hanno messo un sottotitolo che è la traduzione italiana perfetta! non ci posso credere...) fa divertire anche il pubblico. La Deneuve addobbata un po' da madaminchia un po' da Ombretta Colli è perfetta, Luchini idem, Depardieu vive un po' di rendita ma quando balla è un trionfo. E noi? Noi facciamo finta che.

mercoledì 10 novembre 2010

e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione


- Diceva cose tremende, diceva che devo morire...
- È la prima volta che sono d'accordo con un uomo di potere.
(Figli delle stelle, Lucio Pellegrini)

C'è una scena salvatoregna a un certo punto del film di Pellegrini, ed è quella in cui, frugando tra i vecchi dischi dello chalet di montagna, Favino mette su il 45 giri di Alan Sorrenti. Scena pericolosissima, ché ci voleva niente a renderla patetica oltre che già vista. Incredibilmente non lo è, guardare per credere. Anzi, è forse la più triste e la più cruda. Quella che smorza le risate fatte fino a due minuti prima. E che passa in rassegna come ai raggi x quella che fino a quel momento era solo una buona, fedele foto di gruppo di un paese post tutto, forse anche post psiconano, comunque ferito negli affetti, tutti. Figli delle stelle punta alto ma non ci riesce. Eppure è figlio sano e discretamente forte della nostra migliore commedia di costume. Di questi tempi, buttala via...

martedì 9 novembre 2010

i maghi (non) esistono


Appagato. Commosso. Avvinghiato come un koala al suo albero a un'idea di cinema grande e forte che non conosce barriera di tempo, mezzi, età. Arriva. L'illusionista è un film bellissimo, che racconta tante, troppe cose da riunire in un post. C'è più cinema in questo cartoon che in molti degli ultimi film in carne e ossa che ho visto. Sylvain Chomet è un genio: se con Appuntamento a Belleville lo sospettavo, adesso ne ho la certezza. Se esiste un paradiso o qualcosa del genere, Tati ringrazia. Portateci i vostri figli solo se sono abituati a pensare e non amano l'happy end a tutti i costi: altrimenti, si annoieranno.
 
 

domenica 7 novembre 2010

quadri da un'esposizione


Ruby dice che dal piccolo marchettaro si mangiava male. Eh, tesoro caro, bastava chiedere in giro. Io, per esempio, lo sapevo già. No, non me lo sono scopato, preferirei tagliarmi il pisello, ma per motivi di lavoro ho assistito al primo (e peraltro unico) congresso di forza italia una quindicina di anni fa: un catering pietoso. Tanto che l'altra sera, ad Artissima, ho avuto un déjà vu: si è mai visto il rinfresco di un vernissage a pagamento (e che pagamento, per due tartine, un pezzo di salame e tre vinelli a scelta che con la bustina venivano meglio!) senza scuse plausibili tipo beneficenza o simili? Dice «c'è la crisi». Ma non era meglio allora mandare inviti più mirati invece di far entrare all'Oval qualche migliaio di imbucati di vario ordine e grado? Vabbè, comunque anche quest'anno ho fatto la mia porca figura: sebbene avessi lasciato a casa i jeans strappati, l'omino dello stand negoziostraficoditorino mi ha scambiato per il solito ricco snob e decadente, abbiamo parlato di Bruno Munari e mi ha invitato a un'inaugurazione. Dico «Oh peccato, questo sabato non ci sarò. Ma la mostra quanto dura?». «Solo sabato» mi risponde serafico il giovane omino. «Allora che cazzo inaugurate?» vorrei chiedere ma mi trattengo perché intanto mi appare il nuovo libro di Safran Foer, una strana creatura con le pagine ritagliate che sembra uscita dalla mente di Munari. Decido che lo voglio, insieme ai coloratissimi, divertenti trans di Assume Vivid Astro Focus (porcocazzo, qui ci stava tanto bene una foto, ma non la trovo) che tanto devono a Otto Dix. Il post finirebbe qui ma, ora che ci penso, avevo promesso al mio ammmore che avrei parlato di tette. Oh sì, ce n'erano tante in bella mostra. D'altra parte era o non era un'esposizione? Morbide e sospese, fasciate in reggitette di pizzo sotto abiti più o meno scollati, vere e gonfiate, veniva praticamente voglia di provarle più o meno tutte. Ma sai che ti dico? Io voglio le tue.

giovedì 4 novembre 2010

les visiteurs


Un padre, due figli. Stesso stampo, tre caratteri diversi, colti in un attimo, un gesto. L’uomo anziano porta un cappotto che pesa come i suoi anni, solido come un grasso soldatino sulla sua base di piombo affronta la scala mobile senza un verso, una piega, uno sforzo, nanca un plissé. Dietro, il figlio minore, che poi sembra il maggiore, magari sono gemelli, che puoi sapere, cinquant’anni sicuro. Ricurvo, ondeggia con le mani nelle tasche, il fisico e l’espressione di un pugile che ne ha prese troppe. Finge nonchalance ma s’inciampa e s’accartoccia di paura non appena sale. Quasi di fianco, bastardo come Franti, il fratellone appoggiato di schiena al mancorrente ridacchia con aria da viveur, poi si decide a dargli una mano e a rassicurarlo. Arrivano in cima, si allontanano verso il nulla. Forse non sono mai esistiti, forse sono come gli alieni di Ecstasy generation, visibili solo ai miei occhi per dire chissà cosa, chissà perché.

mercoledì 3 novembre 2010

se avessi fatto economia avrei una laurea o dei soldi da parte?


Nel 1987 avevo 18 anni, Oliver Stone non aveva ancora fatto Talk radio e JFK, e gli unici buoni motivi per vedere Wall Street potevano ragionevolmente essere Sean Young e Daryl Hannah nella speranza che, anche fugacemente, apparissero nude. Per quel che ricordo, la speranza naufragò miseramente e io mi annoiai. Per questo, prima di gettarmi sul sequel, avrei tanto voluto rivedere l'antefatto con gli occhi del magnifico quarantenne che sono diventato. Ahimè, però, il tempo (soprattutto quello meteorologico) è tiranno e così l'altro giorno, senza ripasso, mi sono infilato nel cinema più vicino. Beh, Gordon Gekko è invecchiato più di me, e il film, che si perde in un melenso finale hollywoodiano che non vi racconterò ma che capirete dopo il primo quarto d'ora, ruota tutto intorno a questo assunto: Gekko, che pure si aggiorna e perde il pelo ma non il vizio, in confronto agli speculatori di oggi è una mammoletta, uno che chissà come qualche principio riesce ancora a recuperarlo in qualche meandro della propria coscienza. Mah. La partecipazione di uno strepitoso Eli Wallach (ma quanti anni ha?) e il leit motiv delle bolle danno una marcia in più al film, ma il tutto è troppo tagliato con l'accetta, Shia LaBeouf è simpatico come un brufolo sul culo (molto meglio il rapido cameo dell'imbolsito Charlie Sheen) e Carey Mulligan sogna inutilmente di essere Audrey Hepburn.

martedì 2 novembre 2010

questione di accenti


Dopo pranzo siamo ad appena un terzo e per un attimo penso «Non ce la farò». E invece sì e ne sarò entusiasta. D'altra parte cosa potrebbe esserci di meglio (sì, ok, a parte scopare)? Sono con la persona che amo e con cui sto condividendo questa cosa che pochi altri avrebbero voluto condividere. E non sta lì per farmi un piacere, ma perché ne ha voglia. Otto ore di spettacolo, una storia che come ogni grande romanzo dell'Ottocento racchiude tutte le storie, dodici ore in compagnia di 26 attori e 200 persone consapevoli, che in mensa, un po' refettorio scolastico (che poi quello è), un po' La parola ai giurati, parlano - senza nominarla - della morte della cultura. Qui non c'è posto per i nani psicopatici né tanto meno per le ballerine che non hanno mai ballato, qualunque sia la loro età. Ci sono 200 persone che se ne sbattono il cazzo del fatto che I demòni di Peter Stein siano un evento oppure no, per una volta cercano solo il bello: speriamo se ne ricordino anche domani, fra un mese o in cabina elettorale. Io, per questa volta, risparmio loro la mia tirata sul crollo dell'occidente.