giovedì 16 maggio 2013

bardo thodol sotto acido


Vabbè, l’avevo detto che l’avrei visto spinto dalla scoperta dell’abbondanza ignuda di Paz de la Huerta. Quello che non sapevo è che Enter the void mi sarebbe piaciuto, e pure tanto. Certo per goderne appieno è meglio non soffrire di epilessia, e poi avere due ore e mezza di tempo (che comunque voleranno), essere ben disposti e magari impasticcarsi (io però sono contro la chimica e non avevo maria, quindi l’ho visto così al naturale; chi ha detto «tanto nel tuo caso è uguale?»). La trama del film di Gaspar Noé è presto detta: Oscar (Nathaniel Brown) vive a Tokyo con la sorella spogliarellista (Paz de la Huerta), è uno che si fa come io respiro e spaccia; la polizia, credendolo armato, lo ammazza dopo dieci minuti in un cesso lercio. E da lì, proprio come dice il Libro tibetano dei morti, la sua anima comincia a fluttuare nell’aere in attesa di reincarnazione. Sembra abbastanza una cazzata? Lo pensavo anch’io, e invece. Poi, certo, è anche e soprattutto una questione di stile, oltre che di sceneggiatura. Dei titoli di testa hanno detto tutto tutti, ma vogliamo parlare delle lunghissime soggettive con tanto di palpebra che si chiude? e della spettacolarietà delle visioni lisergiche di cui Noé, per sua stessa ammissione, è esperto? Quanto al finale... io un po’ me l’aspettavo, voi?


4 commenti:

  1. trip totale.
    e la prossima volta voglio vederlo da impasticcato!

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  2. Un film magnifico, uno dei trip più trip della Storia del Cinema.

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  3. Uhhhhhh... io non sono andata oltre titoli di testa e primo quarto d'ora, la soggettiva mi faceva venire il vomitino, non mi ha proprio presa all'amo. Ma se si organizza un party psichedelico con annessa visione chissà, magari... alla mia età uno potrà ben iniziare a drogarsi, no? :-)

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