giovedì 26 aprile 2012

sento le voci


Qualcuno più bravo di me si chiede sul Corsera di Milano: perché Il primo uomo non è un capolavoro? Forse perché il nuovo film di Gianni Amelio emoziona poco, soffre di calligrafismo e di letterarietà. E il doppiaggio, affidato ad attori e attrici importanti, invece di esaltare l’operazione la appesantisce. Peccato. Perché la non facile trasposizione del romanzo incompiuto di Camus vive di momenti molto belli, soprattutto quelli che raccontano l’infanzia del protagonista, con piccoli attori che risultano più bravi e più veri degli adulti (vedi la scena del parto, quella del cinema o quella della spiaggia). Nota di merito per il trucco: Sian Grigg (J. Edgar) avrebbe molto da imparare da Jean-Christophe Roger.


lunedì 23 aprile 2012

tàdada-da-da-da...


Com’era la canzone? Gambe di legno, culo di marmo… Non era così? Vabbè, ma io ora mi sento in questo modo. I sette chilometri di passeggiata in lungo e in largo per il bdcdP, se ieri mi hanno caricato, oggi mi hanno un po’ corcato. Il pomeriggio è volato con le ultime 150 pagine di 22/11/’63. Che è un libro bellissimo e la bionda ancora una volta aveva ragione. Perché come ho letto da qualche parte e sottoscrivo in pieno, è un romanzo che ti fa “vedere” l’America dei primi anni Sessanta, che te la fa respirare. Un romanzo che è quasi cinema, ma forse è meglio che non lo diventi. Stephen King ha scritto forse la sua opera più bella, più compiuta. E sì che a giocare con la Storia e i what if si sono strinati in tanti. Forse la forza di King è quella di usare l’affaire Kennedy come un piccolo, minuscolo perno attorno al quale far ruotare una storia molto più ampia e universale. Che è poi anche una storia d’amore di una bellezza strepitosa, con un finale perfetto. Non sarà facile ascoltare In the mood senza pensare a Jake e a Sadie.

mercoledì 18 aprile 2012

quella gente là


Mi stanno a un metro. Pausa pranzo con fedi che ruotano nervose sulle dita, racconti di tv della sera prima, preannuncio di maalox post pizza. Età: più o meno la mia, temo. La più giovane spiega di un programma in cui si narrano fantastiche “storie vere” tipo quella di un pesce pescato e finito direttamente nella bocca della stupefatta e inesperta pescatrice, o quella del tizio che ce l’aveva piccolo, si è legato una salsiccia alla gamba con un laccio emostatico ed è morto perché non gli circolava più il sangue. Ma il peggio addavenì. Da uno dei tanti tv appesi alla parete parte in sottofondo l’ultima lagna di Antonacci. «Ah, è quello con la figlia di Celentano, quella un po’…» tergiversa. Vorrei aiutarla: un po’ calva? un po’ alta? un po’ gnocca? un po’ melafareisubito? Decide di tacere e fa una cosa che non vedevo da almeno vent’anni: piega la testa di lato, leggermente, un paio di volte. Avrei trovato meno volgare se avesse detto «frocia».

giovedì 12 aprile 2012

ho buttato giù... pardon


Come fai a parlare di Romanzo di una strage solo dal punto di vista cinematografico? Se fosse invenzione, sarebbe un brutto film di fantapolitica, ma qui al 90% c'è la storia del nostro paese. Il resto sì, è speculazione, è può darsi, è si dice. Ma tutto il resto è documento. Occazzo. Certo il film di Marco Tullio Giordana soffre di dialoghi eccessivamente carichi, a volte retorici. E se non conosci il prima e il dopo, questo durante di 130 minuti resta pieno di «ma quello chi è?». Eppure resta un film importante, magari non necessario ma importante. Con una sfilza di ottimi attori (Favino-Pinelli e Mastandrea-Calabresi di sicuro, ma non sono da meno il Valpreda di Scandaletti e Michela Cescon nel ruolo della moglie di Pinelli). Citazione a parte per Fabrizio Gifuni che, più che misurarsi con il personaggio di Moro, si misura con la duplice, straordinaria interpretazione che ne diede Gian Maria Volontè: nonostante ciò, ne esce a testa alta.


mercoledì 11 aprile 2012

un'idea come un'altra?


Van Gogh e Gauguin, l'idea del viaggio (e noi, un viaggio? tre giorni, sette giorni, dieci? decidiamo dove?). Tre palazzi e quei quadri che non ti piacciono, io che ci entro dentro, dietro quell'albero, nel dettaglio del gruppetto sullo sfondo. Venere con le smagliature, forse all'epoca facevano sesso, chissà. Piazza delle Erbe è un piccolo trapezio con le sedie impilate, emozione nulla, ricordi zero. Boccadasse (sì, tutt'attaccato) quando il sole arriva dopo il gelo e c'è solo voglia di rimanere. Ricci, magari. Non è periodo? Frutti di mare, uno qualsiasi, dormire, svegliarsi qui. Farci l'amore, magari. Tornarci, ancora meglio.


giovedì 5 aprile 2012

bignami criminale


«De Pedis, Ciro Cirillo, Cirino Pomicino, Scaramella:
non è l’Italia, è un fumetto di Jacovitti!»

(la ms durante una mia piccola lezione di storia contemporanea)

mercoledì 4 aprile 2012

chiedi chi erano i pluto


Il tempo fa bene. Non quello atmosferico, ché qui oggi sembra una brutta giornata tropicale. Il tempo che ti permette di ripensare a un film con quei quattro mesi di distanza, di riflettere sul fatto che, sì, non è un capolavoro, ma non è neanche robetta buttata lì I più grandi di tutti, secondo film di Carlo Virzì (fratello di Paolo, sì, credo glielo scriveranno anche nella tomba) che ho visto al Torino Film Festival i primi di dicembre e che oggi arriva anche nei normali circuiti. Carletto (posso? posso), un po' come nel film precedente (L'estate del mio primo bacio), entra con un po' troppo pudore nel mondo dei grandi (ahia, il complesso del fratello maggiore!) ma si vede che di cose da dire ne ha. E se l'idea del gruppo punk dimenticato da tutti tranne che da un impossibile fan sfigato-sfegatato (adottiamo Corrado Fortuna? massì) che decide di farci su un documentario e una reunion non è originalissima, il risultato è piacevole, divertente, amaro il giusto (le interviste sono da ribaltarsi). Le canzoni le canti già all'uscita, brava la Pandolfi, inquietante Er Dandi barbuto che parla toscano.


lunedì 2 aprile 2012

a volte (per fortuna) ritornano


Insomma è vero: dopo anni di appannamento, di vena inaridita, di kolossal da tv, i fratelli Taviani hanno fatto davvero un gran film. Tanto più che i rischi c’erano, e parecchi. Portare il teatro in carcere e trasformarlo in film? Costantini aveva fatto sbadigliare con Fatti della banda della Magliana, Ferrario era riuscito solo a metà con quella strana creatura spiritual-musicale che era Tutta colpa di Giuda. In più, qui non ci sono attori professionisti, al massimo qualche battuta, qualche comparsa, peraltro evitabile (i commenti delle guardie!). Eppure Cesare deve morire deve moltissimo ai suoi interpreti, alla loro bravura, alla loro professionalità da non professionisti. E anche se non è sempre chiaro quanto ci sia di naturale e quanto di costruito (ma siamo sicuri che in questo caso la seconda sia più facile?), il film resta una piccola perla.