giovedì 23 aprile 2015

e dantès accese quasi la tv (ché poi sennò vi preoccupate)


È un periodo di lavoro matto e disperatissimo. Almeno fino alla prossima settimana, quando il lavoro ci sarà, ma sarò io a gestirmelo quasi interamente. E la cosa suona diversa, quasi come fosse musica. Un po’ sperimentale. Pensate a Frank Zappa: avete presente uno di quei brani apparentemente wtf ma sapeste cosa c’è dietro? Ecco. Per il momento, poco cinema. In compenso, tanti telefilm arretrati. Mi sono sparato in pochi giorni 1992 e Gomorra. Chapeau. Chapeau per Gomorra, soprattutto. L’episodio sette è da programmare nelle scuole: il più completo, il più complesso, il più vicino all’opera di Saviano. Da programmare nelle scuole come 1992. Che qua e là pecca di ingenuità ma che vanta un cast perfetto (Tea Falco? uh che palle, ma i fattoni milanesi li avete mai sentiti?) e ricostruisce un come eravamo/come siamo diventati che, scevro di caricature, al momento non ha eguali. Martedì ho provato a mettere su Blackhat. A parte i sottotitoli, che ho trovato male tradotti in inglese dal russo (non chiedetemi come lo so, lo so), dopo tre quarti d’ora mi sono annoiato. Ma trattasi di Michael Mann, tornerò all’attacco sperando di sbagliarmi. Solo che, staccando da Michael Mann ho acceso quel coso col tubo catodico (eh, sono antico, che volete fare) e ci ho trovato Squadra mobile, spin off di Distretto di polizia. E Distretto di polizia è stata una delle mie passioni, almeno finché non hanno deciso di ammorbidire i toni e risparmiare sugli attori. Per questa serie hanno puntato su personaggi tridimensionali, perlopiù interpretati da attori veri. Peccato che la messa in scena e i dialoghi, signora mia, siano da tv per pensionati. Pensionati italiani, quindi molto vecchi. Non bastano le parolacce se i superpoliziotti con superproblemi poi si muovono in situazioni da Un medico in famiglia. Così sono tornato al computer e ho ripreso il mio ammmore Dexter. Ormonalissimo Dexter seconda serie. Il che vuol dire che il primo che fa spoiler non lo faccio più amico. Si sappia.

mercoledì 15 aprile 2015

l(’)ago del leone


Per l’invenzione del titolo di cui nessuno capirà il sottotesto non è stato maltrattato nessun animale; al massimo è stata pacioccata (nei limiti permessi dalla medesima) una gatta stronza e un po’ puttana, che mi è sembrata ottimista ma non so quanto di sinistra. Ho fatto una cosa che, colpevolmente (forse), non facevo da tempo: andare a conoscere qualcuno che ha un blog. Nella fattispecie, roceresale. Ché mi piace come scrive da un sacco: le diedi anche dei premi quando lei non sapeva manco p’o cazzo chi fossi. Gli è che, di recente, complice fb, ci siamo anche conosciuti meglio. Indi(e) (sì, lo so, ho già dato con ’sto gioco di parole!), sono andata a trovarla sul lago. Quello grande, ma non abbastanza: una di quelle nozioni inutili che però sembrano sopravvivere all’analfabetismo di ritorno. Ho ragione, roce’? Perché questa donna insegna, quindi lo sa. E, oltre a essere molto divertente, ha molto altro in comune col sottoscritto, compreso il disprezzo per buona parte dell’umanità (vero poison?). Vabbè, ma come si dice in Lombardia (o nei posti che vorrebbero essere lombardi), «chi si loda s’imbroda», quindi cambiamo discorso e parliamo proprio di lombardi. I milanesi al lago sono precisi a quelli di 1992, ma rinchiusi dentro Vacanze di Natale, il primo. E pazienza se non sono a Cortina, parlano uguale. Disturbano uguale. Occupano uguale: aria, terra. Lago, no. E sì che io almeno un pediluvio l’avrei fatto tout de suite. Però ho preso una bella tinta, vivaddio, che in questo momento serve anche alla mia pelle un po’ provata (avete mai provato la mia pelle? adesso non ve la consiglio). Ho suonato delle maracas un po’ giocattolo tentando di stare a tempo con lo djembe, ma senza smettere un attimo di pensare a Parco Sempione degli Elii: la cosa fica è che mi hanno fatto delle belle foto. Quasi a mia insaputa, peraltro. E poi che altro? Musica varia, che è sempre un piacere. Scalini e ascensori dentro la montagna, tacchi altrui e intervalli di pranzo. Mangiato, tanto. Meglio a casa che fuori. Parlato, pure troppo, ché non sono abituato. Conosciuto una bella persona, di cui adesso, almeno, so un po’ di più.

giovedì 9 aprile 2015

è il tempo che è finalmente o quando ci si capisce


- Non torneremo mai dove eravamo.
- Dove eravamo?
- Nel posto giusto.

Me la ricordo quella mattina al Torino Film Festival, gli occhi gonfi (e non per il sonno), la voglia di sapere come andasse a finire, la delusione, l’incazzatura, la fuga nella profumeria dei ricchi a fingersi il ricco, appunto, che veste da povero ma dentro di sé quante ne sa signora mia! Insomma, non essere riuscito, causa esaurimento posti, a vedere di seguito la parte Lui e la parte Lei de La scomparsa di Eleanor Rigby m’è costato un bel po’ di euro. Ma ero così pieno e così triste e così boh che, insomma, dovevo consolarmi. A pensarci, però, forse è un bene aver visto i due film a distanza di tempo (del terzo capitolo, Loro, inutile parlare, perché è soltanto più o meno un Lei con qualche inserto di Lui): perché il caso è un po’ come dio, sappiamo che non esiste ma, certe volte (in certi casi…), il dubbio ti viene. Sono mesi in cui elaboro tante cose più importanti, figuriamoci se non trovavo un po’ di tempo per elaborare anche il film di Ned Benson. Dal punto di vista squisitamente cinematografico, il capitolo Lui è il migliore e, comunque, sebbene siano abbastanza indipendenti, se volete vederli entrambi ha più senso - per dare maggiore continuità alla trama - che partiate da quello. La storia, vista dall’ottica di lui o di lei, è quella dell’elaborazione di uno dei lutti peggiori (la morte di un figlio) ma anche dell’ingresso in un mondo adulto che fa piuttosto schifo da parte di Jessica Chastain e James McAvoy (tre sole parole: perfetti quanto fastidiosi, come da copione). Lei è Eleanor, chiamata così da un padre psicologo ex fricchettone (William Hurt) in onore dei Beatles, ma con la canzone non c’entra molto: la sua solitudine è altrettanto profonda ma non è così senza speranza. Il finale, aperto, comunque vada è un happy end. Si perdona qualche sbavatura (il personaggio di Isabelle Huppert, l’improbabile conclusione dell’incontro in discoteca…). Ci si appassiona, e a tratti si piange. Come vitelli. O come me al cinema. Guardare le lucciole non sarà più la stessa cosa.

martedì 7 aprile 2015

il signor g e l’amicizia (o il weekend dei recuperi)


Alla fine io e G. ci siamo rivisti comme il faut. A cena come i vecchi tempi, io porto il vino, voi il vino, la musica e il cibo, e insieme portiamo un tot di mesi (non contiamo quanti) di cose da raccontarci. Che poi il bello è questo: che, a parte i rispettivi aggiornamenti, sembrava non ci vedessimo da una settimana. Di nuovo, c’erano la barba di G. e un bambino che non è più bambino. E insomma si è cianciato di vacanze e di shiatsu e di Vinicio, e che forse Calitri a fine agosto non è niente male. È stato solo l’inizio di un lungo fine settimana, e poco importa se venerdì ho ancora lavorato. Ché sabato mattina è stata una full immersion di fotografie, quel ritorno ai miei anni Ottanta-Novanta con Letizia Battaglia a Bergamo (ma quelle didascalie… uhm, siamo sicuri fosse così importante sottolineare il partito di appartenenza di certi personaggi?), poi via a Milano a vedere la bocca di Mick Jagger immortalata nei primi Settanta da Jim Marshall ed esposta nel negozio Leica (ma quanto cazzo costano quelle macchine fotografiche?!?), quindi Robert Capa nell’Italia del ’43. Capa, ancora lui. E, a un certo punto, parafrasando Silvestri, me fece mele a Capa. E poi sorella in trasferta, che è bello ritrovare, in tutti i sensi, perché a volte non basta la presenza e sarebbe stato bello stare insieme un po’ di più. Film no. Ma solo perché gli orari, signora mia, non tornavano. Un po’ come i conti. E, da conte, non sarei neanche tornato, non ancora, ché c’è una gita al lago in sospeso, ma è solo rimandata.

giovedì 2 aprile 2015

cambi faccia cambi stile cambi cambi parole


Ci si può incazzare per un film che t’è piaciuto? Ma anche sì. Perché Latin lover aveva grandi potenzialità. E alcune ottime idee che a volte mette in piazza serenamente. Ma è come se Cristina Comencini qua e là se la fosse fatta sotto: si nota di più se lo faccio o non lo faccio? se oso o se rimango un po’ così, in disparte, con quelli che mi dicono ma dai vieni, colora, pasticcia, imbroglia che questo è il film giusto ma io no? Insomma non so, a me la storia del raduno della famiglia internazionale del compianto attore Saverio Crispo (un compendio di Gassman-Tognazzi-Volontè-Sordi-Manfredi-Chiari interpretato dall’ottimo Francesco Scianna, perfetta faccia di gomma, così malleabile anche nell’immaginario dello spettatore proprio perché non abbastanza nota) sarebbe anche piaciuta di più. Ma manca qualcosa. A fronte di tante riuscite prove d’attrici (la povera Virna Lisi, e poi Angela Finocchiaro, Marisa Paredes, Candela Peña, persino Valeria Bruni Tedeschi che finalmente ha scoperto l’autoironia, fino alle altre meno note ma non per questo meno convincenti protagoniste), a fronte di idee onestamente fighe (insomma, diciamocelo, l’amore di e per Saverio è una metafora bellissima dell’amore di e per il grande cinema italiano che fu) come i finti spezzoni di film e documentari, la scena dell’inseguimento del fotografo in stile Sergio Leone o anche il riuscito colpo di scena su cui forse qualche gayo noioso avrà da ridire, manca il coraggio di andare fino in fondo. Poteva essere un gran film, è solo una buona commedia che parte come un vecchio diesel in salita ma poi fa il suo onesto dovere fino alla fine.

mercoledì 1 aprile 2015

se davvero ci si preoccupa della sensazione di contatto tra i due cazzi durante una dp il mondo deve finire oggi


Ciao, sono Dantès e sono un uomo discretamente felice: ieri, con un po’ d’anticipo, il coniglietto pasquale, nella persona di me medesimo, mi ha regalato tre dvd che aspettavo da tempo. Il primo è Todo modo, capolavoro di Elio Petri più o meno invisibile fino a qualche anno fa e di cui avevo parlato già qui. Il secondo è la trilogia de La scomparsa di Eleanor Rigby, di cui vi dirò presto. Il terzo è la versione uncut di Nymphomaniac. Dopo 13 mesi e mezzo ho visto la seconda parte e… che dire, se si esclude il prefinale un po’ troppo spiegato che però si riscatta con un finale prevedibile quanto perfetto, io amo Lars Von Trier. Anche stavolta, a parte la doppia penetrazione (che però finisce quasi subito e ci scappa da ridere), non propone chissà poi che sesso non già visto. Insomma, il genio danese ha preso un po’ tutti per il culo, e neanche con troppa vaselina (il capitolo dedicato all’aborto è devastante). Narrativamente più scorrevole della prima parte, Nymphomaniac vol. II, con la solita miscela di ironia e crudeltà più un goccio di metacinema (l’anticipazione dell’incendio dell’auto), segna la discesa agli inferi e la fiera risalita di una donna che tutti vorrebbero inquadrare nella loro visione del mondo e che, invece, si ostina a sbandierare la sua diversità davanti a tutti. Alla faccia di chi parla di misoginia (ma che film hanno visto?). Da bere in un sorso i dialoghi tra Stellan Skarsgård e Charlotte Gainsbourg che stavolta, con il solito tono spiacevole per orecchie benpensanti, spaziano dalle deviazioni della religione cattolica alle storture della democrazia. Willem Dafoe e, soprattutto, Udo Kier, sono solo figurine. Adorabili figurine.