mercoledì 31 dicembre 2014

anch’io voglio il black album dei beatles


Leggo classifiche in ogni dove e allora dico pur’io la mia, anche se detesto fare classifiche: i due migliori film del 2014, ragazzi, non li avete ancora visti. Di Kreuzweg vi ho parlato qui e credo che adesso si trovi anche su internet, l’altro è The disappearance of Eleanor Rigby, di cui vi parlerò nei prossimi giorni. Detto ciò, un altro dei miei film del 2014 (insieme a, in ordine rigorosamente sparso, Her, The wolf of Wall Street, Nymphomaniac, Maps to the stars, Belluscone, Melbourne, 20,000 days on Earth e Calvary che pare uscirà il prossimo 14 maggio!), è Boyhood. Che ero curioso di vedere dallo scorso febbraio, quando me l’ero perso a Berlino dove ha vinto l’Orso d’Oro alla regia. E che un po’ temevo, perché amo i film di Richard Linklater e avevo paura mi deludesse, sebbene l’idea mi piacesse moltissimo: un film girato nell’arco di 12 anni per raccontare, con gli stessi attori, la crescita di un ragazzino (uno sbalorditivo Ellar Coltrane) dai 6 ai 18 anni. Ora, onestamente, quando le luci si sono spente e sono partite le note di Yellow dei Coldplay mi sono detto «Occazzo». Non ho nulla contro i Coldplay, né contro la canzone, ma quanto è ruffiana come scelta? Ecco, a trovargli un difetto, il film ha un po’ troppa musica bella ma piaciona, roba che (lo so, mi ripeto) per scelte meno scontate avreste fatto il culo persino a Sorrentino. E poi ci sono un po’ troppe strade. E troppe strade percorse con troppa musica piaciona intorno. Forse c’è un po’ troppa idea d’America, così, in generale. Tuttavia ci si emoziona, e pure tanto, signora mia: merito di una direzione degli attori minuziosa, di dialoghi deliziosi interpretati in modo eccellente da attori più che credibili (Ethan Hawke, Patricia Arquette e la figlia del regista Lorelei, giusto per citare i principali). Romanzo di formazione, ma non solo: è un film che parla a tutti noi, ciascuno può trovarci un pezzo che lo riguarda, o che lo ha riguardato. Volete un film “natalizio” che non sia stupido o melenso? Ecco, recuperate Boyhood.

martedì 30 dicembre 2014

la donna che visse un tot di volte


Ok, spoiler. Ma fino a un certo punto, dai! Io, fino al primo giro di valzer, c’ero arrivato. Poi, dopo, mi aspettavo qualche guizzo in più. In ogni caso Gone girl (L’amore bugiardo sarà mica un titolo?) è un gran bel thriller, che ci parla di tante cose e lo fa in modo notevole. Non ci si strappa i capelli, ci sono un tot di incongruenze, David Fincher deve tantissimo a Hitchcock e alle interpretazioni dei protagonisti (non solo Aflleck e Pike, pensiamo ai genitori di lei), però il film funziona e funziona bene. Di Ben Affleck s’è detto un po’ male, ma a torto: è così che deve essere per il film, su! Esattamente come a lei (un’eccellente Rosamund Pike) è richiesto di essere la strafica (cit.) secondo certi canoni, anche lui dev’essere il bisteccone con il sorriso finto (nella storia, non in assoluto… mi sono spiegato? no? vabbuò, ci troviamo davanti a una birra?). Ah, poi dice che uno ce l’ha con il doppiaggio ma, minchia!, a un certo punto a Francesca Fiorentini scappa un “fedigrafo” che non si può proprio sentire.

lunedì 29 dicembre 2014

in campagna ed in città


Tanti auguri di buon Natale. In ritardo. In effetti, il mio è poi stato un buon Natale. Se non altro sereno, persino quando in famiglia si è parlato di qualcosa di molto poco natalizio, per la prima volta ufficialmente. E il tutto senza incidenti, o meglio senza che la persona più vulnerabile potesse soffrirne. Ho assistito anche a una telefonata inaspettata. E un po’ (indovina!) mi sono commosso. Qualche giorno prima avevo chiacchierato del più e del meno con unfattosemprevéro seppure diverso e, sebbene fossi un po’ preoccupato del risultato, mi pare che sia andata bene. Uh, sempre poco prima delle feste mi sono pure alcolizzato con la simpatica accolita degli shiatsuisti. Ovviamente, in questi giorni ho visto pure un tot di film di cui vi parlerò. E sono andato anche alla mostra di De Chirico a Monza: piccola, magari leggermente pretestuosa, ma sicuramente ben costruita. Ah, ha finto di nevicare per tre o quattro ore, perché dicono che sennò non è Natale. Io ne avrei fatto a meno. Beh, buon anno. Davvero. A tutti voi.

giovedì 18 dicembre 2014

il mio premio alla sceneggiatura tff32 (sono pazzi questi vampiri)


Lo so, adesso la sparo grossa, ma è più o meno dai tempi di Zelig di Woody Allen che non mi rendevo conto di quanto potenzialmente fico fosse il mockumentary. E What we do in the shadows, scritto, diretto e interpretato dai neozelandesi Taika Waititi e Jemaine Clement, è effettivamente fico, oltreché veramente molto molto divertente. E qui la sceneggiatura è tutto, il premio - quello ufficiale al Torino Film Festival - è sacrosanto. Si sghignazza senza vergognarsi davanti a questa versione cazzara dei vampiri di Jim Jarmusch, un po’ Addams un po’ Friends al maschile, che, sticazzi e giù il cappello, ha ottenuto un meritato 93% da Rotten Tomatoes. Un’ora e mezza deliziooosa, come direbbe la poison. Lo vedremo mai nei cinema italiani? Va beh, questa fa ridere, ma mica tanto.

mercoledì 17 dicembre 2014

il mio premio tff32 (ovvero poliziotto bbono e poliziotto cattivo)


Oh, adesso cominciamo a fare sul serio: cosa mi è piaciuto di più del Torino Film Festival tra quelli visti in concorso. Insomma il mio vincitore, Wir waren könige, opera seconda di Philipp Leinemann, parla tedesco, guarda alla Francia e aspira agli Usa. Avete presente i polar? Ecco, immaginatene uno ambientato in Germania. Polizia corrotta, tanto corrotta, pure troppo. Gang locali fatti di pezzi di merda e poveracci, bravi ragazzi tirati dentro e un bambino merdoso cui (quasi come in The babadook) non succede niente di male. Non un attimo di noia, tanta azione, tanta rabbia, un finale notevole. Ah, per chi apprezza c’è un certo numero di manzi e, a un certo punto, come in certi film orientali, non sai più chi è chi.

martedì 16 dicembre 2014

’a voi ’a ricetta?


Prendete una commedia americana sofisticata anni Quaranta, non importa quanto verosimile, purché finisca con il trionfo dell’ammmore. Trasponetela in una Francia tanto ricca e un po’ polverosa. Riempitela di parole, anche esagerando. Invadetela di sole o di pioggia, quindi coloratela con sapienza cromatica. Ponetevi delicatamente un’esile piacevole attrice dall’occhio vagamente bovino (tipo Emma Stone) e fatela invaghire di un attore che solitamente trita le gonadi ma che, opportunamente marinato, diventa una specie di Cary Grant dall’aria furfante al punto giusto (tipo Colin Firth). Adesso lardellate accuratamente con battute geniali tipo «Non c’è niente di genuino, dal tavolo a tre gambe al Vaticano» o «L’unico essere con i superpoteri che conosco ha la falce in mano» (non importa che in sala ridiate solo voi, tanto lo sapete che siete troppo intelligenti). Fate cuocere a fiamma viva per metà, poi fate purpitiare fino a che si cuocia il tutto, spettatori compresi. Avrete così ottenuto Magic in the moonlight. Si abbina bene al whisky. Consigliato come antipasto, prima della visione di Zelig o de La rosa purpurea del Cairo.

P.S.: starò invecchiando, starò diventando un’anima candida, ma io il colpo di scena, nel nuovo film di Woody Allen, non lo avevo proprio immaginato.

lunedì 15 dicembre 2014

ansia


Ashgar Farhadi è diventato l’alfiere del cinema iraniano che racconta la piccola borghesia, ed era abbastanza prevedibile che ispirasse degli epigoni. Nima Javidi è uno di questi, e il suo Melbourne lo testimonia. La storia di questa coppia in partenza per una nuova vita in Australia (lui è Peyman Moaadi, già protagonista del capolavoro di Farhadi Una separazione), i cui piani sono stravolti dalla morte improvvisa di una neonata che dovevano ospitare solo per poche ore, ha un meccanismo quasi perfetto. Girato tutto in appartamento, più o meno in tempo reale, con l’invadente presenza di telefoni, cellulari, skype, citofoni, campanelli, macchine fotografiche, computer, per non parlare di vicini, parenti e conoscenti che si avvicendano continuamente quasi a impedire che i due possano pensare a come venirne fuori senza incartarsi ancora di più tra bugie e sotterfugi, il film vive di un’angoscia che non concede tregua. Peccato che il finale non sia all’altezza e sembri quasi un po’ tirato via.

giovedì 11 dicembre 2014

premio escluso il cane


Dopo aver visto il film, ti rendi conto che Animal rescue sarebbe stato un buon titolo. E invece sarà The drop, in Italia Chi è senza colpa, uscita prevista metà marzo con la Fox, visto in anteprima al Tff. Tratto da un racconto che, diventato sceneggiatura, si è poi trasformato in un romanzo (vi siete persi? ma no, è facile), è farina del sacco di Dennis Lehane, già autore dei romanzi da cui sono stati tratte tre robine così che si chiamano Mystic River, Gone baby gone e Shutter Island. Vi ho titillato abbastanza? Macché, c’è dell’altro, anzi due: Tom Hardy sempre bravissimo ma che quasi non si riconosce e James Gandolfini al suo ultimo film (questa l’avete già sentita, lo so, ma stavolta pare sia vero). Ah, e poi Noomi Rapace, sempre un po’ coatta che deve avercelo per contratto. Trattasi di un noir un po’ classico un po’ psicopatico, con in mezzo un pitbull salvato dalla spazzatura, la mafia cecena, un ex fidanzato manesco, tre o quattro colpi di scena ben riusciti e gli ultimi due minuti che è meglio uscire prima. Mi è piaciuto? Parecchio.

mercoledì 10 dicembre 2014

mamy blue


Dice «la vita continua». Sì, certo, qual è il prossimo ombrello alla Altan? No, perché se proprio mi devono inculare preferirei scegliere il cazzo. Non si può? Ok, torno a sparare minchiate cinematografiche. Anzi, fermo per un giorno l’analisi del Tff e mi butto su Mommy. Inteso come film di Xavier Dolan, giovanissimo canadese autore già di film acclamatissimi che, ve lo dico subito, non ho ancora visto. Ma tanto lo sapete, sono curioso come una scimmia. Beh, che dire di questo? Intanto chapeau, io a 25 anni componevo poesie tremende, guardavo il soffitto e scrivevo per giornali che non mi pagavano. Lui ha già fatto cinque film, vinto un tot di premi importanti ed è, effettivamente, molto bravo. Soprattutto per come sa mescolare le carte e i linguaggi, un po’ Dardenne un po’ Larry Clark. Primo: sceglie attori straordinari (difficile dire chi è il migliore fra Antoine-Olivier Pilon, Anne Dorval e Suzanne Clément). Secondo: fa cadere come se niente fosse piccole cose di pessimo gusto per le quali lapideremmo persino Salvatores (la colonna sonora piaciona, tutto quello skateboard, la scena che si stringe e si allarga) e poi saccagna il pubblico a dovere (voce del verbo saccagnare… vabbè ma allora documentatevi!) con scene di una potenza che fa male (il primo litigio con la madre, la tensione erotica con la vicina, il prefinale che non sto a dirvi). Si esce abbastanza con le ossa rotte. Premio a Cannes strameritato.

lunedì 8 dicembre 2014

coronavirus


È stato bello averti insieme a me in questi tre mesi. Sei arrivata un po’ voluta un po’ per caso, ma quando ti ho vista sapevo già che saresti stata con me. E che, matta e vitale com’eri, sarebbero stati sorci verdi ma saremmo stati bene. Fino a ieri sera. Ti ho vista, nella gabbia di quel pronto soccorso, e ho capito che era l’ultima volta, sebbene fossero passate solo 24 ore. A coronamento di un autentico anno di merda, una sigla così ridicola per una malattia così fulminea e letale: peritonite infettiva felina. Addio piccola gatta.

giovedì 4 dicembre 2014

premio giiiiiooooonnnnuuuuueeeeeeiiiiiiin


Esce oggi, così mi dicono, quindi posso non parlarvi di The rover, presentato al Tff nella sezione Festa mobile? Ne avevo sentito cose non molto belle, ma per fortuna sono curioso. Per fortuna perché il film secondo me merita. Ha un solo difetto: è lento, tanto lento. Quindi se non ce la fate a tenere un finale che dura una ventina di minuti, lasciate perdere. Qualcuno ha detto che ricorda Mad Max: ragazzi, è la dimostrazione che la droga fa male! Io dico che si tratta in tutto e per tutto di un western classico e un po’ pulp, dove al posto dei cavalli e delle diligenze ci sono auto e furgoncini. E il fatto che sia ambientato in un futuro prossimo (?) è decisamente poco importante. Diretto dall’australiano David Michôd, già regista del notevole Animal kingdom, si fonda sulle ottime interpretazioni di Guy Pearce e (smettetela di storcere il naso che poi Gesù vi punisce) Robert Pattinson, nei panni inediti di un bandito ferito e un po’ ritardato che il resto della banda ha “dimenticato” dopo una sparatoria. A Pearce rubano la macchina nei primi, eccezionali minuti (ah, se il film avesse mantenuto quel ritmo lì!) e lui s’incazza. Perché quell’auto sia tanto importante lo scopriamo solo nell’ultima scena ma, per quanto durante la visione ci abbia pensato anch’io, dimenticate Cani arrabbiati, non c’entra nulla. Evitate l’ultimo spettacolo, ma correte a vederlo.

mercoledì 3 dicembre 2014

premio cos’hai trovato in lui di tanto bello


Ragazzi, avete sulla coscienza due ore della mia vita. Perché dopo aver saputo che è piaciuto a William Friedkin e dopo averne tanto letto in giro, uno dei primi film del Tff che ho pianificato di vedere (peraltro in concorso, esticazzi!) è stato The babadook della regista Jennifer Kent. Horror australiano che qualcuno, credo un genio (voglio conoscerlo e stringergli la mano), ha definito un incrocio fra Shining e Mamma, ho perso l’aereo. Che dire? Il film parte bene, benissimo. E mi sono messo nei panni dei genitori di bambini dell’età del protagonista che sicuramente saranno tornati a casa con l’angoscia. Ma man mano che la storia proseguiva mi sono sentito come uno che va al ristorante, gli mostrano astice, ostriche e tartufo, ordina il piatto speciale e gli rifilano una pizza margherita. Tutta la carne al fuoco messa durante la prima ora e rotti di film, tutte le congetture, le esche piazzate qua e là, il marito morto, lei che un tempo scriveva favole… si risolvono in una discreta, risibile stronzata che, a mio parere, non si capisce dove voglia andare a parare. Il libro al centro della storia è bello, sì. L'insopportabile bambino che urla per tre quarti della pellicola (più per attirare l'attenzione della povera madre che per paura) e a cui (spoiler) non succederà purtroppo nulla di male, è interpretato da un bravissimo Noah Wiseman.


P.S.: è il 3 dicembre e sono ancora vivo. Magari un po' di jet lag psicologico, qualsiasi cosa significhi, ma sono ancora vivo.

martedì 2 dicembre 2014

premio frances ha


Ok, allora si comincia con i "miei" premi del Tff32. Qui sono addirittura in compagnia del pubblico (vabbuò) ma anche, soprattutto, di uno spropositato premio speciale della giuria: Van valami furcsa és megmagyarázhatatlan (titolo internazionale For some inexplicable reason). Gábor Reisz è un giovane regista ungherese che dirige un altro giovane regista ungherese, Áron Ferenczik, in un film tantocarucciosignoramia. Pure troppo. Indulgentissimo con un protagonista bamboccione che rimanda a ogni santo lunedì il suo proposito di scrivere un romanzo, che non vuole lavorare tanto ci sono i genitori e, soprattutto, che appena è felice in amore scappa. Certo si ride. Il film è ben girato nonostante il budget risicato, molte battute sono azzeccate e la sequenza iniziale è onestamente notevole, oltre che molto divertente. Ma non sarà un po’ pochetto? Paraculissima gioia per i ventenni a vita.

lunedì 1 dicembre 2014

lettera aperta a un festival potenzialmente fichissimo


Caro Tff32,

grazie anche per quest’anno. Non sei stato memorabile, ma mi hai fatto vedere un sacco di cose che dubito avranno una distribuzione. E hai reso più bella una città che già lo è, e pure tanto. Però. Hai ridotto le sale da 10 a 8 e questa, al di là dei problemi economici, è stata obiettivamente una minchiata, credo te ne sia reso conto. Il pubblico… il pubblico compulsivamente masturbatorio di smartphone è da sterminare. Insomma, la mia imprecazione preferita quest’anno (almeno quella che si può riferire senza offendere nessuna religione o gruppo politico) è stata «Ti scoppiasse il cellulare in mano». Forse un controllo più cattivo, al di là del rischio pirateria (io ancora non mi capacito che qualcuno guardi in streaming cacate registrate col telefonino), si potrebbe fare. Vogliamo parlare di uno dei miei film preferiti (The disappearance of Eleanor Rigby)? E di come non abbia potuto vederne la seconda parte perché è stato deciso di fare due ingressi separati e due sole proiezioni? Devo cercarmelo in streaming formato vomito? Mi sa. Ah, a proposito del pubblico: il popolo (e anche la giuria) ha apprezzato il film più paraculo e divertente del festival. Il premio quello ufficiale è andato a una roba seria. Bella. Non memorabile, ma bella. Ma di questo e altro parlerò nei prossimi giorni, con una serie di premi che mi sono inventato per l’occasione. Ora torniamo ai problemi. Quattro macchinette per i biglietti blu sono poche, specie se sono attive solo dalle nove del mattino. E, il primo giorno, che non ci sia una cassa dedicata soltanto a chi deve fare o ritirare gli abbonamenti è un’assurdità. Infine le sinossi. Lo so, è difficile raccontare un film in poche righe. Ma eviterei con tutto il cuore (o almeno doserei con cura) parole come poetico, surreale, lisergico, Malick, visionario, natura: sono specchietti per allodole segaiole da cineclub, tutti gli altri scappano. E forse fanno bene, chissà. Tuttavia, che si sappia, ti voglio tanto bene. Il prossimo anno mi avrai di nuovo, è sicuro. I tempi sono cupi ma, per il 2015, vai e torna vincitore.

Tuo Dantès